L'esploratore e la traversata del ghiacciaio più grande d'Europa: «Visibilità zero per 12 giorni»
L'impresa di Stefano Farronato, 49 anni, in Islanda: «Entro il 2050 perderà un'area grande come la Corsica. Volevamo vedere com’è e far riflettere l’opinione pubblica».
In Islanda 14 giorni, 12 dei quali in situazione di «whiteout», l’«incubo bianco» in cui la visibilità si azzera, per attirare l’attenzione sullo scioglimento dei ghiacciai, uno dei principali drammi ambientali del nostro tempo. «Significa non sapere dove si sta andando, ci si affida al Gps (sistema di navigazione satellitare). Se ci si guarda intorno sembra di essere ubriachi, si rischia di cadere perché non si vede dove si mettono i piedi» spiega Stefano Farronato, 49 anni, arboricoltore di Bassano del Grappa, tornato giovedì 21 marzo dopo aver camminato 160 chilometri trainando le slitte porta pagagli con gli sci, le tende artiche e tutto l’occorrente per sopravvivere in mezzo al ghiaccio, tra nevicate incessanti e venti impetuosi.
«Entro il 2050 si ridurrà del 30 per cento»
Il Team di Ferdasky (composto da lui e altri due esploratori italiani Roberto Ragazzi e Roberto Fantoli) ha portato a termine la traversata integrale del Vatnajokull, il più grande ghiacciaio d’Europa per volume. «Veniamo tutti e tre da esperienze in ambienti artici o freddi, è la nostra specialità — racconta —, negli anni abbiamo visto l’evoluzione dei ghiacciai, in Groenlandia ho trovato a 1.200 metri situazioni imprevedibili legate allo scioglimento del ghiaccio». Il Vatnajökull islandese è la quarta massa di ghiaccio al mondo dopo Antartide, Artide e Hielo Continental in Patagonia. «Le previsioni degli scienziati dicono che entro il 2050», fa sapere l’esploratore vicentino parlando del Vatnajökull, «ci sarà una diminuzione del 30% di quel volume d’acqua, una superficie grande come la Corsica. Volevamo vedere com’è adesso e far riflettere l’opinione pubblica».
Dall'Alaska in bici al Polo Nord in Kayak
Farronato ci aveva già provato 21 anni fa, nel 2003. «Non c’erano le condizioni — spiega —. Ero andato in un periodo estivo mentre quello ideale è proprio il periodo invernale o primaverile». Non è vero infatti che le temperature più alte agevolino gli esploratori. «I ponti di neve sono più fragili, i crepacci si aprono la neve più umida vuol dire essere meno veloci, fare più fatica e impiegare più tempo». La spedizione si è svolta quasi sempre attorno ai 20 gradi sotto zero e poteva andare molto peggio, anche meno 35 ma Farronato prima di questa aveva già compiuto 18 imprese, per esempio ha attraversato in solitaria l’Alaska in bicicletta, il deserto del Gobi in Mongolia, il Polo Nord in kayak.
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