«Chinatown» di Roman Polanski compie 50 anni

diFilippo Mazzarella

Pietra miliare del neo-noir, il film di Roman Polanski uscito il Il 20 giugno 1974, è stato una delle principali fonti di ispirazione per tanto genere a venire 

«Chinatown» di Roman Polanski

Jack Nicholson e Faye Dunaway in una scena di «Chinatown», diretto da Roman Polanski

Il 20 giugno 1974 (da noi fu distribuito solo all’inizio dell’anno successivo, a gennaio 1975, beneficiando nel frattempo delle tante nomination all’Oscar) esce nelle sale statunitensi «Chinatown» di Roman Polanski, pietra miliare del neo-noir destinata a diventare anche l’ultimo film del regista di produzione interamente americana prima del rientro definitivo in Europa, ma anche una delle principali fonti di ispirazione per tanto genere a venire, non solo in campo cinematografico (il primo romanzo di James Ellroy, ventiseienne all’epoca dell’uscita e poi autore di un altro esempio capitale adattato per il cinema come «L.A. Confidential», è del 1981).

Erano tempi in cui i film amati dalla critica potevano ancora andare a braccetto con i gusti delle cosiddette masse: ed ebbe un successo strepitoso, consolidò ulteriormente presso il pubblico mainstream la già solida fama di Jack Nicholson (la cui carriera prenderà definitivamente il volo l’anno successivo con «Qualcuno volò sul nido del cuculo/One Flew Over the Cuckoo’s Nest», di Milos Forman) e lanciò Robert Towne (premiato con l’Academy Award) nell’olimpo dei grandi sceneggiatori di Hollywood. Benché a fare la sua fortuna di quest’ultimo forse fu proprio Polanski che, ancora sconvolto dai fatti di Benedict Canyon di cinque anni prima, si impose per ottenere il finale pessimista poi passato alla storia.

Il film si apre nella Los Angeles degli anni Trenta, un'epoca in cui la megalopoli è in piena espansione e le risorse idriche sono una sua questione cruciale. Il detective privato J.J. «Jake» Gittes (Jack Nicholson), specializzato in casi di tradimento, viene avvicinato da una donna (Diane Ladd) che gli si presenta come Evelyn Mulwray e gli chiede di verificare la presunta infedeltà del marito Hollis (Darrell Zwerling), capo del dipartimento losangelino di acqua ed energia.

Gittes inizia a seguirlo, scopre che l'uomo incontra effettivamente una giovane donna e scatta delle foto che finiscono sui giornali locali provocando uno scandalo. Ma è a quel punto che la vera Evelyn Mulwray (Faye Dunaway) lo contatta, dando inizio a un’inesorabile spirale di intrighi. Quando Hollis Mulwray viene trovato morto, apparentemente annegato in un serbatoio d'acqua, Gittes inizia a sospettare che dietro all’apparenza ci sia qualcosa di più; e le sue indagini lo portano a scoprire che l’uomo stava infatti avversando un piano speculativo per deviare l'acqua dalla città alla Valle di San Fernando, un'area destinata a futuri sviluppi, orchestrato dal suo ex socio nonché suocero, il ricco Noah Cross (John Huston).

Quando Gittes scopre anche che la giovane donna vista con Hollis era Katherine Cross (Belinda Palmer), figlia di Evelyn, viene a conoscenza anche del terribile segreto di quest’ultima: la ragazza è infatti nata da una relazione incestuosa con suo padre ed è quindi anche sua sorella. Gittes decide così di proteggere Evelyn e Katherine da Noah man mano che la tensione aumenta. Ma il potere dell’uomo si rivela troppo forte per chiunque. L’epilogo tragico della storia avverrà a Chinatown, luogo in cui Gittes, nuovamente ridotto all’impotenza dall’enormità degli eventi, ebbe già uno smacco professionale e privato anni prima.

«Chinatown», capolavoro acclarato sul piano estetico avvalorato da un comparto tecnico di maestri (scenografie di Richard Sylbert, fotografia di John A.Alonzo, montaggio di Sam O’Steen, musiche di Jerry Goldsmith, costumi di Anthea Sylbert, tutti candidati all’Oscar unitamente a film, regia e alla straordinaria coppia di protagonisti, escludendo curiosamente John Huston dalla candidatura come caratterista quando nella cinquina figurava un impossibile Fred Astaire per il mediocre «L’inferno di cristallo/The Towering Inferno») esplora a livello di superficie tematiche più generiche (la corruzione, il potere, l’ineluttabilità del destino), ma è evidente che quello che più interessa a Polanski, sussunto nella figura indimenticabile del regista John Huston nella migliore delle tante prove d’attore che non si è mai fatto mancare in carriera, è la rappresentazione del Male Assoluto (con ovvi seppur sfumati echi anche alla sua frequentazione «personale», storica e privata, delle sue tante incarnazioni), trasfigurato in una sorta di demone che agisce in una città-inferno fatta di corruzione sistemica e zone oscure.

Dove il suo potere e la sua influenza dimostrano come la degenerazione indotta dalla prevaricazione riesca a permeare ogni strato della società rendendo la giustizia un miraggio per gli individui. Per accentuare queste tematiche, il film utilizza anche elementi visivi simbolici quasi archetipali e di grande forza (l'acqua, il buio) mentre il luogo-simbolo della rutilante Chinatown diventa scenario beffardo dell’eterno ritorno di fallimento e tragedia che caratterizza la vita del protagonista. «Chinatown», però, come sempre per Polanski, è anche un banco di prova e rifondazione del cinema stesso.

Confrontandosi con i paradigmi del noir classico, per trascenderli, il regista trasforma a poco a poco quella che inizialmente sembra «solo» una ricostruzione filologica magistrale di ambienti e atmosfere codificati in qualcosa di mai visto prima: una pietra di paragone di lì in poi ineludibile che ancora oggi non ha smesso di trovare echi e rispondenze nella produzione contemporanea. Polanski, che si ritaglia anche un cameo (è il teppista che ferisce al naso Gittes, modificandone ancora simbolicamente da quel momento la percezione con una geniale attestazione di vulnerabilità), è come già detto l’unico responsabile della piega da tragedia impressa al finale (ed è forse farina del suo sacco anche la celeberrima battuta di chiusura: «Forget it, Jake, it’s Chinatown»), che non avrebbe dovuto lasciare sbocchi ad altro se non a un senso di ineludibile e perdurante frustrazione.

Ma sedici anni dopo, inopinatamente, Towne e Nicholson, anche regista, recupereranno il personaggio di Gittes per l’operazione stolida e fallimentare di un brutto sequel, «Il grande inganno/The Two Jakes», fortunatamente caduto subito nel dimenticatoio e mai stato in grado di incrinare la purezza dell’originale

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20 giugno 2024

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