Ostaggi, governo tecnico palestinese e soluzione a due stati: ecco il piano di pace proposto dall’Egitto per Gaza al vaglio del governo israeliano
Dopo giorni di mediazioni e consultazioni, con la stessa leadership politica di Hamas al Cairo, il governo egiziano guidato dal presidente al-Sisi – fresco vincitore delle elezioni presidenziali – ha messo sul tavolo un piano in tre passi per arrivare a una pace stabile in Medio Oriente. Ieri nella capitale egiziana è arrivata anche la Jihad Islamica, altro gruppo che nella Striscia ha in mano un numero non precisato di ostaggi. Una sorta di compromesso tra la disponibilità di Israele –pronta a un cessate il fuoco ma non a chiudere la guerra prima di avere sterilizzato totalmente Hamas – e quella dei gruppi palestinesi, che invece sarebbero disponibili a consegnare gli ostaggi in cambio di una cessazione definitiva delle ostilità nella Striscia di Gaza.

Secondo i media israeliani, la proposta egiziana che oggi sarà esaminata dal gabinetto di guerra guidato da Benjiamin Netanyahu, la prima fase prevede la sospensione dei combattimenti per due settimane, estendibile a tre o quattro, in cambio della liberazione di 40 ostaggi israeliani da parte di Hamas: donne, minori e uomini anziani, soprattutto malati. In cambio, Israele rilascerebbe 120 prigionieri palestinesi detenuti nelle sue carceri delle stesse categorie. Durante questo periodo, le ostilità si fermerebbero, i carri armati israeliani si ritirerebbero e gli aiuti umanitari entrerebbero a Gaza. In settimana le Nazioni Unite, con l’astensione Usa che per la prima volta ha tolto il veto a qualsiasi testo sulla guerra, hanno votato una risoluzione che chiede l’ingresso degli aiuti nella Striscia, senza però chiedere una pausa nei combattimenti. Ieri lo stesso Netanyahu ha ribadito che Israele si fermerà del tutto solo quando avrà neutralizzato completamente Hamas.
La seconda fase del piano egiziano vedrebbe invece colloqui interni palestinesi, promossi dal Cairo, volti a porre fine alla divisione tra l'Autorità nazionale palestinese di Ramallah e Hamas e portare alla formazione di un governo tecnico unico in Cisgiordania e Gaza che supervisioni la ricostruzione della Striscia e apra la strada a elezioni parlamentari e presidenziali palestinesi. Quel voto bloccato da anni dall’anziano Abu Mazen, che ormai in Cisgiordania è mal sopportato dai palestinesi, che invece vedono un futuro in Hamas. Dinamica contraria a quella della Striscia, dove la popolazione sarebbe stanca dei miliziani che con l’attacco del 7 ottobre hanno scatenato la drammatica reazione israeliana. Il piano egiziano, tuttavia, non fa apparentemente chiarezza proprio sul ruolo di Hamas, ovvero se possa entrare in modo discreto nel giochi che porteranno all’esecutivo tecnico palestinese o se sarà esclusa dai giochi (Israele ha promesso che dopo la guerra ucciderà tutti i leader della formazione palestinese anche all’estero).

La terza fase del piano includerebbe infine un cessate il fuoco globale, con il ritiro delle truppe israeliane da Gaza, e il rilascio dei restanti ostaggi israeliani, compresi i soldati, in cambio di un numero da determinare di prigionieri di sicurezza palestinesi affiliati ad Hamas e alla Jihad islamica, compresi quelli arrestati dopo il 7 ottobre e alcuni condannati per gravi reati terroristici. Il leader dell'ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, è tornato l’altro ieri in Qatar dopo una visita di quattro giorni al Cairo per discutere la proposta egiziana con i suoi, mentre oggi in Egitto è arrivata una delegazione della Jihad islamica.
La comunità internazionale – a partire dagli Stati Uniti – preme affinché la guerra si chiuda finalmente con la nascita di uno Stato palestinese secondo il principio due popoli due stati, ma Netanyahu – che guida il governo più di destra della storia del Paese – ha ribadito più volte di essere contrario. Tuttavia gli osservatori ritengono che appena finita la guerra il premier israeliano sarà costretto a dimettersi e sguiranno le elezioni, che potrebbero aprire a nuovi scenari politici.