Liste d’attesa, spaccatura rientrata Ma il Pd attacca: decreto pericoloso
Via la norma «anti Regioni». Meloni accusa i dem: contro la rottamazione fiscale ma l’hanno usata
Alla fine l’articolo 2 del decreto sulle liste d’attesa è stato riscritto in Commissione al Senato. La maggioranza rischiava una spaccatura su quell’articolo per cui la Lega si era allineata alle posizioni della minoranza e, soprattutto, aveva stretto un asse con le Regioni, la maggior parte di centrodestra. Oggi pomeriggio il decreto andrà in Aula per il voto, il governo ha fatto sapere che non è prevista la fiducia e l’opposizione ha annunciato che non farà ostruzionismo.
Il punto dolente dell’articolo 2 era la parte che prevedeva un organismo per il controllo diretto dello Stato sulle Asl, centralizzato al ministero della Salute. La Lega e le Regioni avrebbero voluto l’abolizione totale. È stato riscritto. Con la riformulazione si è previsto che l’organismo di controllo entrerà in azione solo in caso di inerzia delle Regioni e il controllo verrà svolto direttamente da queste ultime attraverso il Responsabile unico per l’assisstenza sanitaria (Ruas). All’organismo tolti anche i poteri di polizia giudiziaria. Viene meno poi la vigilanza sugli erogatori privati. Un compromesso che ha ricomposto solo in parte la frattura con le Regioni: «Bene che sia cambiato l’articolo 2, ma sull’efficacia dello stesso decreto persistono criticità», ha detto Raffaele Donini, assessore dem dell’Emilia-Romagna, coordinatore della Commissione salute nella Conferenza delle Regioni.
Ma le liste di attesa, ieri, sono state al centro dello scontro politico, soprattutto tra Pd e Fratelli d’Italia, che hanno duellato anche sulla rottamazione quater introdotta dalla prima finanziaria del governo Meloni. Già al mattino i dem in una conferenza stampa sono scesi in campo con i suoi esperti di sanità, oltre alla stessa Schlein e al presidente dei senatori Francesco Boccia (che pur soddisfatto dal mancato ricorso alla fiducia ha definito il testo «pasticciato e pericoloso»). «Meloni è più preoccupata di tenere buono Salvini piuttosto che salvaguardare la sanità», ha detto la segretaria dem. Da un «decreto fuffa, fatto solo per la campagna elettorale» — ha attaccato — si è passati al «decreto zuffa». E ha ricordato la proposta di cui lei stessa è stata la prima firmataria: «La proposta di legge affossata dal governo prevedeva due punti fondamentali: portare entro il 2028 le risorse sanitarie al 7,5% del Pil. E sbloccare il tetto delle assunzioni per il comparto sanitario messo nel 2009 da un governo di cui Meloni era già ministro. Senza risorse e assunzioni si rischia soltanto di agevolare la sanità privata», ha detto.
Immediata la reazione di FdI, con il capogruppo alla Camera Tommaso Foti: «Ci vuole una buona dose di umorismo a dire che questo governo non pensa alla salute dei cittadini, quando proprio il Pd per primo ha affossato la proposta di legge della sua segretaria, che oggi accusa il centrodestra. Schlein si risparmi di impartire lezioni sulle risorse. I tagli sono stati praticati in anni in cui la sua parte politica era al governo. Con il governo Meloni si è voltata pagina, come dimostrano i 3 miliardi in più stanziati per il 2024, i 4 in più per il 2025 e i 4,2 per il 2026. Totale 11,2».
Ma non è solo la sanità, appunto, a tenere alta la tensione. A sera l’affondo contro i dem è arrivato direttamente da Giorgia Meloni, che su X ha scritto: «Ricordate quando il Pd definiva la rottamazione quater un “favore a evasori e criminali”? Tramite un’inchiesta di Open, scopriamo che proprio loro ne avrebbero beneficiato. Per la sinistra i cittadini bisognosi sono evasori e criminali, mentre in casa Pd si può tranquillamente usare la misura criticata». Il riferimento è a un articolo di Franco Bechis che rivela come il Pd abbia chiesto dall’Agenzia delle Entrate di aderire alla sanatoria, risparmiando sulle sanzioni e potendo rateizzare i contributi non versati agli istituti di previdenza per il personale.
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