�La maggioranza dei componenti chimici usati per produrre illegalmente il fentanyl provengono dalla Cina. Vengono sintetizzati in Messico. In seguito il fentanyl viene trasportato negli Stati Uniti�. La filiera del fentanyl � stata cos� riassunta dalla segretaria al Tesoro Janet Yellen in una recente missione ufficiale in Messico. La collaborazione delle autorit� messicane nella caccia ai narcos � essenziale, ha spiegato l’esponente dell’Amministrazione Biden. Ma non basta, se a monte la Cina non ferma le esportazioni dei componenti chimici. L’emergenza fentanyl ha occupato uno spazio rilevante nell’ultimo vertice bilaterale tra Joe Biden e Xi Jinping a San Francisco.
Cosa c’entra la Cina con i morti di overdose negli Stati Uniti: la crisi del Fentanyl è una «rivincita»?
I dati sono spaventosi. Dal 2015 al 2021 gli Stati Uniti hanno subito una escalation nelle morti annue per overdose: sono pi� che raddoppiate passando da 52.000 a 107.000. La causa � l’aumento nel consumo di oppiodi sintetici, tra cui appunto il fentanyl. Le autorit� cinesi in passato hanno gi� promesso un giro di vite contro i laboratori clandestini sul loro territorio e una stretta contro le esportazioni di queste sostanze. Finora non hanno mantenuto le promesse. Vedremo se sar� diverso, dopo l’ultimo impegno preso da Xi con Biden. Di sicuro in America questo sar� un tema della prossima campagna elettorale: la destra da tempo denuncia le responsabilit� cinesi dietro l’escalation delle tossicodipendenze.
Il permissivismo sulla droga? �Decadenza occidentale�
Vista da Pechino, invece, la piaga della tossicodipendenza � prima di tutto una nostra colpa, sintomo della decadenza della nostra civilt�: troppo permissiva, lassista, tollera ogni trasgressione, illegalit�, fino all’autodistruzione. Il pugno duro che in casa sua Pechino applica contro spacciatori e consumatori di droghe – anche leggere – � visto come la manifestazione di una societ� sana e ordinata, che sa usare l’autorit� per il bene del suo popolo. Peraltro leggi severe contro le droghe esistono in gran parte dell’Asia.
E fattori culturali, non legati a regimi autoritari bens� a sistemi di valori, spiegano probabilmente la scarsa incidenza delle tossicodipendenze anche in paesi democratici come Taiwan, il Giappone e la Corea del Sud (almeno in confronto all’Occidente). A proposito della severit� cinese: nei miei anni di vita a Pechino ricordo che ne fecero le spese anche dei figli di diplomatici occidentali, che sperimentarono le carceri cinesi per qualche spinello fumato durante i party della giovent� espatriata. L’immunit� diplomatica dei genitori non li proteggeva dalle occasionali �retate�.
La droga nella storia dei rapporti tra Oriente e Occidente
Non c’� bisogno oggi di immaginare un complotto cinese per indebolire l’America assecondando la sua autodistruzione con le droghe. � per� utile ricordare che la storia del narcotraffico ebbe un ruolo decisivo nella decadenza della Cina dell’Ottocento; allora era l’Occidente a esportare droga nel Celeste Impero. La capacit� di estirpare le tossicodipendenze rientra tra i meriti di cui il comunismo va fiero. Da Mao Zedong a Xi Jinping, generazioni di cinesi sono stati allevati su manuali scolastici che denunciano le Guerre dell’Oppio, come episodio iniziale e decisivo in quello che definiscono il �secolo delle umiliazioni�. Oggi Xi si presenta come il leader che pi� di ogni altro ha restituito alla Repubblica Popolare orgoglio, dignit�, status da superpotenza, cancellando appunto ogni traccia di quel �secolo delle umiliazioni�. Nell’identit� cinese attuale e nella sfida con l’America (erede culturale e politica dell’impero britannico), la droga occupa un posto importante. Perci� dobbiamo studiare anche noi le Guerre dell’Oppio, visto il ruolo smisurato che hanno nella formazione dell’identit� nazionale cinese quasi due secoli dopo. Eccovi un mio contributo.
Un accorato appello alla regina (Vittoria)
�Immaginate che degli stranieri introducano droga da vendere in Inghilterra, e attirino i vostri cittadini perch� comprino e consumino quella sostanza. Certamente vostra maest� sarebbe offesa e indignata�. Cos� scriveva l’alto funzionario del governo cinese Lin Zexu alla Regina Vittoria nel 1839, che appena due anni prima era ascesa al trono e governava il pi� vasto impero della storia. Perch� un rappresentante della corte imperiale di Pechino segnalava la questione alla sovrana inglese? Perch� i grossisti stranieri del narcotraffico erano dei facoltosi e rispettati businessmen britannici, legati a doppio filo con le politiche imperiali di Londra. Talvolta il narcotraffico era gestito direttamente da societ� inglesi a statuto pubblico. La Regina Vittoria, lungi dall’ascoltare l’appello del governo cinese, reag� mandando le sue cannoniere in appoggio al narcotraffico di Stato. Nel conflitto persero i cinesi, e i narcos di sua maest� l’imperatrice ebbero via libera per spadroneggiare nella nazione pi� popolosa del mondo. Fare luce su quell’episodio orrendo, le sue cause e le sue conseguenze, � essenziale per capire tutte le puntate successive, nel rapporto fra la Cina e l’Occidente.
All’origine un deficit commerciale europeo
Nella prima met� dell’Ottocento la pi� grande potenza imperiale dell’Occidente, l’Inghilterra, stava accumulando un deficit commerciale con la Cina. La ragione � che la Cina poteva fornire in abbondanza merci ambite dai consumatori inglesi – a cominciare dal t� – mentre non comprava quasi nulla dalla Gran Bretagna. Finch� i mercanti inglesi presenti in India trovarono una soluzione: invadere la Cina di oppio prodotto nell’Asia centrale. Londra divenne cos� il pi� importante caso nella storia di uno Stato sovrano dedito al narcotraffico con la benedizione esplicita e ufficiale della sua massima autorit� politica.
La dinastia Qing, gi� in piena decadenza, tent� di opporsi al dilagare della tossicodipendenza che fiaccava tanti suoi sudditi, compresa una parte della �lite dirigente; proib� l’oppio. Troppo tardi. Cos� facendo, inconsapevolmente acceler� la corsa verso il disastro finale. Gli imperatori Qing erano chiusi in una visione sino-centrica, superbamente convinti della propria superiorit� verso il resto del mondo, auto-referenziali e poco curiosi di quel che accadeva fuori dei confini dell’Impero Celeste. Soffrivano anche di un automatismo legato alla storia antica della Cina: gli invasori erano sempre venuti dal retroterra continentale e non dal mare (loro stessi, i Qing, di origine straniera, erano �barbari� venuti dalla Manciuria), oppure le dinastie del passato erano state rovesciate da ribellioni interne.
L’Impero celeste sottovalut� Londra
Perci� durante tutto il Settecento i sovrani di Pechino rimasero ignari e inconsapevoli di quanto stava accadendo negli equilibri planetari: i rapporti di forze cambiavano a favore dell’Occidente e la vera minaccia era una potenza navale. Il termine �Occidente�, che io uso per semplicit�, allora era solo geografico, non geopolitico n� tantomeno culturale. L’Occidente era soprattutto l’Europa, ma per quanto riguarda la proiezione globale dei commerci e delle flotte militari era sempre di pi� il sinonimo dell’Inghilterra. Dal Settecento il commercio inglese con la Cina era stato affidato a due monopoli di Stato, la British East India Company per Londra e la Co-hong con sede a Canton sul versante cinese. Pur senza considerarsi seriamente minacciati, per antica diffidenza e per un riflesso xenofobico gli imperatori celesti avevano imposto severe restrizioni ai mercanti europei. A lungo limitarono l’accesso alla sola citt� di Canton (quella che oggi si chiama Guangzhou). Perfino l� a Canton gli stranieri dovevano circolare solo nei pochi quartieri a loro riservati, potevano rimanere per il tempo strettamente necessario ai loro affari, poi erano tenuti a tornarsene in fretta a Macao (colonia portoghese) o nell’India britannica. Nonostante queste restrizioni il commercio continuava a crescere, ma in modo quasi unidirezionale. Erano soprattutto gli europei a desiderare la seta e le porcellane dell’Estremo Oriente. A met� del Settecento esplose sul Vecchio continente e nelle sue colonie americane la moda del t�. Indiano e cinese. La coltivazione e produzione di t� indiano avveniva dentro il perimetro dell’Impero britannico, quella cinese no. La Cambridge History riporta queste cifre: l’importazione di t� cinese in Gran Bretagna era gi� di 400.000 libbre nel 1720. Nel 1800 era aumentata cinquanta volte: fino a 23 milioni di libbre annue. Per pagare tutto quel t�, dall’Inghilterra scorreva verso la Cina un fiume di argento, che a quell’epoca era il metallo prezioso pi� usato come mezzo di pagamento internazionale per saldare le transazioni con l’estero. Oltre sedici milioni di once d’argento all’anno, erano il tributo che Londra pagava ai cinesi sulla soglia del XIX secolo. Era un problema per la bilancia dei pagamenti, tutto quel metallo prezioso che usciva dalle casse britanniche e finiva nell’Impero celeste. Gli inglesi chiesero che la Cina riducesse le sue tasse sul t�, che aprisse nuovi porti al commercio estero, che allentasse tutte le regole per consentire la penetrazione di prodotti inglesi.
La soverchiante potenza navale inglese e il narcotraffico
Niente da fare, quelle pressioni britanniche nel Settecento non ebbero alcun esito. Ma tra i cambiamenti che erano sfuggiti agli imperatori Qing c’era questo: se la Cina era senza dubbio la nazione pi� avanzata e la pi� ricca del mondo appena un secolo prima, nel corso del Settecento l’Europa aveva fatto rapidi progressi, e tra l’altro si era portata in vantaggio nelle tecnologie belliche. Inoltre la Cina aveva investito poco nelle flotte, preoccupandosi soprattutto della difesa da invasioni terrestri; mentre la Gran Bretagna disponeva della tecnologia navale pi� avanzata, senza rivali a quel tempo. Cito dalla Cambridge History of China: �L’ascesa della Gran Bretagna come una grande potenza navale e un’economia dipendente dalle esportazioni, rese probabilmente inevitabile un conflitto con la Cina, visto che la Cina non aveva alcuna intenzione di organizzare il suo commercio secondo il modello europeo, e la Gran Bretagna aveva la forza per costringerla ad accettare le sue condizioni. Le specifiche circostanze del conflitto, tuttavia, si intrecciarono con il traffico dell’oppio�.
Oppio, tradizioni asiatiche e nuovi business
L’uso dell’oppio estratto dai papaveri aveva tradizioni antiche in Oriente. In Cina da tempo immemorabile era stato usato come una medicina, per esempio contro la diarrea da colera. Solo nel Seicento, per�, dal sud-est asiatico arriv� in Cina la nuova abitudine che consisteva nel fumare oppio mescolato a tabacco. Nel Settecento cominci� l’uso della pipa per fumare oppio puro. La funzione era inizialmente quella di un narcotico analgesico: contro dolori fisici e stress, per alleviare lavori pesanti. Dava dipendenza e ben presto si scoprirono tutti gli effetti collaterali delle crisi di astinenza per chi cercava di interromperne il consumo: nausea, febbri, crampi e spasmi muscolari. Gli inglesi dopo la conquista dell’India investirono massicciamente nella coltivazione di papaveri da oppio, nella produzione e distribuzione della droga.
Presto si accorsero che esportare oppio dall’India alla Cina poteva essere una scorciatoia utile per compensare lo squilibrio della bilancia dei pagamenti. Non riuscendo a vendere in abbondanza sul mercato cinese i prodotti delle manifatture britanniche, cominciarono a darsi al narcotraffico. A capo di questo business c’era una societ� semi-governativa, comunque strettamente legata alle politiche dell’Impero britannico, la East India Company: le venne assegnato un monopolio sull’oppio indiano. La societ� subappaltava a sua volta a grossi commercianti privati, quasi sempre inglesi, l’export dall’India alla Cina. Usando la tradizionale unit� di misura per il commercio dell’oppio che erano i �chest� (letteralmente casse, bauli), la Cambridge History traccia la curva esponenziale del narcotraffico di Stato: le vendite inglesi in Cina sono 200 casse nel 1729, mille casse nel 1767, arrivano a 4.500 nell’anno 1800. Segue una vera e propria esplosione: diecimila casse esportate nel 1825, quarantamila nel 1838.
Tracollo della societ� cinese e proibizionismo
Le fredde cifre dell’export sono la spia di un flagello sociale, indicano quanto la dipendenza dal consumo di oppio stia diventando una malattia di massa.
Gli inglesi non se ne preoccupano, anzi sono felici di avere scoperto la ricetta magica per far quadrare la bilancia bilaterale del commercio estero con Pechino.
Le autorit� cinesi invece sono in allarme. La tossicodipendenza fa danni enormi in tutte le classi sociali, i drogati abbondano tra i poveri contadini ma anche tra i mandarini cio� alti funzionari dell’amministrazione imperiale. Perfino alcuni eunuchi di corte, che vivono nella Citt� Proibita di Pechino e lavorano al servizio della famiglia imperiale, si sono fatti sedurre dall’oppio. Nell’anno 1800 l’Impero Qing tenta di correre ai ripari, vieta sia le importazioni che la produzione nazionale di oppio. Nel 1813 il proibizionismo si estende al consumo, un editto imperiale infligge cento frustate a chi viene colto in flagrante, pi� la condanna a indossare in pubblico una sorta di gogna in legno o collare della vergogna per un mese. I mercanti inglesi trovano il modo di aggirare il proibizionismo e di continuare a far prosperare il business dell’oppio: le loro navi gettano l’ancora al largo della costa del Guangdong nella Cina meridionale, a poca distanza dal porto di Canton, da dove partono piccole imbarcazioni di contrabbandieri cinesi che provvedono alla distribuzione della droga sulla terraferma. Seguendo un copione tristemente noto fino ai nostri tempi, il narcotraffico genera tali ricchezze che i mercanti della morte possono facilmente corrompere le polizie locali. Anticipando vicende dei nostri tempi, gi� allora in Cina si apre un dibattito sull’opportunit� di legalizzare l’oppio per sottrarne il controllo alla criminalit� organizzata (e agli inglesi che di quella criminalit� erano i veri registi e mandanti). Vince il partito proibizionista.
La visione imperiale della corona britannica
L’oppio gestito dagli inglesi si rivela essere un autentico toccasana per le finanze del loro impero. I rapporti economici tra Londra e Pechino si ribaltano. L’argento scorre sempre a fiumi, per saldare il conto dell’import-export, ma adesso il deflusso � nella direzione opposta: dall’Impero Celeste a quello della Regina Vittoria. � la Cina a soffrire un pesante deficit commerciale e un’emorragia di metallo prezioso per pagare la fattura del vizio. Nel 1839 il funzionario imperiale Lin Zexu, quello citato sopra per la sua lettera alla Regina Vittoria, viene nominato (per usare un termine in voga oggi) �alto commissario anti-droga�, e inviato da Pechino a Canton, il porto meridionale che � la piattaforma dei narcotrafficanti. Usa il pugno duro, scatena la polizia nei rastrellamenti delle fumerie e nella distruzione di partite d’oppio, chiude magazzini clandestini, fa arrestare 1.600 cinesi coinvolti nel traffico. I capi della societ� Co-hong, l’interfaccia cantonese della East India Company, sono minacciati di condanna a morte. Ma il problema sono gli stranieri, con i quali � azzardato usare metodi cos� duri. Lin Zexu cerca di comprarli: offre ai mercanti inglesi di oppio di ricomprargli le scorte di droga e i magazzini pagandoli con una merce pregiata di quel tempo, il t� cinese. Tutto inutile. � a questo punto che, per disperazione, Lin Zexu scrive quell’appello accorato alla Regina Vittoria. Dietro il linguaggio sobrio il messaggio � chiaro e forte: sua maest� si metta una mano sulla coscienza e provi a immaginare la situazione inversa, in cui una potenza straniera viene a distruggere la salute degli inglesi spacciando droghe in gran quantit� sul suo territorio. Ma la �Regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda�, come recita il suo titolo ufficiale all’incoronazione del 1837, a cui aggiunger� nel 1876 quello di �Imperatrice d’India�, dietro la facciata moralista, perbenista, rigorista, ha come obiettivo primario il mantenimento della supremazia inglese nel mondo. Per lei l’espansione dell’Impero britannico � benevola e benefica, porta una civilt� superiore negli angoli pi� reconditi e selvaggi del pianeta, protegge le popolazioni autoctone da altri imperi ben pi� aggressivi e crudeli.
Due conflitti vinti dalle cannoniere inglesi
Dunque la lettera del funzionario cinese Lin nel 1839 non ha l’effetto sperato sulla sovrana. A Londra i �poteri forti� spingono per una guerra. Nella fattispecie il potere pi� forte di tutti si chiama Jardine, Matheson and Company: nome altisonante, questa societ� di trading nasce nel 1832. Fiorisce tuttora, quasi due secoli dopo, come un astro della finanza internazionale, oggi � un conglomerato con sedi a Singapore e nel paradiso fiscale dell’isola Bermuda. All’origine Jardine, Matheson and Company ha la casa madre a Hong Kong, robusti legami con Londra, e fa profitti favolosi sull’oppio.
Il fondatore di quella societ�, William Jardine, salpa apposta da Hong Kong per Londra, per andare a fare personalmente il lobbista a favore della guerra. Quando riesce a convincere il governo di Sua Maest� ad attaccare la Cina, lui ne ricava un secondo beneficio economico: noleggia alla marina inglese navi di supporto, piloti e interpreti cantonesi. Cos� il narcotrafficante illustre riesce perfino a farsi pagare da chi combatte per difendere i suoi interessi. Il primo corpo di spedizione britannico salpa dall’India nel 1840 con sedici navi militari e trentuno navi di supporto. � l’inizio ufficiale della prima guerra dell’oppio. Le navi britanniche bloccano i porti, scatta un embargo, l’Impero Celeste � costretto a negoziare la resa. Ma le concessioni che fa non bastano agli inglesi, che nel 1841 mandano un corpo militare pi� numeroso, compreso un battaglione di diecimila soldati, che occupano Shanghai e altre citt� costiere. Decine di ufficiali dell’esercito Qing si suicidano per la disperazione, dopo il disonore della sconfitta.
La Cina ridotta a una quasi-colonia
Quando le forze inglesi assediano l’ex-capitale di Nanchino, la dinastia Qing accetta condizioni ancora pi� pesanti per la sua resa. Il Trattato di Nanchino (1842), oltre a versare un risarcimento di 21 milioni di once d’argento alla Regina Vittoria, taglia i dazi doganali al 5% e apre agli inglesi ben cinque porti (oltre a Canton ora si aggiungono Xiamen, Fuzhou, Ningbo e Shanghai).
Ha inizio cos� il periodo che potremmo definire �semi-coloniale�. La Cina non � invasa e occupata militarmente come una colonia in senso stretto. Deve per� rinunciare a pezzi della sua sovranit�. In quelle cinque importanti citt� portuali soggette alle regole del Trattato di Nanchino, i cinesi diventano cittadini di serie B in casa propria. Gli inglesi – e poi anche altri occidentali – hanno quartieri a loro riservati, corpi di polizia e tribunali speciali, nominati dai loro governi. Un cittadino inglese che commette un crimine non pu� essere giudicato da un tribunale cinese, ma solo dai suoi pari.
Risalgono a questo periodo delle consuetudini che assomigliano all’apartheid: luoghi pubblici, hotel ristoranti e parchi, dove si affiggono cartelli del tipo �vietato ai cani e ai cinesi�.
Una seconda guerra dell’Oppio si svolge dal 1856 al 1860. Questa viene condotta da un corpo di spedizione anglo-francese. L’episodio che � rimasto pi� impresso nella memoria storica dei cinesi, potreste ricordarlo anche voi: se avete visitato Pechino e siete stati in uno dei suoi monumenti storici pi� celebri, il Palazzo d’Estate dell’imperatore, la guida turistica vi avr� certamente raccontato come fu saccheggiato e bruciato nel 1860 dalle truppe anglo-francesi che volevano dare cos� una dimostrazione brutale della loro superiorit�. La Cina resta formalmente indipendente ma continuer� ad essere soggetta a incursioni di forze armate straniere, in una serie di sconfitte umilianti, seguite sempre da nuovi diktat e nuove concessioni alle potenze occidentali.
Il riscatto con i comunisti (nel 1949) e l'addio all’oppio
Quel capitolo di decadenza si chiude, almeno per l’oppio, con la rivoluzione comunista guidata da Mao Zedong, che nel 1949 porta alla creazione della Repubblica Popolare. La guerra contro l’oppio � uno dei successi innegabili del maoismo. Nel periodo della dittatura comunista pi� radicale, dalla vittoria della rivoluzione fino alla fine degli anni Settanta, molti fattori contribuiscono a far crollare le tossicodipendenze: il puritanesimo maoista, la repressione poliziesca e militare, ma anche l’isolamento commerciale e una �economia di guerra� austera, egualitaria, rigidamente controllata. Una delle ragioni per cui la maggioranza dei cinesi tuttora rispettano la memoria di Mao nonostante le atrocit� da lui commesse (fece pi� vittime di Hitler e Stalin), � che a partire dal dittatore comunista la Cina �rialza la testa�.
Nei manuali scolastici la Rivoluzione comunista e la fondazione della Repubblica Popolare nel 1949 segnano appunto la fine del �secolo delle umiliazioni�. Da quel momento ha inizio la lunga marcia verso il riscatto e la rivincita sull’Occidente.
Nessun complotto (forse) ma le parti si sono rovesciate
Ribadisco che non voglio proporvi una �teoria del complotto� fra le tante gi� in circolazione. � possibile che la Cina di Xi non stia manovrando volutamente l’export di sostanze per intossicare la popolazione americana. � possibile che i laboratori clandestini dove si fabbricano i componenti del fentanyl siano un fenomeno �di mercato�, gestito dalla criminalit� locale. � auspicabile che Xi mantenga l’impegno preso con Biden e questo aiuterebbe anche la distensione tra le due superpotenze. Ho voluto solo darvi una prospettiva cinese su questa vicenda. Loro sanno di cosa parlano, a proposito delle tossicodipendenze: la droga port� la loro civilt� plurimillenaria sull’orlo dell’autodistruzione finale, aprendola al dominio straniero, fiaccandone tutte le energie e risorse morali. Per loro l’escalation di morti da overdose negli Stati Uniti � prima di tutto l’effetto di una societ� che ha perso il senso dell’ordine, della disciplina, del dovere, e sta perdendo perfino l’istinto di sopravvivenza.
Questo articolo � apparso su Global, la newsletter di Federico Rampini: per iscriversi basta cliccare qui
9 dicembre 2023, 12:45 - modifica il 9 dicembre 2023 | 12:45
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