Il mistero della ringwoodite, il minerale che potrebbe svelare l'esistenza di un “oceano” al centro della Terra
Il ritrovamento ha spinto il ricercatore David Wilcock ad azzardare una teoria secondo cui esisterebbe una «civiltà interiore» nelle cavità che si formano sotto la crosta terrestre, un po' come fece Jules Verne

C’è la possibilità di incontrare l’acqua, andando verso il centro del nostro pianeta? Alla domanda aveva già risposto Jules Verne con il suo «Viaggio al centro della Terra» ed era una risposta affermativa. Il professor Otto Lidenbrock, suo nipote Axel e la guida Hans, scesi da un vulcano islandese e riaffiorati sotto lo Stromboli, nel percorrere condutture speciali e dopo aver affrontato avventure di ogni tipo avevano avuto modo di constatare l’esistenza di un immenso lago che si estendeva «oltre i limiti della vista». Anzi, forse era addirittura un oceano, deserto e selvaggio, contornato sì da coste ma dalle dimensioni enormi.
Il minerale raro
D’accordo, questa è stata una suggestione letteraria che ha accompagnato le letture di molti (e probabilmente la loro curiosità, oltre che la voglia di qualcosa di intrigante, nel puro spirito della fantascienza). Eppure la visione di Verne potrebbe non essere affatto distante dalla realtà. E questo l’ha detto addirittura (alcuni anni fa) la rivista Nature. L’esistenza di uno smisurato mare sotterraneo potrebbe essere possibile e lo indicherebbe la scoperta di un minerale di colore blu denominato «ringwoodite», nome derivato dal biochimico Alfred Ringwood che lo scoprì. Il minerale fu trovato nel 2008 in Brasile, nella regione del Mato Grosso. Qui i minatori rinvennero un diamante e all'interno di esso gli scienziati trovarono un frammento di ringwoodite.
Perché è importante questo ritrovamento? Perché è stato stabilito che il diamante si era formato tra i 4 e i 600 chilometri sotto la crosta terrestre. La ringwoodite è in grado di intrappolare al suo interno una piccola percentuale di acqua, tra l'1% e il 2% del suo peso: una quantità esigua ma se la percentuale fosse rappresentativa di tutta la zona di transizione del mantello, significherebbe che in quella regione del pianeta è contenuta una quantità d'acqua immensa, paragonabile alla massa totale di tutti gli oceani sulla superficie terrestre messi insieme (anche se non bisogna immaginare un vero e proprio oceano all'interno del pianeta, perché l'acqua presente nel mantello avrebbe forma di ioni idrossido, OH-, intrappolati nella struttura cristallina della ringwoodite).
Per semplificare: la presenza di molecole d’acqua in ragione dell’1,5% della massa totale, ha portato alcuni ricercatori a elaborare l’ipotesi dell’abbondanza di questo liquido basilare nella zona di transizione del mantello. Verne, seppur fantasticando, avrebbe in qualche modo insomma visto giusto. Secondo gli scienziati l’enorme oceano «underground» potrebbe spiegare anche la notevole attività vulcanica e tettonica del pianeta.
Occhi allo spazio, e non al centro della Terra
La teoria propone così che la ringwoodite rinvenuta «fornisce la prova della presenza di sacche d’acqua nelle zone profonde terrestri» (parole di Graham Pearson, un ricercatore universitario canadese). Ma il guaio è che non siamo ancora in grado di esplorare adeguatamente quanto sta sotto i nostri piedi (in realtà un bel po’ sotto i nostri piedi): continuiamo a rivolgere l’attenzione allo spazio, però mancano progetti e mezzi per scandagliare che cosa c’è veramente sotto la terra e sotto gli oceani che conosciamo. Ma come ha fatto allora a spuntare questo diamante, largo solo 3 millimetri e privo di valore commerciale ma ugualmente consegnato ai ricercatori in caccia di nuovi tipi di rocce? Il reperto che ha agitato gli scienziati pare sia spuntato in superficie grazie a un’eruzione vulcanica in un lavaggio di kimberlite, roccia profonda formata dal magma.
La teoria delle civiltà «interiori»
Gli approfondimenti sulla ringwoodite proseguiranno, ma il tema si sposa a un altro argomento che tiene banco da un po’ di anni: ovvero, la possibilità che ci siano civiltà «interiori» nella Terra. Questo lo sostiene, fin dal 2015, il ricercatore David Wilcock. È uno scienziato un po’ sui generis, perché è pure un appassionato di meditazione (oltre che di musica varia, incluso il jazz-fusion). Comunque secondo lui in tutti i pianeti acquosi dell’universo si formano cavità sotto la superficie della crosta dotate di un bioma in grado di ospitare batteri che emettono luce naturale. Quindi in queste caverne si potrebbe vivere. Di qui la conclusione suggestiva: le cavità possono essere state sfruttate da civiltà avanzate per avere una zona «di parcheggio» in cui risiedere e controllare quanto accade sopra. «Un esempio di quanto sostengo – ha dichiarato Wilcock – è rappresentato dagli Atlantidei: si rifugiarono lì per sopravvivere a tempi duri. Però non si spostarono più».
Alieni imbucati dentro la Terra
Il ricercatore si è spinto perfino oltre, sfidando critiche e sberleffi: al «piano di sopra» si sarebbe a conoscenza di questa realtà sotterranea. Il governo statunitense, a suo dire, sa tutto perché ha fatto la scoperta in modo accidentale quando ha dato corso a progetti segreti per realizzare basi sotterranee: «A volte le macchine perforatrici hanno sfondato in posti in cui non sarebbero dovute andare. E a quel punto è stato inevitabile constatare che lì c’era già della gente». Alieni imbucati dentro la Terra, una tesi già sentita in altri contesti? O terrestri che diventano, sostanzialmente, alieni?