Bocciato come sindaco, Truzzu paga caro il voltafaccia di Cagliari
CAGLIARI – Domenica, dalle tribune dello stadio, hanno gettato il sale sul campo per propiziare un gol del Cagliari. E Luvumbo, all’ultimo soffio, ha siglato il pareggio. Ma nemmeno il rito propiziatorio degno di Oronzo Canà, alias Lino Banfi, poteva forse salvare Paolo Truzzu dalla sicura sconfitta nella sua città. È stata Cagliari, di cui è sindaco, a tradirlo. I cagliaritani hanno clamorosamente voltato le spalle al meloniano su cui la premier aveva scommesso tutto. Eppure non era difficile prevedere che potesse finire così. I sondaggi e le classifiche di gradimento da settimane erano impietosi: i più non erano contenti di come ha governato. Giorgia Meloni ha insistito lo stesso per candidarlo. Un grave errore di valutazione. Perché?
Se Alessandra Todde lo ha costretto a un testa a testa a livello regionale lo si deve soprattutto al plebiscito del capoluogo. In provincia di Cagliari si eleggono venti dei sessanta consiglieri. La sconfitta di Cagliari è stata la sconfitta della Sardegna per la destra. Bastava parlare un po’ con la gente, per capire di un feeling mai nato con Truzzu, aggravato da una certa alterigia caratteriale e una mancata condivisione dei tanti cantieri che hanno deturpato la viabilità. Gli hanno rinfacciato la città sporca e nessun risultato concreto da esibire. È incredibile che Giorgia Meloni abbia voluto insistere su un cavallo così debole, imponendolo di slancio agli alleati. Che infatti non hanno gradito. La Lega, che voleva confermare l’uscente, il sardista Christian Solinas, è precipitata al 3,7. Il Partito Sardo d’Azione è al cinque per cento. Leghisti e sardisti hanno fatto largo uso del voto disgiunto, votando i loro candidati, ma non Truzzu. Si calcola che i voti spaiati siano stati almeno tremila. Quindi l’errore di Meloni è stato doppio.
C’è poi un terzo passo falso. Ovvero che la premier ha trasformato questo voto in un referendum su se stessa: la sua faccia campeggiava ovunque sui muri e sugli autobus. Una strategia sbagliata in una terra così orgogliosa della sua autonomia, gelosa della propria identità. Soprattutto i sardi hanno bocciato il malgoverno della destra. Le lamentele sulle liste d’attesa nella sanità sono trasversali. I giovani fuggono. Lo spopolamento non si è arrestato. Per tradizione inoltre il governatore sardo non viene mai confermato. Un altro fatto che avrebbe dovuto suggerire più accortezza nella scelta del candidato.
Todde ha vinto nelle principali quattro città: Cagliari, Sassari, Quartu, Nuoro (in quest’ultimo capoluogo, sua città natale, con venti punti di scarto). Ha perso di poco nel Sulcis, ma non a Carbonia, nell’Oristanese, nettamente in Gallura, Olbia si è confermato un bastione del centrodestra. Truzzu è prevalso a Tempio Pausania.
È un magro risultato per la destra, che conferma che in politica non bisogna mai dare nulla per scontato. Ancora dieci giorni fa era dato avanti di sette punti. Poi a sinistra è prevalso il voto utile. La chiamata alle armi. E così non è servita nemmeno la divisione nel campo della sinistra. Renato Soru - sostenuto da Renzi, Calenda e comunisti - si è fermato all’8 per cento.
È stato ininfluente e non entra nemmeno in Consiglio regionale. Matteo Salvini lo aveva elogiato, perché sperava che contribuisse alla sconfitta di Todde. Alcuni sondaggi lo davano al 15 per cento. Le sue manifestazioni erano affollate. «Piazze piene, urne vuote» sospirava a sera il segretario regionale Giuseppe Cucca. L’essersi affermata, nonostante Soru, rende quindi più significativa l’affermazione dell’esponente del campo largo.
Fratelli d’Italia è al 13, 8 per cento, dietro il Partito democratico. Ha dimezzato i voti rispetto alle politiche, quando era arrivata al 26 per cento. L’allenatore nel pallone si chiama il film con Banfi. Una premier nel pallone. Almeno in Sardegna.