Amit che combatté contro i sequestratori torna nel suo kibbutz: «Laggiù è una follia»

di Davide Frattini

Il 7 ottobre, in quest’area, su 37 persone 11 sono state uccise e 7 sequestrate

Amit che combatté contro i sequestratori torna nel suo kibbutz a Kfar Aza: «Laggiù è una follia»

Amit Soussana, a destra, davanti alla casa dove fu rapita il 7 ottobre (Getty)

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME — Tre ore, 60 minuti, 55 giorni. Amit si � nascosta dietro ai pannelli di compensato dell’armadio. Ha lottato un’ora contro gli uomini in mimetica che hanno aperto le ante e l’hanno tirata fuori, tanto ci hanno messo almeno in cinque a trascinarla dall’altra parte della barriera, un chilometro a calci, pugni e botte. Per quasi due mesi � rimasta nelle segrete dei terroristi. Ci sono parole e numeri diversi per indicare il passare dello stesso tempo, questa donna di 40 anni sceglie quelle che le permettono la voce tremante e gli incubi che non se ne vanno: �Paura costante, abusi quotidiani. L� sotto, in un tunnel a 30 metri di profondit�, mi sentivo sepolta viva�.

Amit Soussana � tornata a casa alla fine di novembre durante la settimana di pausa nei combattimenti che ha permesso lo scambio di prigionieri tra Israele e i fondamentalisti di Hamas. Non nella sua casa al kibbutz Kfar Aza che adesso le sta dietro semibruciata e tutta distrutta. Questa � solo la terza volta che rimette piede sulle macerie del �quartiere dei giovani adulti�, cos� era chiamato dalla comunit�, abitazioni da una stanza e mezzo attaccate una all’altra come i ragazzi cresciuti in questo piccolo villaggio. Vivevano vicini, da soli, qualche volta in coppia ma ancora senza figli. Era il vialetto d’erba delle feste, delle birre bevute al tramonto, delle grigliate a sorpresa, lo spazio allegro che gli altri abitanti visitavano per riprendersi quel �giovani� davanti ad adulti.

Amit Soussana ci stava da sola, la famiglia � di Sderot e ieri mattina l’ha accompagnata, � la prima volta che parla in pubblico del rapimento e della prigionia. Ripete di sentirsi in colpa per gli altri che ancora sono nelle mani dei jihadisti: �So quanto ho sofferto e gli abusi subiti per 55 giorni, non oso immaginare che cosa significhi essere ancora l� per 115�. Il 7 ottobre solo da quest’area �delle nuove generazioni� su 37 persone 11 sono state uccise e 7 sequestrate. Le loro foto sono appese sui muri anneriti dalle esplosioni, Yotam Haim e Alon Shamriz sono stati uccisi per errore dai soldati a met� dicembre, erano riusciti a scappare dai carcerieri assieme a Samer Talalka, un beduino che lavorava in uno degli allevamenti a Kfar Aza.

Doron Steinbrecher � apparsa pochi giorni fa nel video diffuso dai registi del terrore. Il fratello fa riascoltare e rivive l’ultimo audio registrato dalla donna, urla �mi hanno preso, mi hanno preso�, pochi secondi e poi nulla. Fino al filmato. �Non abbiamo avuto conferme se sta ricevendo le medicine di cui ha bisogno ma sappiamo che sono arrivate a Gaza. Mi sento cos� in colpa per non aver protetto la mia piccola sorella�, dice il fratello maggiore.

Avichai Brodetz di figli ne aveva tre, gli sono stati portati via con la moglie e rilasciati a fine novembre. Tra queste casette e questi ragazzi veniva da altre strade nel kibbutz a passeggiare con il cane — racconta — �per l’atmosfera di serenit�. � stato lui a sedersi in ottobre su una sedia di plastica bianca sul vialone che porta alla Kirya, il quartier generale delle forze armate a Tel Aviv: per primo e all’inizio da solo ha protestato contro il governo, voleva che gli ostaggi restassero la priorit�, che venissero liberati tutti a qualunque prezzo. Adesso a chiederlo sono le centinaia di famigliari con le migliaia di israeliani che li sostengono. Dice Avichai: �Siamo in guerra da cent’anni. Per ritornare a combattere — anche se io spero che non succeda — c’� sempre tempo. Chi � ancora prigioniero invece non ne ha pi��.


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29 gennaio 2024 (modifica il 29 gennaio 2024 | 22:14)

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