
“Io speronato e abbordato alle Canarie da un cayuco di migranti durante la traversata atlantica con la mia barca a vela”
Già la traversata dell’Atlantico in barca a vela, dalle Canarie ai Caraibi, era il massimo dell’avventura, ma mai Andrea Cestari, urologo milanese con la passione della vela d’altura, avrebbe pensato di ritrovarsi speronato e abbordato da un cayuco, costretto dagli scafisti a prendere a bordo otto migranti ormai da dieci giorni in mare.
Dottor Cestari, ci racconti questa storia che ha dell’incredibile.
"Sembra la storia di un film, meno male che ho le foto a testimoniare quello che è successo se no farei fatica anche io a credere a questa storia davvero surreale. Ma quando ho letto il vostro reportage da El Hierro ho rivissuto quei momenti sulla rotta Canaria, vissuti appena all’inizio della traversata, il sogno di ogni velista, verso i Caraibi”.
Dove è avvenuto l’incontro con la barca dei migranti?
"Con due amici eravamo partiti da Lanzarote stando bene attenti a prendere acqua il più a ovest possibile delle Canarie proprio per evitare brutti incontri, come eravamo stati avvertiti”.
Che tipo di brutti incontri?
Avevamo sentito più volte durante il giorno dalla radio di bordo avvisi delle Capitanerie di porto spagnoli su barconi di migranti alla deriva, con l’invito a stare attenti perchè navigavano senza luci e strumentazione. E ci avevano anche consigliato di stare il più alla larga possibile dalle coste di Mauritania e Senegal perchè capito non di rado che lì i pescatori locali arrotondino con atti di pirateria. E per questo ci siamo tenuti lontani”.
Poi l’incontro inatteso. Come è successo?
“Improvvisamente abbiamo visto comparire questo cayuco tra le onde, a bordo c’erano una quindicina di persone. La barca aveva un motore potentissimo, ci hanno puntato e si sono avvicinati gridando e speronandoci più volte. Ogni volta che le due barche si toccavano ne saltavano a bordo duje o tre. Abbiamo pensato che fossero pirati. Con i miei amici ci siamo detti: ‘E’ finita, siamo morti, ora questi ci buttano a mare e ci rubano la barca”.
E invece?
"Per fortuna non è andata così. Al terzo speronamento, quando a bordo avevamo già otto persone, gli altri hanno improvvisamente girato la prua e se ne sono andati. E ci siamo ritrovati con questi ragazzi, tutti dallo sguardo allucinato, esausti e malmessi, che non riuscivano a proferire parola. Parlavano solo le loro lingue, ma quando hanno detto: ‘Europa, travailler’ abbiamo tirato un sospiro di sollievo e abbiamo capito di essere fuori pericolo”.

Vi hanno raccontato da dove venivano, da quanto erano in mare?
"Erano tutti giovani uomini tra i 17 e i 40 anni, tre senegalesi, uno del Gambia e tre nigeriani. Sono riusciti a dire che erano partiti dieci giorni prima, erano affamati, assetati, feriti. Io sono medico e ho prestato loro le prime cure. Erano sollevati anche loro. Erano le due del pomeriggio, poi è calato il buio, si è fatta notte e la tensione a bordo era alle stelle”.
E poi cosa ne avete fatto?
"Eravamo in acque internazionali, abbiamo lanciato un mayday e il Salvamento marittimo ci ha detto di girare la prua e tornare indietro, dirigerci verso il porto de La Gomera- Ci hanno mandato un elicottero che dall’alto vegliava sulla sicurezza della nostra navigazione, poi quando ci siamo avvicinati alle Canarie è arrivata una motovedetta e abbiamo effettuato il trasbordo. E la guardia costiera ci ha detto che potevamo tranquillamente proseguire il nostro viaggio”.
E così avete fatto?
"Sì, siamo arrivati a La Martinica 19 giorni dopo e raccontando la nostra avventura ai vicini di barca, ci hanno detto che da quelle parti, sulle coste dell’isola di Grenada, sempre più spesso arrivano barconi pieni di cadaveri di migranti. Persone che vengono messe in mare dai trafficanti, senza un satellitare, che perdono la rotta e vengono spinti dagli alisei dall’altra parte e muoiono dopo giorni e giorni alla deriva. Una cosa terribile. Almeno noi conserveremo sempre nel nostro cuore la soddisfazione di aver salvato delle vite in mare”.