Verso le elezioni europee. Meloni vuole azzerare il Green Deal
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Walter Galbiati, vicedirettore di Repubblica
Un attacco diretto e frontale al Green Deal. Il programma per le elezioni europee del prossimo 8 giugno di Fratelli d’Italia non lo nasconde, anzi avverte chiaramente in pieno tono populista di voler smontare e riscrivere l’accordo europeo che ha posto le basi per la transizione ecologica.
Il programma di Meloni. “Le eco-follie del Green Deal scritto dalla sinistra europea ci condannano ad una decrescita infelice. Vogliamo cambiare queste regole e creare le condizioni per salvaguardare l’ambiente, rendendo le nostre imprese più sostenibili e competitive”.
Una bugia. Il Meloni pensiero è scritto nel documento “Con Giorgia l’Italia cambia l’Europa”, dove però viene attribuita erroneamente alla sinistra europea la stesura delle direttive, in verità portate avanti, fra gli altri, da Ursula von der Leyen il cui consenso all’Europarlamento poggia su una larga maggioranza che va dal centro-destra al centro sinistra unendo popolari, socialisti e liberali.
I compiti dell’Europa secondo Meloni. Quando Meloni, all’inizio del programma spiega quali siano le grandi questioni di cui si debba occupare l’Unione europea non compaiono mai le parole ambiente e clima. L’elenco comprende la politica estera, la difesa, la sicurezza dei confini esterni, la regolamentazione del fenomeno migratorio, il mercato unico e l’energia.
La sostenibilità è un affare di Stato. L’ambiente è relegato alle politiche nazionali, che l’Europa dovrebbe comunque limitarsi a rispettare. “Le strategie per il raggiungimento degli obiettivi climatici – si legge nel documento di Fratelli d’Italia - siano decise dai singoli Stati membri, compatibilmente con i modelli industriali e le specificità dei diversi contesti”.
Come a dire che la politica comunitaria non si deve occupare di queste tematiche, lasciando piena libertà ai Paesi, nonostante l’Europa debba poi garantire i fondi per la transizione green.
Ma cosa vuole cambiare Meloni? I temi principali sono due. 1) Il primo punto contestato in tema ambientale è la direttiva sulle case green: deve essere modificata radicalmente “per tutelare i proprietari di immobili ed efficientare il patrimonio edilizio in modo graduale e sostenibile, prevedendo adeguati incentivi a livello Ue”.
Poco più di un mese fa, l’Italia e l’Ungheria sono stati gli unici due Paesi a votare contro l’approvazione della Energy performance of buildings directive, passata con l’assenso di 20 Paesi sui 27 votanti. Le nuove norme impongono di rendere il parco immobiliare dell’Unione europea a emissioni zero entro il 2050, attraverso un miglioramento che è già pensato, a differenza di quanto sostiene Meloni, in modo progressivo.
Ogni Paese dovrà indicare nei Piani nazionali come intende raggiungere gli obiettivi intermedi (per il 2030 è fissato al 16%), ma non lo potrà fare esclusivamente attraverso le nuove costruzioni.
L’acchiappavoti. La mossa di Meloni più che ambientalista è come sempre elettorale: cancellare per esempio la messa al bando delle caldaie a metano previsto per il 2040 ha sicuramente un appeal su chi va alle urne, visto che in Italia sono 17,5 milioni gli edifici riscaldati a metano.
Lo stesso ragionamento vale per 2) il secondo punto: la direttiva sulle auto a benzina e diesel. Meloni vuole “cancellare – si legge nel programma - il blocco alla produzione di auto a motore endotermico dal 2035: rilanciare il settore automotive secondo il principio di neutralità tecnologica, investendo su tutti i carburanti alternativi e non soltanto sull’elettrico, e sviluppare la filiera dei biocarburanti tutelando le imprese dell’indotto”.
Un'altra bugia. Non dice però Meloni che molti dei carburanti alternativi producono ancora C02 o agenti inquinanti, mettendo di fatto in discussione l’azzeramento delle emissioni. La messa al bando dei motori endotermici sulle auto che nel 2035 potranno essere vendute è stato approvato dal Parlamento europeo con 340 voti favorevoli, 279 contrari e 21 astensioni e successivamente è stato ratificato dai ministri dell’Energia con l’unico voto contrario della Polonia su 27 e l’astensione di Italia, Romania e Bulgaria.
L’acchiapavoti bis. Anche l’auto come la casa è un argomento elettorale molto sensibile in Italia, dove secondo i dati di Eurostat abbiamo la più alta incidenza di auto ogni mille abitanti: siamo primi con 684 auto contro una media europea di 560 auto.
Paesi come Spagna (553), Francia (578) e Germania (578) hanno numeri nettamente inferiori a noi. Promuovere quindi una normativa più permissiva sulle auto può ovviamente avvicinare gli elettori meno sensibili all’ambiente.
Perché la strategia di Meloni è sbagliata. L’approccio di Meloni alla transizione Green è tuttavia perdente e falso quando sostiene che vuole rendere le nostre imprese più “sostenibili e competitive”. Di fronte ai cambiamenti in atto e alle nuove e necessarie regole per contenere la deriva ambientale, le aziende hanno tre modi per affrontarle: il primo cercando di minimizzare i rischi, il secondo cercando di adeguarsi alle regole, il terzo investendo sulla trasformazione.
I primi due sono conservativi e vivono la sostenibilità come un costo, mentre il terzo, caldeggiato in tutte le migliori business school, trasforma la sostenibilità in un’opportunità per la crescita ed è l’unica via per rendere l’impresa più “competitiva e sostenibile”.
In conclusione. Cercare come vuole il programma elettorale di Meloni di rallentare la trasformazione, significa combattere una battaglia di retroguardia, non capire la grande opportunità che grazie ai fondi comunitari l’Italia e le imprese europee hanno di fronte, ovvero quello di porre le basi per essere i leader del futuro e di non condannarsi da sole ad essere aziende vecchie, fuori mercato e destinate alla scomparsa. Investire sulle nuove regole significa essere sostenibili e al tempo stesso competitivi, contrastarle significa l’opposto e spingere il Paese verso la desertificazione industriale.