Riproponiamo qui le quattro puntate sulla storia del conflitto tra palestinesi e israeliani, raccontata da Lorenzo Cremonesi, inviato ad Ashkelon.
�Non credo sia possibile uno Stato degli ebrei sino a quando il Messia non sar� arrivato, sono contrario alla sua conferenza nella nostra citt�, rispose il rabbino capo di Berlino a Theodor Herzl. Colui che � considerato il leader fondatore del sionismo moderno chin� il capo senza troppo discutere e trasloc� a Basilea. La Svizzera era gi� terra d’esilio per socialisti e anarchici, non ci sarebbero stati problemi neppure per i sionisti.
Storia di Israele, dal disegno di Herzl all’Intifada fino al breve sogno della pace
Dalla risposta del sionismo a secoli di persecuzioni alla rivolta delle pietre che avvi� un processo mai concluso. Le violenze seppellirono l’ultimo spiraglio di pace nel Duemila, quando Barak cerc� invano l’accordo con Arafat
Il sogno di Herzl
Era il 1897: Herzl (1860-1904), un ebreo ungherese che faceva il giornalista a Vienna. Era il tipico assimilato con poca o nessuna conoscenza della sua tradizione religiosa, venne spinto a cercare una soluzione all’antisemitismo dopo l’Affare Dreyfus in Francia e in risposta ai continui sanguinosi pogrom contro le comunit� nell’est europeo. L’anno prima aveva scritto un pamphlet, Lo Stato degli Ebrei, in cui sosteneva che loro non erano solo una religione, bens� un gruppo nazionale ben distinto in attesa di realizzare il proprio destino. Si differenziava dagli slanci di piccoli gruppi messianici del passato, che nei secoli avevano propagandato la necessit� della ricostruzione del regno d’Israele. Le sue idee, piuttosto, erano figlie dei movimenti nazionali laici europei e dei problemi crescenti per gli ebrei, che dopo avere beneficiato della diminuzione del tradizionale antigiudaismo cristiano in un continente progressivamente pi� secolarizzato, subivano ormai l’antisemitismo razziale. Se prima ci si poteva convertire per essere accettati, adesso gli ebrei erano esclusi per sempre in nome della legge del sangue: una logica spietata che il nazismo avrebbe portato alle estreme conseguenze con la �soluzione finale� meno di mezzo secolo dopo.
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Il voto dell’Onu
Sono stati scritti migliaia di testi sulla storia del sionismo. Un modo per riassumerli � ricordare le due maggiori scuole di pensiero. Per la sinistra laburista, ci� che contava era la qualit� della popolazione: meglio avere una terra pi� piccola, per� con una netta maggioranza ebraica. David Ben Gurion (1886-1973), il costruttore dello Stato nel 1948, fu pronto a molti compromessi, compresa l’accettazione del piano di partizione della Palestina proposto dall’Onu nel 1947, pur di ottenere la legittimit� internazionale. La destra revisionista, pi� legata alla tradizione religiosa, considerava invece fosse fondamentale tornare ai confini di due millenni fa. Era la terra a determinare il tasso di ebraicit�. Ze’ev Jabotinsky (1880-1940), suo capo carismatico a periodi ispirato al Fascismo italiano, si opponeva in ogni modo alla partizione: a suo dire, solo la forza avrebbe imposto il fatto compiuto. In un celebre articolo del 1923 scriveva che gli arabi si sarebbero opposti �in ogni modo contro la presenza ebraica sino a che avranno la speranza di scacciarci� e dunque occorreva un �muro di ferro�.

Intanto, era iniziato il fenomeno dell’ Alyia, �la salita�, l’immigrazione. La prima ondata fu tra il 1882 e il 1902, circa 30.000 ebrei quasi tutti dell’est europeo raggiunsero la Palestina ottomana. Ma fu la Seconda Alyia, circa 40.000 persone dal 1904 al 1914, a costituire la pietra miliare di quello che sarebbe stato l’Yshuv, la comunit� ebraica prima della nascita dello Stato: coesa, determinata, fondatrice dei kibbutz, delle unit� militari e delle istituzioni che poi dal 1947 al 1949 avrebbero permesso di vincere la Guerra d’Indipendenza. Furono loro a concepire l’idea dell’�ebreo nuovo�. Si ispiravano al mito dei cananei; tramite lavoro agricolo si sarebbero �sposati� alla terra, l’avrebbero ebraicizzata, rovesciavano la piramide sociale della diaspora. Negli shtetl europei erano cambiavalute, banchieri, negozianti, maestri, impiegati; qui diventavano contadini, operai, soldati. Il 2 novembre 1917, quando il ministro degli Esteri britannico Arthur Balfour consegna a Lord Rothschild la celebre Dichiarazione, in cui per la prima volta si parla di un �focolare ebraico� in Palestina, l’Yshuv conta circa 56.000 persone (oltre a poche migliaia di ortodossi tra Gerusalemme e Zfat che vedono i pionieri come il diavolo) contro oltre 600.000 arabi.
Le nuove colonie sono concentrate in Galilea, nella parte settentrionale della valle del Giordano, attorno ad Haifa e poi nella piana costiera di Jaffa, dove sta nascendo Tel Aviv. Ma adesso c’� il riconoscimento internazionale, i leader sionisti cercano il sostegno inglese, americano, visitano le capitali europee. L’immigrazione cresce dopo la Prima Guerra mondiale. Le prime rivolte arabe importanti sono del 1920 tra Gerusalemme e Jaffa. Gli inglesi impongono i primi �libri bianchi� per limitare l’immigrazione. Nel 1929 il grave pogrom di Hebron prelude alle grandi sommosse antiebraiche del 1936, quando il parlamento britannico invia la Commissione Peel che afferma: i due popoli non possono convivere, occorre creare due Stati. La Seconda Guerra mondiale congela il conflitto. Ma nel 1945 l’emergere dell’abisso dell’Olocausto rid� legittimit� e riconoscimento alla necessit� di uno Stato per gli ebrei. Scatta la guerriglia. Gli inglesi decidono di abbandonare la regione entro la primavera 1948. Gli eserciti di Egitto, Giordania, Iraq, Siria e Libano attaccano assieme alla guerriglia palestinese e vengono sconfitti. Prima della guerra, gli ebrei nella Palestina mandataria erano 630.000, gli arabi 1.350.000. Il 14 maggio nasce Israele, nel suo territorio gli ebrei adesso sono 720.000, gli arabi 156.000.
La cacciata degli arabi
�Che cosa dobbiamo fare della popolazione araba rimasta nelle sue case?�, chiesero Yigal Allon, Ytzhak Rabin e altri tra i giovani comandanti del neonato esercito israeliano a David Ben Gurion. Si era nel pieno delle battaglie per Lidda e Ramleh nel luglio 1948. Le forze ebraiche stavano vincendo, eppure ancora attorno alle colline di Gerusalemme la Legione giordana resisteva sulle mura della Citt� Vecchia e dalle alture di Jenin le sue unit�, rinforzate dal corpo di spedizione iracheno, minacciavano le comunicazioni per Haifa. Da sud gli egiziani restavano attestati nel Negev. La presenza di una sacca di popolazione araba ostile sulla strada strategicamente vitale che univa Tel Aviv a Gerusalemme poteva rappresentare un pericolo. �Ben Gurion fece un gesto deciso della sua mano che diceva: buttateli fuori…�, notava Rabin nelle sue memorie. In poche ore oltre 50.000 persone, compresi vecchi e bambini, furono costretti �con la forza� a marciare nel caldo per una trentina di chilometri per raggiungere le colline della Cisgiordania. Sino a oltre tre decadi fa questo era uno dei testi pi� noti che parlava esplicitamente di un preciso piano di espulsione della popolazione araba durante la Guerra d’Indipendenza israeliana. Lo aveva scritto un soldato pluridecorato, che era stato ai vertici dell’esercito, destinato ad essere due volte premier e che sarebbe stato assassinato nel 1995 da un estremista ebreo contrario ai negoziati con Yasser Arafat in nome della divisione della terra in cambio della pace. Ma la prima pubblicazione nel 1979 era stata tenuta sottotono: per lungo tempo in Israele parlare dell’espulsione forzata degli arabi fu un tab�. La propaganda ufficiale narrava di fughe precipitose, di panico diffuso, di interi villaggi convinti a partire dai capi della resistenza palestinese locale e degli eserciti arabi con la promessa che �dopo la vittoria sarebbero tutti tornati�.
In fuga
Ci sarebbe voluto il fenomeno dei cosiddetti �nuovi storici� dall’inizio degli anni Ottanta — intellettuali come Benny Morris, Tom Segev, Avi Shlaim, Meron Benvenisti e tanti altri — che in alcuni libri fondamentali hanno progressivamente smontato uno dei dogmi originari di Israele. Lavorando soprattutto negli archivi locali (in genere le fonti arabe sono chiuse), dimostrarono che sin dalla fine del 1947 crebbe il progetto di limitare al massimo il numero di arabi nei territori del nascente Stato ebraico. Oggi � ormai generalmente accettato che oltre 700.000 arabi furono scacciati dai territori di Israele. A facilitare l’operazione fu tra l’altro l’emigrazione volontaria nei mesi precedenti delle classi medio-alte verso Beirut, Damasco, Amman o Il Cairo. Medici, ingegneri, avvocati, maestri di scuola, proprietari terrieri e gran parte del corpo dirigente del popolo palestinese, cos� come era venuto sviluppandosi dal collasso dell’Impero Ottomano e sotto il Mandato Britannico, rafforzato nella sua identit� nazionale dalla lotta contro il sionismo, di fatto scapparono, preferirono trovare rifugio all’estero. I fellahim abbandonati a loro stessi ebbero ben poca speranza di resistere. Ma c’� di pi�: gli eserciti arabi accorsi con lo slogan ipocrita di sostenere i palestinesi non ebbero alcun coordinamento tra loro. Anzi, fecero a gara per occupare intere regioni a scapito degli �alleati�. Re Abdallah di Giordania aveva stretto accordi segreti con Golda Meir, che travestita da beduino era andata a trovarlo nel suo quartier generale. Tanto che nel 1950 lui si sarebbe annesso Cisgiordania e Gerusalemme est. Una mossa contestata dai palestinesi e pagata con la vita: venne assassinato l’anno dopo da un jihadista dei Fratelli Musulmani legato al Mufti di Gerusalemme — Amin Al-Husseini, che dagli anni Venti guidava la resistenza palestinese — mentre pregava nella moschea Al Aqsa della Citt� santa.
Alleati storici
Furono gli Stati Uniti a riconoscere per primi de facto Israele all’Onu il 14 maggio 1948. Ma l’Unione Sovietica lo riconobbe de jure gi� tre giorni dopo. Il nuovo Paese era soprattutto concentrato ad accogliere gli scampati alla furia nazista, qualsiasi tipo di aiuto da ovunque arrivasse era benvenuto. Dal 1945 alla nascita dello Stato erano arrivati in 100.000, almeno 70.000 sopravvissuti ai campi di sterminio che dovettero sfidare i divieti del mandato inglese. Emerse per� una realt� terribile: la quasi totalit� dei cittadini potenziali in Europa era morta nell’Olocausto. Fu allora che si decise di favorire l’immigrazione degli ebrei dai Paesi arabi. Nei primi 4 anni di esistenza dello Stato la dirigenza askenazita lavor� per accogliere le masse sefardite, che rappresentarono oltre la met� dei migranti. Nacquero forti tensioni sociali destinate a incancrenirsi. Inizialmente non fu neppure chiaro che scelta avrebbe fatto Israele nel contesto della Guerra Fredda. Per qualche tempo la dirigenza sovietica lo guard� come un alleato. Le armi russe giunte tramite il ponte aereo dalla Cecoslovacchia avevano aiutato a vincere. Molti dirigenti sionisti venivano dalle province dell’Urss, il kibbutz (che non raggiunse mai il 6 per cento della popolazione, ma per un paio di decenni incarn� i valori collettivi) s’ispirava ai modelli economici socialisti. Per contro, gli americani erano legati alle monarchie arabe conservatrici e a lungo Washington non dimostr� troppo entusiasmo. Fu soltanto durante la Guerra di Corea che Ben Gurion scelse senza ambiguit� di stare nel campo Occidentale.
Incubi e conflitti
Nacquero allora i due miti fondativi rispettivamente dello Stato ebraico e della resistenza palestinese: la Shoah, lo sterminio; e la Nakba, la catastrofe dell’espulsione dalla propria terra. Israele era lo Stato nato per difendere tutti gli ebrei. L’incubo della Shoah divenne un’ottima motivazione per legittimare la propria difesa muscolare. Un concetto ribadito con forza ai tempi del processo contro Adolf Eichmann nel 1961. Allora la filosofa Hannah Arendt denunci� il pericolo di una strumentalizzazione della tragedia ebraica per motivi politici. �Non c’� stato leader arabo nemico che non sia stato paragonato a Hitler�, sostiene spesso Tom Segev. Da qui il concetto israeliano della guerra di �ein breir�, senza alternativa, da combattere e vincere a tutti i costi, ad ogni prezzo, per evitare il ripetersi dell’Olocausto.

Il Canale della discordia
Da allora � stata per esempio di �breir�, di scelta, la guerra del 1956. Allora Israele opt� di allearsi a Francia e Inghilterra contro il regime egiziano di Gamal Abdel Nasser. Un conflitto di stampo coloniale per il controllo del Canale di Suez, che si risolse in un flop totale e vide Washington intervenire per costringere Israele ad abbandonare il Sinai e la striscia di Gaza appena conquistati. Gli storici locali dibattono invece ancora adesso se la Guerra dei Sei Giorni sia stata inevitabile, cio� esistenziale come quella del 1948, oppure una �breir� che poteva essere evitata. Nasser, a questo punto leader carismatico della decolonizzazione e del pan-socialismo arabo, aveva fatto dell’Egitto le testa di ponte dell’influenza sovietica in Medio Oriente e della lotta contro Israele. Prigioniero della sua retorica, chiuse Suez agli israeliani e blocc� l’accesso a Eilat dal Mar Rosso.
La guerra dei Sei giorni
Fu il casus belli: all’alba del 5 giugno 1967 gli israeliani attaccavano di sorpresa l’aviazione egiziana annientandola, poi passarono a colpire la Siria. Chiesero a re Hussein di Giordania di non intervenire. Lui rispose bombardando Gerusalemme ovest. Sei giorni dopo la vittoria israeliana aveva totalmente rivoluzionato il Medio Oriente. �C’� il pericolo che le nostre forze di difesa, che sino ad oggi sono state un esercito di popolo, si trasformino in un’armata degenerata d’occupazione�, sostenne Yeshayahu Leibowitz molto presto dopo la vittoria. Ma la sua voce rimase a lungo inascoltata. Non sorprende, del resto. Israele era in festa: un popolo ubriaco di felicit� dopo l’incubo dell’annientamento. In una settimana, tra il 5 e 11 giugno 1967, era passato dal terrore che gli eserciti arabi potessero �ributtare tutti gli ebrei a mare�, come aveva retoricamente tuonato nei mesi precedenti il presidente egiziano Nasser promettendo di cancellare lo Stato nato nel 1948, al trionfo totale. Leibowitz era un filosofo, un pensatore illuminato che qualcuno poi avrebbe definito la �coscienza morale� d’Israele. Ma le sue preoccupazioni allora sembravano sinceramente fuori luogo. Soltanto ai tempi dello scoppio della Prima Intifada, la rivolta popolare palestinese del 1987, avrebbero trovato ascoltatori.
Adesso, per�, non c’era spazio per il pessimismo realista dei profeti di sventura, anche i generali laici trascinati dall’entusiasmo parlavano di �miracolo�: gli israeliani avevano perso meno di 1.000 soldati, i caduti della coalizione araba erano invece almeno 18.000, oltre a migliaia di feriti e prigionieri. Il piccolo Davide aveva sbaragliato la coalizione dei Golia che lo volevano morto e ora, grazie alla nuova �profondit� strategica�, poteva proporre loro un accordo di pace in cambio del ritiro. Il suo territorio era pi� che triplicato, col risultato di vedere dimezzati i confini da difendere: a sud era stato preso tutto il Sinai, compresa la Striscia di Gaza; nel nord il controllo delle alture del Golan allontanava i cannoni siriani dalle acque contese e vitali delle fonti del Giordano e del lago di Tiberiade; soprattutto, era stata presa la Cisgiordania, compresa l’intera Gerusalemme orientale con il Muro del Pianto e gli altri luoghi Santi. E ci� era avvenuto senza che ci fosse un piano preciso.
Tutt’altro: sino all’ultimo il governo Eshkol aveva chiesto a re Hussein di Giordania di non intervenire. Lui per� era condizionato dalla propaganda della solidariet� araba e oltretutto il trionfo sembrava a portata di mano. �Nasser mi imbrogli�. Mi fece credere che gli aerei tracciati sui radar in rotta verso Tel Aviv fossero suoi all’attacco, invece, erano i caccia israeliani di ritorno dopo aver bombardato l’intera aviazione egiziana parcheggiata nelle basi�, ci avrebbe detto lui stesso durante un’intervista ad Amman nei primi anni Novanta. L’amaro dell’essere stato tradito dai �fratelli arabi� restava pi� doloroso che mai. Occorre sottolineare che a quel punto la politica israeliana si ritrov� a dover improvvisare. Non esisteva un piano preciso su cosa fare dei territori appena conquistati e della loro popolazione. Nel passato David Ben Gurion aveva detto di non volere la Cisgiordania proprio per non stravolgere gli assetti demografici. Le convenzioni internazionali e l’Onu vietavano l’annessione delle terre conquistate con la guerra. Pi� tardi la posizione israeliana sarebbe stata quella di propagandare che i �tre no� al summit arabo di Khartoum nel settembre 1967 — no alla pace, no al riconoscimento e no al negoziato — avrebbero lasciato come unica via quella dell’occupazione. In realt�, il governo Eshkol il 19 giugno si era detto pronto alla pace con l’Egitto in cambio del Sinai (ma tenendosi la Striscia di Gaza) e con la Siria rendendo il Golan.

Quanto alla Cisgiordania, le cose erano pi� sfumate: il 25 giugno si decise di annettere Gerusalemme est e di proporre a re Hussein una trattativa per rimanere in controllo di alcune aree non meglio definite. La politica dei �fatti compiuti� intanto avanzava: vennero riaperti gli insediamenti a Gush Etzion e a Hebron. A Gerusalemme est le requisizioni di terre arabe per la costruzione di nuovi quartieri ebraici erano all’ordine del giorno. Nel gennaio 1969 erano gi� stati inaugurati 10 insediamenti sul Golan, 2 nel Sinai, 5 in Cisgiordania, con la prospettiva di nuovi a breve. Pi� avanti Yigal Allon avrebbe presentato un piano per l’annessione della valle del Giordano e le zone meno abitate della �Giudea e Samaria� bibliche. Si ripresentava per� lo stesso quesito che dalla fine dell’Ottocento aveva smentito il celebre slogan sionista della �terra senza popolo per un popolo senza terra�. In verit�, una popolazione locale c’era e non aveva alcuna intenzione di andarsene. Nel 1948 oltre 700.000 palestinesi erano stati espulsi, e solo 150.000 avevano avuto il permesso di diventare cittadini israeliani. Dopo la guerra 19 anni dopo, circa 250.000 avevano ripreso la via dell’esilio, specie verso la Giordania della �sponda orientale�. Per�, quasi un milione e 200mila erano rimasti e tra loro si trovavano tanti profughi del 1948 (oggi i loro discendenti nelle zone controllate da Israele sono diventati circa 2 milioni e 200mila a Gaza e quasi 3 milioni in Cisgiordania, a fronte di circa 9 milioni e 500mila cittadini israeliani, di cui quasi 2 milioni arabi).
Integrazione economica, apartheid politico
Le conseguenze politiche, sociali e militari della situazione scaturita dalla Guerra dei Sei Giorni furono sostanzialmente due: il conflitto arabo-israeliano si �palestinizzava�, nel senso che erano adesso l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) guidata da Yasser Arafat e le altre formazioni della guerriglia legate ai movimenti rivoluzionari socialisti a condurre la lotta. In Israele, intanto, cresceva il progetto di annettere i territori occupati, se non tutti, almeno buona parte di essi. La vittoria elettorale nel 1977 del partito nazionalista Likud guidato da Menachem Begin (dal 1948 avevano sempre prevalso i laburisti, tranne il periodo dell’unit� nazionale per la guerra del 1967) avr� come conseguenza l’aperto sostegno governativo alla colonizzazione. La politica dei �ponti aperti� con la Giordania e l’utilizzo della mano d’opera palestinese dei territori a basso prezzo nei cantieri e tra i campi agricoli israeliani favor� lo sviluppo economico, in parallelo tuttavia legava sempre pi� gli occupati agli occupanti. Ma all’integrazione economica non segu� affatto quella politica e ci� port� una situazione paragonabile all’Apartheid sudafricano.
Dirottamenti aerei e ostaggi
Il 1968 vede crescere violenze e attentati. L’Olp opera dall’estero, ma anche da Cisgiordania e Gaza. I fedayeen attaccano gli israeliani dove possono, uccidono i collaborazionisti nei territori occupati. Israele reagisce col pugno di ferro. Arafat cerca allora defenestrare re Hussein per trasformare la Giordania in Stato palestinese da cui puntare sulla �sponda occidentale� del Giordano. Fu il �settembre nero� del 1970, che caus� migliaia di morti e la cacciata dell’Olp in Libano. Cresce il terrorismo caratterizzato da dirottamenti aerei, catture di ostaggi, violenze gravissime come la strage degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco nel 1972. L’anno prima il comandante del fronte meridionale, generale Ariel Sharon, aveva deciso di �ripulire Gaza dal terrorismo una volta per tutte�: il coprifuoco venne imposto per settimane intere, i bulldozer militari cercarono di distruggere i tunnel e bunker sotterranei. Tre grandi campi profughi — Jabalyia, Rafah e Shati — vennero sventrati per costruire ampie strade che permettessero l’accesso rapido di blindati e tank.

La guerra del Kippur
Tre anni dopo, l’attacco a sorpresa degli eserciti egiziano e siriano colgono le difese israeliane impreparate. � la debacle nella Guerra del Kippur del settembre 1973. I tank egiziani sfondano la Linea Bar-Lev sul Canale di Suez e irrompono nel Sinai. A nord, le colonne siriane riprendono il Monte Hermon, quasi tutto il Golan e puntano a Tiberiade. L’incubo dell’annientamento cancella l’illusione d’invincibilit�. Golda Meir per un attimo pensa di ricorrere all’atomica e fa preparare i missili a Dimona. Gli americani fanno un ponte aereo ed evitano il peggio. Gli storici ritengono che proprio quello shock abbia preparato le condizioni per la Pace di Camp David sei anni dopo, quando Begin e Anwar Sadat si stringono la mano con la benedizione di Jimmy Carter: Israele si ritira dal Sinai (ma tiene Gaza) e in cambio l’Egitto normalizza le relazioni.
La nascita dell’Intifada
L’incidente tra la camionetta militare e il taxi carico di pendolari palestinesi di ritorno a casa dai cantieri attorno a Tel Aviv avviene nelle viuzze del campo profughi di Jabalia, tra i pi� sovrappopolati di Gaza. I quattro morti vengono trasportati all’ospedale Shifah. Si sparge la voce che a ucciderli sia stato il fratello di un commerciante israeliano accoltellato a morte poco lontano il giorno prima. Una vendetta? In realt� non � vero, come del resto spesso sono false o distorte le dicerie che echeggiano nei vicoli della Striscia. Ma basta poco per accendere la scintilla della rivolta. � l’8 dicembre 1987. Il giorno dopo passa alla storia come la data di nascita dell’Intifada, un termine che in arabo sta per �scrollarsi di dosso� ed era stato utilizzato dalle rivolte irachene contro l’occupazione britannica negli anni Venti. I funerali diventano proteste con tiri di pietre, copertoni in fiamme. I soldati, colti di sorpresa, non dispongono di lacrimogeni o proiettili di gomma, sparano pallottole d’ordinanza. Ogni morto alimenta la rabbia, ogni corteo fermato con la forza diventa occasione di ulteriori scontri. I giovani non inneggiano all’Olp, ci sono poche immagini di Yasser Arafat, come invece era stato nelle rare manifestazioni contro l’occupazione sino ad allora, bens� parlano di �jihad�, guerra santa, i loro caduti sono �shahid�, martiri come li definisce il Corano. Non c’� una vera organizzazione centrale, mancano capi o direttive.
Nascita di un mito
In breve, l’Intifada paralizza tutta Gaza, raggiunge la Cisgiordania, arriva a Gerusalemme Est. Nasce il mito dei �ragazzi delle pietre�, giovani disarmati contro l’esercito pi� potente del Medio Oriente. Israele � diventato Golia e Davide lo sfida in casa. Nel suo saggio Il vento Giallo , apparso soltanto pochi mesi prima, lo scrittore israeliano David Grossman aveva messo in guardia sulla situazione esplosiva: nei territori occupati da due decenni era cresciuta una nuova generazione di palestinesi che, a differenza dei loro padri e nonni traumatizzati dalle sconfitte del 1948 e del 1967, erano pronti a ribellarsi. A peggiorare il quadro era l’Islam politico, cresciuto dall’eclissi di Nasser e adesso arrivato anche nelle strade palestinesi. Questa fu l’intifada: un movimento spontaneo che prese di sorpresa sia Israele che l’Olp e costrinse a rimettere in questione lo status quo dell’occupazione di Cisgiordania e Gaza dopo il 1967. Tra il 1987 e il 1993 i palestinesi morti sono stati quasi 2.000, di cui 360 uccisi dagli attivisti interni perch� accusati di �collaborazionismo�. Le vittime israeliane ammontano a circa 200. Da allora i palestinesi dei territori occupati hanno avuto un ruolo sempre pi� importante e con essi i radicali islamici di Hamas, che erano nati a Gaza nel 1988 e tendevano sempre pi� a monopolizzare le piazze della rivolta. Se ne rese conto presto re Hussein di Giordania, che annunci� la rinuncia a qualsiasi pretesa del suo Paese sulla Cisgiordania persa nel 1967. Arafat da Tunisi cerc� subito di cavalcare la tigre. Ma la sua scelta di sostenere Saddam Hussein dopo l’invasione irachena del Kuwait nel 1990 lo isol� nello stesso mondo arabo. Indebolito tra i palestinesi e marginalizzato sulla scena internazionale, il leader dell’Olp accett� allora di avviare il dialogo con Israele nella speranza di tornare a rappresentare la sua gente.

Il piano di pace firmato nel 1993 tra Arafat e Ytzhak Rabin prevedeva un periodo ad interim, durante il quale i palestinesi avrebbero progressivamente assunto il controllo dei territori. Quindi, la nascita del nuovo Stato palestinese si sarebbe accompagnata nella fase finale alla soluzione delle questioni pi� spinose, quali la definizione precisa dei confini e soprattutto la divisione di Gerusalemme. Fu allora che Hamas intensific� gli attentati terroristici col preciso intento di boicottare gli accordi di pace e allo stesso tempo delegittimare l’Olp, che in questa visione tradiva la Waqf, la sacra terra della Palestina Islamica. Dagli accordi di Oslo nel settembre 1993 al settembre 2000, quasi 300 civili israeliani rimasero uccisi negli attentati kamikaze.
I nemici degli accordi
Ma tra i nemici del piano di pace c’era anche la destra ebraica, che lanci� un’intensa campagna di militanza e raccolta fondi per costruire nuove colonie e ampliare quelle esistenti con il preciso intento di impedire la nascita dello Stato palestinese. Come Hamas rifiutava il compromesso territoriale in nome dell’Islam, cos� tanti tra i cavalieri della colonizzazione sostenevano il sacro diritto ebraico a governare la Giudea e Samaria bibliche. Il 25 febbraio 1994 Baruch Goldstein, residente nella colonia di Kiriat Arba, raggiunse la Grotta dei Patriarchi nel cuore di Hebron e massacr� a mitragliate 29 musulmani. Un attacco che rinfocol� il terrorismo di Hamas.
L’assassinio di Rabin
Il colpo mortale al traballante processo di pace fu inferto da Yigal Amir, un 25enne religioso, che la sera del 4 novembre 1995 assassin� a colpi di pistola il premier laburista Ytzhak Rabin davanti a decine di migliaia di persone riunite nel centro di Tel Aviv per una manifestazione in nome del compromesso e contro la violenza. Un momento drammatico e catartico: Rabin da ex militare falco era l’unico leader laburista abbastanza carismatico da poter fare accettare alla maggioranza degli israeliani il principio della resa della terra in cambio della pace. La sua fine fu l’eclissi delle speranze. Tra il settembre 2000 e il 2005 bruci� la seconda intifada, molto pi� sanguinosa della prima: gli israeliani uccisi furono circa 700, quelli palestinesi 3.350. Le violenze seppellirono l’ultimo spiraglio nel Duemila, quando Ehud Barak, un altro premier laburista con il passato glorioso di soldato, cerc� di accordarsi con il vecchio capo palestinese. Ma Arafat rimase rigido su Gerusalemme. �Non voglio passare alla storia come il responsabile che ha svenduto la terza citt� santa dell’Islam�, confess� prima di morire nel 2004. I tempi stavano cambiando. Ariel Sharon volle il ritiro unilaterale da Gaza nel 2005, ma non lo negozi� con l’Autorit� palestinese adesso diretta da Mahmoud Abbas a Ramallah, lasciando cos� che Hamas e Jihad islamica potessero piantare le loro bandiere sugli insediamenti ebraici appena abbandonati. �Vorrei chiudere i cancelli di Gaza e gettare le chiavi in mare�, disse Sharon a marcare la fine del dialogo politico con i palestinesi. Sono seguiti i governi di Netanyahu, la colonizzazione selvaggia e in parallelo la crescita del peso di Hamas, che hanno vanificato qualsiasi prospettiva di accordo
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21 novembre 2023 (modifica il 21 novembre 2023 | 10:58)
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