I risultati delle elezioni nel Regno Unito, exit poll e dati in diretta | Urne aperte fino alle 23 italiane

 |  04 Luglio

Chi è Keir Starmer, candidato del Labour alle elezioni in Gran Bretagna

(Marco Imarisio, inviato a Londra) La foto che non ti aspetti è appesa a un pannello pieno di post-it gialli dietro la sua scrivania. Judy, la segretaria che organizza la sua agenda, allarga le braccia quasi a scusarsi. «Non so come ci è finita lì sopra, ma sarà stato lui stesso a metterla: è il suo idolo assoluto». Con la maglia biancorossa di quando giocava all’Ajax, un giovane Johan Cruyff sorride a Keir Starmer ogni volta che lui apre la porta, di ritorno da quelle che il probabile nuovo primo ministro del Regno Unito chiama «le mie giornate con pasti tripli». Tre colazioni, tre pranzi, spesso tre cene.

L’ultima tappa prima del rientro a Londra nel quartier generale di Camden, il suo collegio elettorale, è stata a Hucknall, piccola città nella contea di Nottingham, ai piedi del cosiddetto muro rosso del Labour, le terre operaie delle Midlands e del nord Inghilterra che nel 2019 crollarono sotto i colpi del populismo istrionico di Boris Johnson. «Lord Starmer, ce la fa a tornare a casa prima delle 18?», gli ha chiesto a pomeriggio ormai inoltrato un militante, mentre palleggiavano insieme sul campo della locale squadra di calcio. «Non credo», è stata la risposta. «Ma grazie a Dio non è ancora venerdì».

​Quando le cose possono andare bene, lo faranno. La campagna elettorale di Starmer sembra sovvertire i luoghi più comuni. Anche la polemica del giorno è girata per l’ennesima volta in suo favore. Durante la consueta diretta radiofonica del mattino, ribadisce di voler dare del tempo di qualità ai suoi figli, come afferma qualunque genitore. «Quindi il venerdì, al solito, non farò nulla di lavorativo dopo le sei del pomeriggio, qualunque cosa accada». Ma i Tories attaccano a testa bassa: «È uno che timbra il cartellino», «Sarà un primo ministro part time».

Interviene anche Rishi Sunak, per far presente che da quando si trova a Downing street non ha mai staccato alle 18, anzi. Passano poche ore, e il sospetto di aver sbagliato l’ennesima mossa di una campagna elettorale da Paperino si fa strada tra i Conservatori. Ma la misteriosa Victoria, la First Lady riluttante, ossessionata dalla privacy al punto che nessuno conosce i nomi dei due figli della coppia, non è forse di religione ebraica? Ahia.

Come in Francia, anche la campagna elettorale inglese ha avuto come sottotesto il tema dell’antisemitismo strisciante. E da abbonato all’Arsenal nonché simpatizzante in seconda battuta dell’Ajax, la squadra del ghetto di Amsterdam, Starmer non si lascia sfuggire l’occasione di segnare un altro gol in contropiede: «Per alcune religioni il venerdì sera è un momento importante. Ma conta anche la volontà di stare con i miei cari».

Non è vero che Keir Starmer stia solo approfittando della dissoluzione dei Tories. Nel piccolo ufficio di Camden, anch’esso scelto con cura, in uno dei pochi caseggiati popolari del quartiere, le sue devote assistenti affermano che «ha tutte le carte in regola». A cominciare dalle origini operaie, sventolate con orgoglio, nonostante la laurea a Oxford e la residenza nella ricca enclave di Kentish Town ne facciano anche un esempio dell’alta classe britannica.

Nasce nel 1962 alla periferia di Londra da papà Rod, attrezzista in una fabbrica, e da Josephine, infermiera in congedo per una grave malattia. Entrambi socialisti, i genitori lo chiamano Keir, che in gaelico significa «oscuro», in omaggio al capo dei minatori scozzesi Keir Hardie. Il padre gli vieta di guardare la televisione. Lui reagisce sviluppando una mania per il calcio, che oggi usa come metafora per qualunque argomento. Proprio ieri gli è stato chiesto se si sarebbe mai immaginato di poter diventare un giorno primo ministro: «I miei quattro fratelli non hanno potuto andare all’università. Io sono stato il primo della famiglia a farlo. C’è sempre stata una voce nella mia testa che mi diceva: la gente come te non diventa parlamentare».

​Starmer l’oscuro comincia come avvocato. È in questa veste che conosce la collega «Vic», che nel 1997 sta facendo la volontaria per la campagna di Tony Blair. Lei lo converte al vegetarianismo, non totale, e lo inserisce nella comunità ebraica londinese. Nel 2019, quando diventa segretario di un Labour disastrato e tacciato di antisemitismo, la convinzione generale è che quell’uomo dal faccione bonario e dall’eloquio mai brillante sia una figura di passaggio. Keir e Vic, che più volte lo convince a non mollare, hanno altre idee. Starmer avvia una specie di terapia d’urto. Elogia Margaret Thatcher come «fulgido esempio di servizio pubblico».

Affronta il tema dei costi della transizione ecologica, un tabù a sinistra. E abolisce ogni discussione sulla Brexit, definita addirittura «una opportunità da perfezionare». La vera rivoluzione è l’allontanamento degli elementi in odore di antisemitismo, a cominciare dal suo predecessore Jeremy Corbyn. Lentamente, e non senza contraddizioni, il Labour torna a essere una scelta potabile per il ceto medio. Il resto lo fanno i Tory. Starmer non ha mai colpi d’ala, ma si impegna nel trasmettere una immagine di solidità a un Paese spaventato dal proprio declino.

Ieri, sul campo di Hucknall, gli è stato domandato anche quale definizione darebbe di sé. Ci ha pensato sopra un momento. «Sono una persona che quando si accorge dell’esistenza di un problema, cerca di risolverlo. Molti pensano che la passione consista nell’urlare e insultare. Per me invece si tratta di aggiustare le cose, rendendole migliori». Subito dopo, Keir Starmer si è girato e con il sinistro, come amava fare spesso il suo idolo Cruyff, ha calciato il pallone, che è entrato nella porta vuota.

FILE - Britain's Labour Party leader Keir Starmer speaks on stage at the launch of The Labour party's 2024 general election manifesto in Manchester, England, Thursday, June 13, 2024. The United Kingdom will hold its first national election in almost five years on Thursday, with opinion polls suggesting that Prime Minister Rishi Sunak's Conservative Party will be punished for failing to deliver on promises made during 14 years in power. (AP Photo/Jon Super, File)
 |  04 Luglio

Chi è Rishi Sunak, il premier milionario e quel feeling mai nato con il popolo

(Marco Imarisio, inviato a Londra) «Salve, anche lei è qui per la nuova stagione di The last of us?» Mercoledì notte, nel cuore di Chelsea. L’ottimismo non abita tra i giovani volontari Tories che distribuiscono volantini davanti al Museo delle Forze Armate. Ridacchiando, fanno continui riferimenti alla serie televisiva che racconta della lotta di pochi esseri umani sopravvissuti in un mondo devastato da una piaga apocalittica. Come a dire che da questa sera il mondo nel quale sono cresciuti rischia l’estinzione.

All’interno dell’edificio, nella navata centrale, è stato predisposto una specie di studio televisivo con una platea di cento persone ben scelte tra i militanti del partito. L’impressione da restituire ai media deve essere quella di una mini-convention, un evento spontaneo ma non troppo con il quale chiudere in maniera simbolica la campagna elettorale nella capitale. «Will you please welcome…» L’annunciatore lascia il nome in sospeso per una buona decina di secondi. E poi scandisce il nome della stella della serata. Quello del grande nemico interno Boris Johnson, accolto da una ovazione. Non il suo.

​È come se esistesse una barriera invisibile tra Rishi Sunak e il popolo dei conservatori, del quale l’attuale primo ministro ha assunto la guida quasi due anni fa in un momento drammatico, dopo il disastroso interregno di Liz Truss, che gli inglesi ricordano ancora oggi con un certo sgomento. Lui ce la mette tutta, per sembrare o essere davvero «L’ultimo» dei loro. Anche ieri, agli sgoccioli del suo viaggio tra i collegi più in bilico, mirato non a vincere ma a salvare l’onore, ha provato a recitare la parte dell’inglese di classe media, alla buona e dalla vita come quella di tutti gli altri. «Sono un uomo da sandwich» ha detto durante una intervista rivelando qual è il suo pasto preferito. «Anche se la notte delle elezioni mi faccio preparare una torta di carne speciale dal macellaio del mio quartiere». Non era tanto quel che diceva, ma il modo. «Suona sempre più falso di una moneta da tre sterline» ha confidato un anonimo consigliere dei Tories ai media conservatori.

​Fingere di non essere sé stessi è la più difficile delle imprese. Sunak è arrivato persino ad abiurare i suoi solidi principi liberal-thatcheriani per abbracciare gli slogan del populismo di destra, che evidentemente non gli calzano a pennello. Ma rimane pur sempre il più ricco primo ministro della storia inglese, oltre che la prima di origine indiana e di fede induista a ricoprire quella carica. La sua fortuna privata è stimata intorno agli 800 milioni di euro, il doppio di quella di Re Carlo. Certo, è figlio di immigrati. Ma in termini di umili origini, neppure questa è una buona carta da giocare. La sua famiglia si è potuta permettere di farlo studiare all’esclusivo Winchester College e poi a Oxford. Dopo la laurea, durante un master a Stanford incontra la sua futura moglie, una delle più ricche ereditiere indiane. Intanto, lui diventa uno dei dirigenti più importanti di Goldman Sachs e il gestore di alcuni importanti fondi di investimento privati.

Oltre alla casa londinese dal valore di otto milioni di euro, è proprietario di una tenuta nel Nord dell’Inghilterra che gli è valso il soprannome di «sultano dello Yorkshire». Anche tra i conservatori, Sunak viene percepito come una eccezione. Non il classico rappresentante della loro classe dirigente, ma un prodotto dell’alta finanza, ben lontano dai problemi dell’uomo della strada.

Era il 22 maggio, quando sotto una pioggia battente, con la giacca e i capelli inzuppati d’acqua, annunciava davanti a Downing street la decisione di indire le elezioni con quattro mesi di anticipo. Quell’immagine fantozziana lo ha accompagnato come una maledizione durante quella che il solito anonimo conservatore ha definito la peggior campagna elettorale di sempre. Sunak abbandona le celebrazioni dello sbarco in Normandia prima del dovuto, richiamato in patria da una intervista televisiva, e viene costretto a chiedere scusa. In un altro intervento pubblico, dichiara di avere avuto anche lui una infanzia difficile, perché non aveva l’abbonamento a Sky. Infine, è obbligato a licenziare i suoi più fidati consiglieri, scoperti a scommettere sulla data del voto anticipato grazie alle informazioni che presumibilmente avevano ottenuto da lui. Ieri ha dichiarato di voler restare alla guida dei Tories per i prossimi cinque anni. Ma Rishi Sunak rischia anche di venire ricordato come il primo capo di governo uscente a non essere rieletto nel proprio collegio.

FILE - Britain's Prime Minister Rishi Sunak gives an update on the plan to "stop the boats" and illegal migration during a press conference in the Downing Street Briefing Room in London, Thursday Dec. 7, 2023. United Kingdom voters will cast ballots in a national election Thursday, passing judgment on Sunak?s 20 months in office, and on the four Conservative prime ministers before him. (James Manning/Pool via AP, File)
 |  04 Luglio

I temi e i programmi

Dopo una campagna elettorale durata poco più di un mese, i temi che premono alla gente, stando ai sondaggi, sono l’economia, la sanità, l’immigrazione, le case, l’ambiente. Come vivere meglio, insomma, sullo sfondo delle difficoltà dei giovani nel trovare un impiego e pagarsi l’affitto, servizi allo stremo, il costo della vita.

Lo slogan dei laburisti è "cambiamento": dopo 14 anni di governi conservatori – l’ultimo premier laburista era stato Gordon Brown nel 2010 – è ciò di cui l’elettorato britannico sembra avere voglia e bisogno. Intanto negli ultimi quattro anni un cambiamento c’è stato anche nella linea del partito, con il “più moderato” Strarmer che nell’aprile del 2020 ha sostituito Jeremy Corbyn. Assicura di non aumentare le tasse sul reddito, di non gonfiare la spesa pubblica e promette il salario minimo. Il programma del Labour prevede poi l’innalzamento al 20% dell’Iva sulle rette delle scuole private per potenziare l’istruzione pubblica e la paga dei professori. Sull’ambiente è previsto un investimento di 3 miliardi e mezzo di sterline per la transizione green, l’espansione della tassa sugli extra-profitti per il settore oil&gas e il bando della vendita di veicoli a benzina o diesel dal 2030 (rinviato dai conservatori). Strarmer, poi, si è impegnato ad abolire il contestato programma di trasferimento dei migranti irregolari in Ruanda. In politica estera, sostegno a Kiev e Israele (su entrambi i fronti Corbyn ha idee diverse), anche se la leadership del partito si è impegnata a rispettare le decisioni delle Corti de L’Aja sui vertici israeliani e di Hamas.

Sunak e i conservatori hanno puntato molto sull’economia e sull’immigrazione: sul primo punto hanno rivendicato la sfida vinta sull’inflazione e una crescita superiore alle stime, sul secondo – tema enfatizzato da Sunak soprattutto negli ultimi giorni – hanno confermato il “piano Ruanda” e promesso un tetto agli ingressi nel Paese. I conservatori si sono impegnati ad alzare al 2,5% del Pil la spesa per la Difesa (con conseguente sostegno alla Nato, all’Ucraina e a Israele), a contenere i costi del welfare e a tagliare il numero di dipendenti pubblici. Sull’ambiente, poi, nessuna “tassa green” e la costruzione di una nuova centrale nucleare.

Reform di Farage si presenta con una piattaforma populista e di destra. I possibili ostacoli non mancano: se una parte dell’elettorato ricorda e apprezza la sua campagna per l’uscita dall’Unione europea, piacciono meno l’amicizia con Donald Trump – per il quale Farage continua a raccogliere fondi in Gran Bretagna –, l’ammirazione per Vladimir Putin «come operatore politico» e le tendenze razziste del partito. Aveva fatto scalpore una sua frase sul premier Sunak, che ha origini indiane: «Non capisce la nostra cultura e la nostra storia», aveva detto a riguardo della partenza anticipata del premier dalla cerimonia in onore dello sbarco in Normandia. Dopo sette tentativi falliti, mr. Brexit spera nella sua prima elezione a Westminister nel seggio di Clacton, nell’Essex.

 |  04 Luglio

Cosa dicono i sondaggi 

I laburisti di Starmer sono in testa secondo tutti i sondaggi. La speranza dei Tories, sottolineata da Sunak negli ultimi comizi, è di una risalita in extremis che limiti il successo dell’attuale opposizione (la supermaggioranza viene così utilizzata come spauracchio per gli indecisi: cosa farà il Labour se non avrà alcun freno?). In realtà ci sono ancora molti seggi in bilico, e il distacco potrebbe essere più o meno ampio anche per una manciata di voti in ogni collegio conteso.

II vantaggio sui conservatori delineato dai pronostici spaventa i laburisti perché occorre che la gente si ricordi che ogni voto conta e che vada a votare, e perché in un sistema elettorale come quello britannico anche poche preferenze fanno la differenza. In ogni caso, la loro vittoria sembra scontata: le proiezioni indicano che otterranno circa il 40% dei voti e fino a 420 dei 650 seggi della Camera dei Comuni (217 in più rispetto al 2019). Ne bastano 326 per raggiungere la maggioranza. L’incognita sembra più la portata della vittoria che la vittoria stessa: con questi sondaggi potrebbero superare il risultato di Blair che nel 1997 ha conquistato 419 seggi e una maggioranza di 179, record per qualsiasi partito. 

​Per i conservatori si profila la possibilità di una sconfitta senza precedenti e, di conseguenza, il problema è come affrontare il dopo. È dal 1906 e i tempi di Arthur Balfour che i Tories non scendono sotto i 140 deputati. Ma questa volta i sondaggi danno i conservatori al 20%, con una proiezione – secondo YouGov - di 108 seggi (oltre 250 in meno rispetto a cinque anni fa). Il risultato, se confermato, richiederà un esame di coscienza e una nuova direzione: se virare a destra – con elementi come Suella Braverman, ex ministro degli interni - oppure riposizionarsi al centro sarà tra le questioni che il nuovo leader dovrà considerare.

Farage è invece dato al 15% ed è accreditato al terzo posto nei suffragi ma, per via della legge elettorale (conta il risultato nei collegi, non quello generale) potrebbe incassare cinque seggi: comunque un “successo”, considerato che nel 2019 si fermò al 2% e nel 2015 prese il 12,5% ma non elesse nessuno alla Camera dei Comuni (perché nessuno era arrivato primo nei collegi). Con un 12% circa ma con consensi più concentrati sul territorio, secondo i sondaggi i liberaldemocratici potrebbero eleggere una cinquantina di rappresentanti (ma secondo altre proiezioni potrebbero addirittura superare i conservatori).

 |  04 Luglio

Gli schieramenti in campo

I due partiti principali nel Regno Unito, quelli che si alternano al governo da decenni, sono i conservatori e i laburisti. Ma non sono le uniche formazioni che si affronteranno alle urne. Nigel Farage, primo fautore della Brexit, è sceso nuovamente in pista riprendendosi – dopo aver detto che non lo avrebbe fatto – la guida del Reform. Ci sono poi i liberaldemocratici di Ed Davey, e il Green Party guidato da Carla Denyer e Adrian Ramsay.

 |  04 Luglio

Il sistema elettorale

Il Regno Unito è la patria del maggioritario puro: il sistema elettorale britannico prevede che, in ogni collegio, viene eletto il candidato che prende anche un solo voto in più degli altri. In gergo viene chiamato “first past the post”, passa solo il primo, o “winner takes all”, chi vince prende tutto.

Le sue radici risalgono al Medioevo ed è stato poi usato per tutta la storia democratica del Paese. Il maggioritario puro britannico ha l’effetto di premiare il partito principale, più del suo risultato in termini proporzionali, che spesso in questo modo ottiene i seggi per governare stabilmente e da solo. Proprio per questo meccanismo, il leader del partito vincente diventa premier (anche se non necessariamente lo rimane per i successivi cinque anni: ad esempio, nell’ultima legislatura si sono avvicendati tre capi del governo - Boris Jhonson, Liz Truss e Rishi Sunak - ma questo è dipeso più da equilibri interni ai conservatori che da quelli del parlamento di Westminister).

 |  04 Luglio

Cosa si vota e perché

Oggi circa 47 milioni di britannici sono quindi chiamati alle urne per eleggere i 650 membri della Camera dei Comuni, che rappresentano i collegi in cui è diviso il Paese e che resteranno in carica fino al 2029. Dopo la modifica delle circoscrizioni elettorali, all’Inghilterra – che da sola rappresenta l’80% degli abitanti del Regno Unito - sono stati assegnati 543 seggi (10 in più rispetto al 2019), alla Scozia 57 (2 in meno), al Galles 32 (8 in meno) e 18 all’Irlanda del Nord, numero invariato rispetto a cinque anni fa. Si voterà dalle 7 alle 22 (le 23 in Italia), subito dopo ci saranno gli exit poll.

​La scadenza naturale della legislatura sarebbe dovuta essere a metà dicembre e tutti si aspettavano un voto in autunno, ma con una mossa a sorpresa a fine maggio Sunak ha annunciato lo scioglimento del parlamento di Westminister, portando così il Regno Unito a elezioni anticipate. Di fronte a sondaggi negativi, con questa scelta Sunak ha provato a puntare su dati economici che gli sorridono e su un’inflazione tornata sotto controllo.