L’Italia che aveva due film in concorso — Another End di Piero Messina e Gloria! dell’esordiente Margherita Vicario — esce a mani vuote da questa Berlinale che incorona come miglior film un documentario di 67 minuti sulla restituzione di una ventina di opere primitive dalla Francia al Benin, Dahomey. Il festival di Berlino non � nuovo a questi premi �fuori norma� (l’anno scorso aveva vinto il francese Sur l’Adamant, nel 2016 era stata la volta del nostro Fuocoammare di Gianfranco Rosi) ma dobbiamo subito dire che il film della giovane franco-senegalese Mati Diop era una delle pellicole pi� interessanti viste in concorso, per la capacit� di fondere da una parte il documentario puro (l’imballaggio e il viaggio delle statue dal museo parigino Quai Branly fino a Porto-Novo in Benin, ricevute da autorit� e notabili locali) e dall’altra la riflessione sul significato storico e antropologico di quelle opere, grazie a un dibattito tutt’altro che superficiale tra studenti universitari.
Berlino, vince l’Africa di Mati Diop
Orso d’oro a �Dahomey� della regista franco-senegalese. Premiata Emily Watson, Italia esclusa

Il Gran Premio della Giuria, va invece al film A Traveler’s Needs di Hong Sang-soo dove una Isabelle Huppert di magica presenza smonta le corazze emotive dietro cui cercano di proteggersi i coreani a cui deve insegnare il francese. Francese � anche il Premio della giuria, andato a L’Empire di Bruno Dumont, un’opera ambiziosa quanto pasticciata che vorrebbe rileggere con spirito goliardico e irriverente la saga di Star Wars tra i campi della Normandia, alla ricerca di parallelismi tra contadini e cavalieri jedi, astronavi e palazzi, anche divertente se non finisse per prendersi troppo sul serio. Cos� come � discutibile il premio per la miglior regia a Nelson Carlos De Los Santos Arias e al suo Pepe, scombiccherata divagazione sulla presenza di alcuni ippopotami in Colombia.
L’Orso per il protagonista � andato a Sebastian Stan del sopravvalutato A Different Man di Aaron Schimberg, quello per il non protagonista a Emily Watson per Small Things Like These (Berlino non fa pi� differenze di genere per i premi d’interpretazione). La Germania si � aggiudicata il premio alla sceneggiatura con Matthias Glasner, anche regista di Sterben mentre il fotografo Martin Gschlacht ha avuto il riconoscimento per il miglior contributo artistico per l’horror chiesastico Des Teufels Bad.
Premi condivisibili? Abbastanza (con molti punti di domanda per L’Empire e ancora di pi� per Pepe) anche se poi la giuria presieduta dall’attrice Lupita Nyong’o e di cui faceva parte anche la nostra Jasmine Trinca, ha dimenticato il delizioso film iraniano My favorite Cake, premiato dalla giuria Ecumenica e da quella della Fipresci (formata da critici di tutto il mondo).
Diciamo comunque che l’ultimo anno di direzione di Carlo Chatrian (dimissionato un po’ a sorpresa l’estate scorsa, si dice perch� poco sensibile alle esigenze del glamour e degli sponsor) ha lasciato qualche dubbio per una selezione un po’ altalenante (alcuni dei film in concorso non ci dovevano stare, diciamolo), riscattata per� dalle sezioni collaterali, dove il tradizionale afflato politico del festival � stato riconosciuto e applaudito. Anche dai vari giurati, tutti uniti nel richiedere �Cease Fire Now� (Cessate il fuoco ora).
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24 febbraio 2024 (modifica il 24 febbraio 2024 | 21:42)
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