L’attentato che infiamma il fronte della guerra totale
L’attacco rivendicato da Hamas alla fermata dell’autobus di Gerusalemme Ovest, che ha ucciso tre civili israeliani ferendone sedici solo poche ore dopo che Israele e Hamas avevano annunciato l’estensione della tregua per la liberazione di altri ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi, non solo rende la tregua stessa, sempre appesa a un filo, prossima al collasso, ma mette in luce il conflitto più ampio in corso nei Territori occupati.
Per chiarire, a prescindere dall’attacco di ieri, le forze a favore della guerra a Gaza già erano più forti di quelle a sostegno di un cessate il fuoco, come ho scritto su queste pagine pochi giorni fa. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e i membri più estremisti dell’esecutivo israeliano, come il ministro per la Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir e quello delle Finanze Bezalel Smotrich, non fanno altro che ripeterlo: l’obiettivo non è cambiato e Israele non si fermerà nella sua guerra a Gaza finché Hamas non verrà dichiarata distrutta.
L’attacco di ieri rappresenta un assist perfetto. Avvenuto a ridosso dell’arrivo del segretario di Stato americano Antony Blinken in Israele, ha indebolito ulteriormente quelle flebili voci che sperano e spingono affinché la tregua possa in qualche modo trasformarsi in un cessate il fuoco permanente e, magari, dare il via a un processo di pace e a una nuova stagione politica in Israele e nei territori occupati.
Hamas, però, non ha alcun interesse affinché questo avvenga. L’attacco di ieri è stato esplicitamente rivendicato dall’organizzazione islamista come «risposta naturale ai crimini senza precedenti commessi dall’occupazione», ossia i quasi 15 mila civili palestinesi uccisi dal 7 ottobre in avanti. Ma al netto della rivendicazione ufficiale di Hamas, c’è la ratio politica. Un cessate il fuoco, una nuova stagione politica nei territori occupati, per non parlare di un nuovo processo di pace, non è esattamente nelle corde di gran parte di Hamas.
Certo, Hamas non ha interesse che la guerra continui con la stessa intensità delle prime settimane che hanno fatto seguito al 7 ottobre. Ma probabilmente non disdegna l’idea di una guerra a più bassa intensità, che impelaghi Israele sempre più a Gaza, indebolendola.
Per non parlare del governo Netanyahu. È evidente che la tregua l’ha accettata obtorto collo, sotto pressione in primis delle famiglie degli ostaggi, poi dell’amministrazione Biden e, infine, di un’opinione pubblica mondiale sempre più inorridita dalla catastrofe umanitaria a Gaza. I membri più oltranzisti del suo esecutivo sono esplicitamente contrari alla tregua. Due giorni fa Ben Gvir ha chiaramente minacciato di far cadere il governo Netanyahu se la guerra dovesse finire e la tregua protrarsi. E, come noto, questa è l’ultima cosa che vuole Netanyahu (forse ancor meno della sopravvivenza di Hamas). L’attacco di Hamas fornisce adesso, potenzialmente, un buon pretesto per ricominciare l’operazione militare.
Ma il significato più rilevante dell’attacco di ieri potrebbe non essere la ripresa della guerra a Gaza (che probabilmente avverrà comunque), bensì l’espansione e l’acuirsi del conflitto nel resto dei territori occupati. L’attacco è avvenuto a Gerusalemme Ovest, ed è stato commesso da miliziani di Hamas che Israele sostiene venissero dalla Cisgiordania. E in Cisgiordania, perlopiù fuori dai riflettori internazionali, la pressione continua a salire.
Poche ore prima dell’attentato a Gerusalemme Ovest, nel campo profughi di Jenin, l’esercito israeliano ha ucciso quattro palestinesi, tra cui due bambini. E solo pochi giorni fa, il ministro delle Finanze Smotrich aveva svelato che nel bilancio di Israele (un bilancio di guerra) sono previsti nuovi finanziamenti per gli insediamenti in Cisgiordania.
Insomma, nella nebbia della guerra, il governo più estremista di destra di sempre in Israele si muove per accelerare il suo disegno più ampio di colonizzazione e annessione dei territori occupati. Non a caso, a seguito dell’attacco terroristico alla fermata dell’autobus, Ben Gvir ha immediatamente rincarato la dose, dichiarando che avrebbe continuato ad allentare i regolamenti sul porto d’armi da parte dei cittadini, a partire dai coloni.
L’attacco di ieri non aumenta «soltanto» il rischio che la guerra a Gaza riprenda. Quel rischio era già altissimo prima. A crescere è soprattutto la minaccia che la guerra continui ad espandersi a macchia d’olio nel resto dei territori occupati.