Perché le rivolte dei giovani di origine musulmana sono sempre in Francia
I divieti sugli abiti
Nel 2004, durante la presidenza Chirac, la legge sui simboli religiosi nelle scuole pubbliche ha proibito il velo islamico (oltre a crocifissi e kippa ebraica). Si voleva impedire che quell’indumento diventasse una forma di rivendicazione dell’integralismo islamico, e anche liberare le ragazze da quella che in molti casi era un’imposizione patriarcale degli uomini di casa, il padre o il fratello maggiore.
Nel 2010, quando era presidente Nicolas Sarkozy, un’altra legge ha proibito di nascondere il volto per strada e in generale negli spazi pubblici: una misura contro il burqa, punito con una multa di 150 euro.
Dal 2012 molti comuni francesi usano ordinanze locali per proibire il burqini, il costume islamico che copre tutto il corpo, in spiaggia e nelle piscine (la battaglia legale continua ancora oggi, i sindaci ogni anno rinnovano le ordinanze, spesso il Consiglio di Stato le boccia).
Nel settembre 2023, con Emmanuel Macron all’Eliseo, ecco il divieto nelle scuole dell’abaya (per le ragazze) e del qamis (per i ragazzi), tuniche islamiche che nel corso degli anni hanno si sono affiancate al velo come segno di appartenenza al mondo arabo-musulmano. Il governo considera questi abiti come bandiere piantate nelle scuole dagli integralisti islamici e dai loro finanziatori in Marocco, Algeria, Turchia, una forma di sfida allo Stato e il segno dell’avanzata dell’Islam. La questione degli indumenti islamici è sempre fonte di tensione: lo scorso 1° marzo, il preside di un liceo di Parigi è stato minacciato di morte sui social media per avere fatto togliere il velo a una ragazza. Gli insegnanti si sentono in prima linea, dopo gli attentati islamisti contro Samuel Paty (16 ottobre 2020) e Dominique Bernard (13 ottobre 2023).
Francesi di nascita
Dal 2004 a oggi, dal divieto del velo a quello dell’abaya, la Francia continua a discutere e a dividersi sul modo di integrare non più tanto gli immigrati musulmani ma, ormai, i loro figli: che sono nati in Francia, hanno la nazionalità francese, ma spesso continuano a sentirsi diversi, in molti casi respinti. E dalla forma, passiamo alla sostanza.
Quali sono le origini della mancata integrazione di almeno una parte dei musulmani francesi? Secondo l’ultimo rapporto (30 marzo 2023) dell’Insee, l’istituto di statistica francese, i musulmani sono il 10% della popolazione della Francia metropolitana (esclusi i territori d’Oltremare). Quindi circa 6 milioni e mezzo: se consideriamo che i francesi convertiti all’Islam sono circa 100 mila, i musulmani di Francia sono al 99% immigrati o discendenti di immigrati.
L’Insee ha chiesto ai discendenti di immigrati, nati in Francia, se si trovano d’accordo con l’affermazione «Sono considerato un francese come gli altri»: hanno risposto «no» il 39% di quelli originari del Sahel e dell’Africa subsahariana e il 30% dei discendenti di immigrati magrebini, contro solo il 9% dei discendenti di immigrati dell’Europa del Sud (italiani, spagnoli, portoghesi, greci). I francesi originari del mondo arabo-musulmano, più di altri, si sentono discriminati.
Le banlieue, un mondo a parte
Nel 2014 il governo francese ha identificato nella Francia metropolitana 1.296 quartieri poveri, noti come QPV, Quartiers Prioritaires de la Politique de la Ville, diffusi nelle banlieue ma non solo. Sono i quartieri dove la micro-criminalità è più alta, dove le hall di molti palazzi sono trasformate in zone di spaccio e i boss locali contendono alle forze dell’ordine la gestione del territorio. Secondo il rapporto «L’avvenire si gioca nei quartieri poveri» pubblicato nel giugno 2022 dall’Institut Montaigne, think tank liberale vicino al presidente Macron, il 40% di questi quartieri non ha un asilo, ci sono tre volte meno strutture sportive che nel resto del Paese, il 37% in meno di medici, e due terzi dei quartieri poveri non ha uno sportello del Pôle emploi (l’agenzia statale contro la disoccupazione).
Lo stesso Macron all’inizio del suo primo mandato aveva affidato un lungo lavoro su questi quartieri all’ex ministro Jean-Louis Borloo, che nel 2018 ha reso pubblico un celebre rapporto sulla banlieue, subito messo nel cassetto dal presidente: un giovane su 6 abbandona la scuola; i liceali sono due volte meno numerosi che nel resto della Francia; il rischio di morire prima dei 75 anni è il doppio.
In questi quartieri abitano circa cinque milioni di persone, e gli immigrati e i figli di immigrati sono più numerosi che altrove: qui rappresentano quasi un quarto del totale, il 23,6%, quando sono solo il 10% di tutta la popolazione di Francia. In Seine-Saint-Denis, nel dipartimento alle porte di Parigi noto come il famigerato Neuf Trois («93» è il suo numero amministrativo, come 75 per Parigi o 13 per la provincia di Marsiglia), il tasso di immigrati tra gli abitanti dei quartieri prioritari sale al 30,9%.
Disoccupazione e curriculum
In questa specie di isola di emarginazione, un quarto della popolazione riceve l’RSA (un sussidio di povertà), il doppio rispetto al resto della Francia, secondo l’«Observatoire national de la politique de la ville». E il tasso di disoccupazione è molto più alto: nel 2020, il 18,6% della popolazione attiva era disoccupata, rispetto all’8% nazionale (Insee). Più del doppio, che sale al 25% per la popolazione di origine magrebina.
chi ha un nome che suggerisce un’origine magrebina ha il 31,5% di possibilità in meno di essere contattato rispetto a chi ha un nome di tradizione francese. Un Mohamed è molto più svantaggiato rispetto a un Jacques.
I controlli della polizia
Ci sono poi i dati strettamente legati all’aspetto, il colore della pelle e il modo di vestire: conta molto, anche nel rapporto con le autorità e in particolare con la polizia. Secondo un rapporto del 2017 del «Difensore dei diritti», un organo dello Stato, tra il 2012 e il 2017 i giovani tra i 18 e i 25 di apparenza araba o africana sono stati controllati il doppio rispetto ai coetanei bianchi: l’80% è stato fermato almeno una volta, contro il 40% dei giovani bianchi (e il 16% complessivo).
Le demolizioni
Per cercare di attenuare le differenze e la segregazione geografica, lo Stato francese attraverso la ANRU (Agenzia nazionale per il rinnovamento urbano) ha investito circa 12 miliardi di euro tra il 2004 e il 2020, demolendo alcuni condomini fatiscenti e in particolare i grandi palazzoni simbolo del degrado. Da qui al 2030, il governo prevede di investire altri 12 miliardi di euro. Ma l’idea di risolvere alla radice il problema radendo al suolo alcuni palazzi di periferia – in Francia noti con l’eufemismo HLM, habitation à loyer modéré (abitazione ad affitto moderato) – sembra paradossalmente aumentare il problema. Secondo il sociologo Jamal El Arch, «spostati a destra e a sinistra, gli abitanti degli HLM perderanno i loro riferimenti, la loro storia».
L’attaccamento alle origini
Il velo, l’abaya e il qamis possono rappresentare un segno dell’invadenza dell’ideologia islamista nella società francese, ma allo stesso tempo rispondono alla voglia di mostrare le proprie origini, proprio quando il resto della Francia sembra considerarle un problema. Il divieto di abaya nelle scuole o del velo ai Giochi sono vissuti come una forma di discriminazione contro i musulmani, a dispetto del principio di égalité: se devono vestirsi come tutti gli altri, allora vengano trattati come tutti altri anche quando si tratta di trovare casa, cercare un lavoro o essere controllati dalla polizia.