
Blocco dei trasporti e ostilità politica, crescono i problemi di Kiev con i confini “amici”
KIEV – Tremila camion fermi al confine “amico” con la Polonia, code infernali all’altro confine amico con la Slovacchia: se c’è una cosa di cui nel quartiere presidenziale a Kiev farebbero volentieri a meno è la battaglia commerciale esplosa con Varsavia, e quella che sta esplodendo con Bratislava. In guerra con la Russia e sotto costante minaccia dalla spada di Damocle della Bielorussia, l’Ucraina ha scoperto di avere altri tre confini difficili da gestire, seppure per fortuna su un piano ben diverso da quello militare. Deve occuparsi e preoccuparsi dell’Ungheria di Orbán, che punta i piedi sull’ingresso di Kiev nell’Unione e sui finanziamenti comunitari; della giravolta della nuova Slovacchia di Fico, che non fornirà più armi; e del braccio di ferro con la Polonia sulla “concorrenza sleale”.
I trasportatori polacchi hanno scatenato uno sciopero contro le liberalizzazioni concesse dalla Commissione europea ai loro colleghi ucraini. Una protesta progressiva esplosa mentre l’Europa politica prometteva massima solidarietà all’Ucraina con aiuti concreti a esportare i suoi prodotti paralizzati dal blocco navale imposto dalla Russia sul Mar Nero. E anziché spegnersi di fronte alle critiche di inopportunità, la protesta è dilagata contagiando anche la Slovacchia.
Dopo una serie di preavvisi e un crescente braccio di ferro, le organizzazioni della logistica polacche sono passate all’azione il 6 novembre al confine con l'Ucraina, realizzando tre posti di blocco per il trasporto merci nei valichi di Korczowa-Krakovets, di Hrebenne-Rava-Ruska e, più a nord, di Dorokhusk-Yagodyn. Dicono che non se andranno prima della fine dell’anno, se non otterranno quello che chiedono. E cioè il ripristino delle licenze necessarie ai trasportatori ucraini per entrare in Europa, esentati da Bruxelles per sostenere il commercio e l’economia del paese alleato e – secondo il parere espresso dalla Commissione europea – prossimo auspicabile candidato all’ingresso nell’Unione.

Le altre richieste riguardano questioni tecniche che si traducono in un inasprimento delle regole di trasporto previste dalla normativa Cemt, che consente di effettuare trasporti di merce su strada nell’ambito dei Paesi della “Conferenza europea dei ministri dei trasporti”, cioè i Paesi dell’Osce più alcuni paesi dell’Europa dell’Est, di cui l’Ucraina non fa parte. Chiedono inoltre che sia impedito ai loro colleghi ucraini di registrare società fittizie in Polonia, e domandano la realizzazione di una serie di altre misure pratiche e burocratiche per facilitare il transito ai camion e alle auto con targa europea.
Il risultato, per ora, è il blocco del confine e una furente battaglia politica e legale. Il 13 novembre il vice ministro ucraino alle Infrastrutture, Sergei Derkach, ha ammesso che “i colloqui” avuti con i manifestanti polacchi che bloccavano il transito ai valichi non hanno prodotto nessun risultato. Due giorni dopo la protesta è sbarcata pesantemente in Slovacchia: anche l’Unione dei trasportatori stradali della Slovacchia ha minacciato di bloccare i valichi per i trasportatori ucraini se la Commissione europea non avesse ripristinato regole stringenti agli ucraini per transitare nella Ue. La replica della Commissione europea è arrivata giovedì 16: non solo non ha accolto le richieste dei trasportatori dei paesi membri sul piede di guerra, ma anzi ha annunciato che potrebbe avviare una procedura di infrazione contro la Polonia se non risolverà i blocchi ai confini con l'Ucraina.

Il risultato, al momento, è il caos. Una coda di 20 chilometri di mezzi pesanti si è formata anche al confine tra l’Ucraina e la Slovacchia, generata dai percorsi alternativi tentati dai trasportatori visto il blocco in Polonia. E a partire dall’11 novembre la situazione in Slovacchia è peggiorata giorno dopo giorno. I trasportatori slovacchi minacciano di fare lo stesso dei colleghi polacchi, chiudendo di fatto il loro confine per i mezzi pesanti: “Il trasporto merci slovacco è in ginocchio”, lamenta l'Unione dei trasportatori su terra della Slovacchia. Blocchi a singhiozzo sono già cominciati, come era accaduto in Polonia prima della paralisi totale: quattro ore di picchetto giovedì 16 al valico di Uzhgorod. “Sosteniamo i colleghi polacchi e tutti i vettori della Ue”, dice il sindacato.
Nei picchetti polacchi, intanto, i manifestanti lasciano passare un camion all’ora, mentre la tensione sale e le liti tra colleghi con diverso passaporto sono diventate una minaccia quotidiana. Oggi c’erano 2.800 camion bloccati dalla protesta. La preoccupazione maggiore per Kiev è che la sfida dei trasportatori nasconda un clima politico sempre meno amichevole, se non apertamente ostile, con vicini da cui aveva ricevuto piena solidarietà all’inizio dell’invasione. La Slovacchia del nuovo premier populista Robert Fico ha già dato segno di un’inversione di rotta. Il ministro della Difesa, Robert Kaliniak, ha informato il segretario generale della Nato Stoltenberg che Bratislava non fornirà più armi all’Ucraina, limitandosi ad “assistenza umanitaria, civile e tecnica”. E il governo Fico ha intanto bloccato il pacchetto di aiuti a Kiev da 40 milioni di euro stanziato dal governo precedente.

L’altro confine politicamente bollente è quello con l’Ungheria di Orbán, ma questa non è una sorpresa per Kiev: mercoledì Budapest ha chiesto una revisione della politica dell’Unione europea nei confronti dell'Ucraina in senso opposto rispetto a Germania, Lituania, Finlandia e Irlanda, che sostengono il rapido avvicinamento di Kiev e la concessione di maggiori aiuti contro la Russia. L’Ungheria è il principale ostacolo alla decisione che i leader europei dovrebbero prendere a dicembre riguardo all’avvio dei colloqui formali di adesione con l’Ucraina. Ed è il principale ostacolo allo stanziamento di 50 miliardi di euro in aiuti a Kiev previsti dal bilancio comunitario fino al 2027. Soldi indispensabili soprattutto ora che gli aiuti americani, per Kiev, rischiano di diventare un ricordo e un miraggio.