Orbán nel mirino anche sul fronte Ue. Ritorsioni se mette il veto sull’Ucraina

BRUXELLES — Un piano per colpire economicamente l’Ungheria se dopodomani Viktor Orban ponesse ancora il veto al bilancio dell’Ue. Che deve essere aggiornato per stanziare i nuovi fondi a favore dell’Ucraina, 22,5 miliardi. Una cifra già sensibilmente ridotta rispetto alla richiesta iniziale di 66 miliardi.

Il premier ungherese, infatti, che aveva già bloccato l’approvazione a dicembre scorso (su questa materia serve l’unanimità) ancora non offre garanzie sul suo voto. La minaccia di boicottare l’economia magiara, però, in realtà un primo effetto l’ha sortito. Ieri nella riunione del Coreper (il comitato che riunisce i 27 ambasciatori), il rappresentante di Budapest ha iniziato a concedere delle aperture. Sempre in cambio di una maggiore disponibilità dell’Ue nei confronti dello sblocco dei fondi destinati all’Ungheria e ormai “congelati” da tempo a causa del mancato rispetto dello stato di diritto da parte del governo del sovranista Orban.

L’irritazione nei suoi confronti, però, sta crescendo. E non è un caso che gli uffici del Consiglio europeo abbiano predisposto un piano durissimo. Un’ipotesi che nella storia dell’Unione non era mai stata ventilata. L’Ungheria, che non ha ancora adottato l’euro, ha già subito ieri una secca flessione del fiorino nei mercati monetari. Per di più tutti ricordano che la situazione dei conti non è brillante: in particolare per quanto riguarda il deficit ben oltre il 4 per cento. L’obiettivo sarebbe quello di rendere più complicato il finanziamento del debito (le ultime aste di titoli di Stato sono state già negative).

L’ipotesi-sabotaggio predisposta dal Segretariato del Consiglio è stata ridimensionata a una responsabilità, appunto, del solo Consiglio. Eppure la tensione degli altri 26 è altissima. Anche perché Orban da mesi ormai è considerato una sorta di vassallo di Putin dentro l’Unione europea. «La nota del Consiglio — spiegava ieri un funzionario europeo — non delinea alcun piano specifico relativo al Bilancio e allo strumento per l’Ucraina, né delinea alcun piano relativo all’Ungheria. I negoziati tra sherpa e leader dell’Ue si basano sui principi del dialogo, della consultazione e del compromesso nell’interesse di tutti». Resta il fatto che ieri di questa minaccia si è parlato esplicitamente alla riunione del Coreper.

Probabilmente è uno strumento negoziale per indurre Orban a più miti consigli. E in effetti una prima avvisaglia di un cedimento ungherese si è avvertita. Lo scontro però è ancora in corso. E infatti il ministro magiaro per gli Affari europei, Janos Boka, in pubblico fa la faccia dura. «L’Ungheria — ha avvertito — non cede al ricatto. Il documento, redatto dai burocrati di Bruxelles, non fa che confermare che l’accesso ai fondi Ue viene utilizzato per ricatti politici da parte di Bruxelles». Poi ha però ammesso di voler partecipare «in modo costruttivo» alla trattativa dichiarando la disponibilità «all’utilizzo del bilancio dell’Ue per il pacchetto Ucraina e persino all’emissione di debito comune per finanziarlo, a patto che vengano aggiunti altri caveat che diano a Budapest l’opportunità di cambiare idea in un secondo momento».

Il confronto dunque è in corso sulla base di questa piattaforma. Anche perché la soluzione, su cui premono alcuni Stati come la Polonia, di attivare l’articolo 7 del Trattato Ue che sostanzialmente stabilisce l’iter di espulsione dall’Unione, appare molto difficile. In primo luogo perché serve l’unanimità in Consiglio (e partner come la Repubblica ceca del sovranista Fico non parteciperebbero). E poi perché giuridicamente il veto al bilancio non giustifica questa procedura.

«Non dobbiamo rispondere a ricatti con altri ricatti “, ha infatti sottolineato la ministra degli esteri belga, Hadja Lahbib, presidente di turno dell’Ue, “ma parlare tutti insieme, con un’unica voce. Prima cerchiamo un compromesso a 27 al vertice del primo febbraio. E se non ci riuscissimo, solo in seguito tratteremo eventuali piani B».