Superlega? L’esempio della Nfl: dominio assoluto. E anche Donald Trump si fece male...
Posizione dominante. Monopolio. Violazione dell’antitrust. Niente da fare, quando si parla di football americano, quando se ne parla sul serio e al massimo livello, esiste soltanto una sigla a cui fare riferimento: Nfl. Che sta per National football league. Una macchina perfetta di adrenalinici e incerti campionati capaci di moltiplicare gli stratosferici guadagni in svariati campi: dal merchandising alle televisioni, non soltanto gli agognati e spesso introvabili biglietti per i matches. E ora addirittura in grado di esportare con clamoroso successo il suo prodotto in altre nazioni, nella vecchia Europa, in Inghilterra e Germania, in Sud America, Messico e, notizia recentissima, nella patria del calcio-fantasia, il Brasile. E non finisce qui (la Spagna potrebbe essere la prossima tappa), promettono i vertici dell’organizzazione che sforna emozioni e spettacolo da settembre a febbraio.
Si fa presto a dire Superlega nel calcio: in Usa ci hanno provato a tirar giù dalla torre il campionato dei touchdown, popolare quanto il pallone da noi, e si sono fatti male. Parecchio. Una storia che torna d’attualità ogniqualvolta si torna a parlare di tornei alternativi e concorrenziali al prodotto ora gestito dal commissioner Roger Goodell. E se il primo a uscirne con le ossa rotte fu un rampante, arrogante imprenditore chiamato Donald Trump, qualcosa vorrà pur dire.
Riavvolgiamo il nastro. Primi anni Ottanta. Un mondo fa. Nasce la “pazza” idea di poter fare business, i volgarissimi soldi, andando a giocare a football quando il football è fermo: in estate. Nasce la United States Football League, sigla Usfl, e si propone di fare grandi cose. Qualcuno tra i lettori ne avrà forse un ricordo “commerciale”: tra il 1983 e il 1986 tra le t shirt in vendita alla Rinascente c’erano quelle, davvero belle, che propagandavano la nuova lega. Colorate e con loghi particolari e divertenti, attraevano i teenager dell’epoca. Ricordo di averne prese una dei Tampa Bay Bandits, sui jeans e le sneakers faceva la sua figura. A parte questo ricordo personale, il football d’estate partì discretamente anche grazie ad alcuni ingaggi altisonanti.
A suon di milioni di dollari – proprio così – vennero strappati alla Nfl alcuni tra i migliori talenti del college. Qualche nome per capirci: Steve Young, favoloso quarterback mancino, tra i primi capaci di lanciare con accuratezza e potenza e anche di correre per andare a chiudere i down se non addirittura per fare direttamente touchdown. E, di seguito: Herschel Walker, incontenibile quarterback; Jim Kelly, che sarebbe diventato una stella assoluta; Doug Flutie, per citare i principali nomi.
La Nfl non la prese bene e passò al contrattaccò. Saldò le fila e come prima mossa fece chiaramente intendere a tutti i network televisivi del Paese che rischiavano di perdersi i diritti delle partite della National football league. Un guaio serio visto i record di audience battuti quasi ogni settimana.
Ma a dare il colpo ferale alla nuova organizzazione fu, soprattutto, l’entrata in scena di un giovanotto sulla trentina ricco come Creso per un gigantesco patrimonio immobiliare ereditato, aria e toni da bullo dell’imprenditoria, l’intimidazione gestuale e verbale nel suo dna: Donald Trump.
Il futuro presidente degli Stati Uniti non si accontentò di rilevare i New Jersey Generals ma andò a sfidare il regno della National football league sul suo terreno: voleva assolutamente giocare tra settembre e febbraio e, di fatto, venne letto come un attacco diretto e finale alla sino ad allora unica lega del football.
Nel frattempo, però, Trump non si accorse che la Usfl stava già collassando: troppi denari spesi per introiti inferiori alle attese. Il giocattolo si stava rompendo rapidamente. E coniò il motto: "Se Dio avesse voluto il football in primavera, non avrebbe inventato il baseball".
Tronfio e sicuro di se stesso Trump tentò un’azione giudiziaria: insieme agli altri proprietari dei team fece causa alla Nfl per abuso di posizione dominante. Fu l’inizio della fine. Ne scaturì un processo, seguitissimo, davanti alla US District Court, a Manhattan e a causare di fatto la sconfitta della Usfl fu proprio lui. In sostanza venne fuori che Trump puntava a una fusione tra le due leghe, era pronto a liberarsi delle squadre meno forti economicamente della stessa Usfl per raggiungere questo scopo e nutriva risentimento per non essere mai riuscito a diventare il proprietario di un team della Nfl.
I suoi modi, le sue parole, il linguaggio del corpo, risultarono insopportabili ai giurati che in un amen si convinsero di trovarsi davanti a un uomo potente e sgradevole che pensava, con la sua montagna di dollari, di poter far tutto.
Il verdetto ebbe i toni di una burla e condannò la Usfl al totale naufragio. Pur considerando le squadre della National parte di un monopolio compensò la Usfl con un dollaro…avete letto bene: un dollaro. In sostanza la giuria aveva capito che Trump puntava unicamente a sedersi al ricco tavolo della Nfl e null’altro che, insomma, il resto era tutto un bluff.
Fu il colpo finale per la lega concorrente che fallì di lì a poco. Oggi, come detto, la National football league va a gonfie vele e persegue, sinora con successo persino superiore alle attese, una espansione anche lontano dagli States. Chi scrive ha seguito le gare del campionato regolare che si giocano a Londra un paio di volte durante la stagione e l’entusiasmo e la partecipazione sono totali: assicurarsi un biglietto sta diventando una impresa. Poche differenze – sempre per esperienza diretta – coi sold out degli stadi americani.
Ah, va detto: di recente la sigla Usfl è tornata. Nel 2022. Ma ovviamente gioca solo d’estate...