Perché la cerimonia d'apertura delle Olimpiadi mi è piaciuta e perché no

diStefano Montefiori e Arianna Ravelli, Parigi

La parata lungo la Senna e la Torre Eiffel ha diviso l'opinione pubblica di mezzo mondo, non solo di quello sportivo. Schieramenti piuttosto netti sul gradimento di una cerimonia che resta comunque unica nel suo genere

La cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi, con una parata lungo la Senna e la Torre Eiffel ha diviso l'opinione pubblica di mezzo mondo, non solo di quello sportivo. Schieramenti piuttosto netti sul gradimento di una cerimonia che resta comunque unica nel suo genere. Lunga, noiosa o magica? Così l'hanno vista e percepita i giornalisti del Corriere Stefano Montefiori e Arianna Ravelli.

Perché sì

(Stefano Montefiori, corrispondente da Parigi) A me la cerimonia è piaciuta moltissimo, forse perché non sono obiettivo quando si parla di Francia, ma chi lo è? Pochi Paesi al mondo ispirano reazioni epidermiche quanto la Francia, specie in noi italiani, affascinati dal mito di Parigi ma spesso tentati dall’eterno riflesso «eh ma non hanno il bidet». Il mondo si divide tra quelli che alle prime gocce di pioggia ieri sera hanno pensato «che peccato», e quelli che non hanno potuto fare a meno di provare almeno un piccolo, più o meno inconscio «tiè»; quelli che alla prima immagine, l’esplosione di fumo blu-bianco-rosso sul ponte, hanno reagito con stupore e emozione, e gli altri che hanno sentito una punta di fastidio, «i soliti francesi sciovinisti».

Io faccio parte della prima metà, e della cerimonia mi è piaciuto tutto o quasi. Un unico vero difetto: troppo lunga, in un’era in cui non si arriva in fondo a una canzone di tre minuti è difficile restare attaccati a uno spettacolo di oltre quattro ore con tanti tempi morti. Ma di tutte le cerimonie di apertura delle Olimpiadi precedenti, ho solo un unico vago ricordo confuso: gli atleti che sfilano dietro una bandiera, sulla pista di atletica di uno stadio, facendo ciao con la manina. Della cerimonia di apertura di Parigi invece so già che non dimenticherò un po’ di cose.
La fisarmonica iniziale, e la versione metal dell’inno rivoluzionario Ça ira cantato da una Maria Antonietta che tiene in mano la testa ghigliottinata, segni di una qualità largamente insospettata nei francesi, ovvero la capacità di giocare con i luoghi comuni e gli aspetti anche drammatici della loro storia; Lady Gaga che canta in francese con quella fantastica coreografia colorata alla Jacques Demy; la cantante franco-maliana Aya Nakamura che davanti all’Académie française (fondata nel Seicento dal cardinale Richelieu per tutelare la correttezza della lingua) interpreta assieme alla Guardia repubblicana For me Formidable di Charles Aznavour; la delegazione del Lussemburgo che si sbaglia e saluta timidamente dando le spalle alle telecamere, e gli atleti italiani che invece si sbracciano e si scalmanano e onorano la nostra fama di persone appassionate, entusiaste, felici ogni volta che è possibile (nella festa dei cliché i francesi ci adorano anche per questo); la fiamma olimpica portata in sedia a rotelle da Charles Coste, 100 anni, ciclista campione olimpico a Londra 1948, nato nel 1924 ovvero l’anno dei precedenti giochi di Parigi; gli scorci di Parigi, tutti, una città favolosa ripresa in modo favoloso; e soprattutto Céline Dion, di cui non sono particolarmente fan, che dopo anni di silenzio per colpa della malattia grida a squarciagola dalla Tour Eiffel sotto la pioggia Il cielo blu può caderci addosso / e la Terra può pure crollare / Poco mi importa, se mi ami / Me ne infischio del mondo intero (Hymne à l’amour, Edith Piaf).

Perché no

(Arianna Ravelli, inviata a Parigi) Non bastano Edith Piaf cantata da Celine Dion sotto la Tour Eiffel, che pure ha fatto guadagnare tanti punti, e il braciere mongolfiera a salvare una cerimonia di inaugurazione che è stata immaginifica, piena di suggestioni e rimandi (troppi?) qualche tocco di ironia che non guasta, ma che non ha mai scaldato il cuore e, anzi, per molti tratti ha proprio annoiato. Protagonista una strepitosa bellissima affascinante Parigi, che esce valorizzata da immagini a uso e consumo per le televisioni, ma sono spariti gli atleti, piccole formiche sballottate dalle onde, un dettaglio dentro la cartolina. Peccato che dovrebbero essere Giochi olimpici, questi, ed è bello scrutare le facce di chi porta la bandiera (e perché no? anche commentare le divise) e leggere l’emozione sui volti di chi sta per giocarsi tutto a sua volta emoziona chi guarda. Questa volta è sparita la solennità, nessuna commozione, e scrive una dalla lacrima facile.

Lasciate stare le lamentele di chi denuncia la cultura woke, e si indigna per l’ultima cena popolata di drag queen, anzi il messaggio di inclusione e di libertà è stato lanciato potente, ma cos’era quel dissennatore (cit.) che ci ha seguito mettendoci inquietudine per tutto il tempo? Il grottesco poi è un ingrediente che va dosato, come il sale. E infine la pioggia: non una sfortuna, ma una cosa che andava messa in conto, prevista e gestita. L’assenza di un piano B è un segno di presunzione, e il povero presidente Mattarella mal coperto da uno di quegli impermeabilini inconsistenti che distribuiscono gratis ai concerti, mentre Macron e i notabili Cio stavano riparati dalla tettoia, rappresenta una gaffe imperdonabile (per non parlare dell’attentato alla vita dell’olimpionico centenario Charles Coste che ha consegnato la torcia agli ultimi due tedofori). 

Da oggi conteremo gli atleti raffreddati, e anche noi non ci sentiamo tanto bene: al momento Parigi ci ha voluto stupire ma non ha saputo scaldarci. Avrà tempo per rifarsi.

27 luglio 2024 ( modifica il 27 luglio 2024 | 16:34)

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