Aborto, associazioni pro-vita e consultori: cosa dice la legge 194, qual è la situazione attuale e le domande sul vero scopo di questo emendamento
Come era prevedibile, l’emendamento, voluto da Fratelli d’Italia, al decreto legge che mette in atto il Pnrr e che prevede l’ingresso delle associazioni pro-vita (o pro-life) nei consultori pubblici fa discutere e non solo dentro Parlamento. Il Partito Democratico e il Movimento 5Stelle hanno contestato l’iniziativa dicendo che rappresenta un attacco alla legge 194, quella che, dal 1978, regola il diritto all’aborto. Diritto che, per la segretaria del Pd Schlein, «è ancora troppo negato nel nostro Paese, ovunque governa la destra la 194 viene ostacolata». Le associazioni del terzo settore che difendono i diritti delle donne e i movimenti pro-choice hanno duramente contestato questa iniziativa.

Sul decreto attuativo del Pnrr il governo ha posto il voto di fiducia, quindi ha di fatto blindato questo emendamento con la novità che riguarda i consultori appena inserita. Cosa dice precisamente? Nel testo si legge che nell’organizzazione dei servizi dei consultori, le Regioni possono avvalersi, «senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità». Tradotto, le associazioni antiabortiste, o pro-life. Come la «Pro vita e famiglia» o il «Movimento per la vita».
Compito «dissuasivo»?
Da parte della maggioranza si replica alle accuse ribadendo che non si vuole in alcun modo limitare l’applicazione della legge 194 o tanto meno abrogarla, ma al contrario, applicarla nella sua interezza pensando in particolare a quelle parti della legge che prevedono la prevenzione dell’interruzione di gravidanza e l’assistenza alla maternità, coerentemente con quanto scritto nel programma di governo di FdI. Immaginando, dunque, una possibile applicazione dell’emendamento, le associazioni pro-life, senza oneri per lo Stato, offriranno alle donne che si recano nei consultori per avere il certificato per la Igv la possibilità di riflettere sulla loro scelta. Insomma, avranno il compito di dissuadere. Va detto che sportelli e uffici delle associazioni pro-life sono già presenti all’interno di molti ospedali pubblici dove si praticano interruzioni di gravidanza. Fece molto discutere, per esempio, la realizzazione all’interno del Sant’anna di Torino, ospedale pubblico, di quella che è stata definita «la stanza dell’ascolto», uno spazio per accogliere le donne che vogliono abortire e aiutarle a trovare un’altra via. Secondo le associazioni pro-choice, invece, si tratterebbe di uno spazio dove si usano metodi manipolativi (per esempio far ascoltare il battito del feto) per convincere a non abortire seguendo il discutibile schema di Heartbeat International, nota associazione antiabortista di destra americana.
L’articolo 1: «L’aborto non è un metodo per la limitazione delle nascite»
Ma che cosa dice esattamente la legge 194? E qual è il vero ruolo dei consultori familiari? Andiamo con ordine. Sappiamo che la 194, entrata in vigore nel 1978 dopo un tormentato referendum abrogativo, rendeva «legale» l’interruzione volontaria di gravidanza entro il 90esimo giorno. Con una serie di condizioni e istituendo dei servizi ad hoc. L’articolo 1 prevede che «lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana sin dal suo inizio (...) Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite».
Il compito dei consultori secondo la legge
Il compito dei consultori familiari, come prevede l’articolo 2 e i relativi commi, è quello di assistere la donna in gravidanza fornendo informazioni e servizi di vario tipo (diritto del lavoro, contraccezione, maternità a rischio...) e anche, come si legge al comma d, «contribuendo a far superare le causeche potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza». Ed proprio a questo comma che fa riferimento il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli nel dire che l’emendamento voluto da FdI segue i dettami della 194. Dove si legge anche: «I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita». Ecco che entrano in gioco le associazioni pro-life e anti-abortiste senza oneri per lo Stato.
Le due procedure della Igv secondo la 194
Una donna che decide di abortire ha comunque bisogno di un certificato medico e questo può essere rilasciato da un medico di sua fiducia oppure dal medico (ginecologo) del consultorio pubblico. In quest’ultimo caso il consultorio assicura anche tutta la procedura, fino alla prenotazione nell’ospedale di riferimento. Dopodiché l’aborto può essere praticato in due modalità: quella chirurgica e quella farmacologica. La prima prevede il ricovero in day-hospital, la seconda prevede l’assunzione di due farmaci (il mifepristone, più noto come RU486, e una prostaglandina, il misoprostolo) e può essere eseguita in regime ambulatoriale oppure in ospedale, sempre in regime day-hospital.
Aborto farmacologico: gli ostacoli
Fin qui sembra tutto semplice e le novità sembrano in linea con la 194. In realtà, per poter arrivare a una corretta e completa applicazione di questa legge si dovrebbe agire anche, e soprattutto, su altri fronti. Sui quali invece, non si fa niente. In primis, l’autonomia regionale in ambito sanitario ha creato profonde disparità nel Paese nella pratica delle Igv. Per esempio, nonostante la legge consenta da quasi quattro anni in Italia l’aborto farmacologico in regime ambulatoriale (ovvero nel consultori), questo è consentito solo in 3 regioni su 20 (Toscana, Emilia-Romagna e Lazio) e la percentuale delle italiane che vi ricorre è ancora molto bassa rispetto a quella di Paesi come Francia e Gran Bretagna. Sebbene sia ormai riconosciuto come un metodo meno invasivo e più sicuro di quello chirurgico.
Obiezione di coscienza: numeri troppo alti
Questo tema si aggancia a un altro: quello dell’obiezione di coscienza da parte di medici e sanitari che si rifiutano di praticare aborti. Prevista dalla stessa 194 l’obiezione di coscienza in alcune realtà è talmente alta da rendere impraticabile la Igv e costringendo le donne a spostarsi in altre città o regioni. Come riportano i dati dell’Associazione Luca Coscioni, in ben 4 regioni (Provincia autonoma di Trento, Abruzzo, Molise, Basilicata e Sicilia) la percentuale di obiettori supera abbondantemente l’80%. In Italia è obiettore il 63,6% dei ginecologi (dati Ministero Salute). E questo sebbene la Igv sia stata inserita nei Lea (livelli essenziali di assistenza). Non solo, accedere ai dati dettagliati sul numero degli obiettori è difficile perché si tratta di dati chiusi, aggregati per Regione e non aggiornati, come dimostra la ricerca «Mai Dati» realizzata da Chiara Lalli, docente di Medicina e Deontologia alla Sapienza di Roma, e Sonia Montegiove, giornalista e informatica.
Dal momento che le nuove linee guida sull’aborto farmacologico previste dall’allora ministro della Salute Speranza nel 2020 di fatto riducono l’impatto dell’obiezione di coscienza (perché i farmaci sono presi in ambulatorio), dove queste linee non sono applicate (ovvero nella maggior parte delle regioni) nulla cambia e la legge resta non applicata (come spiega bene Elena Tebano in questo articolo).
Consultori, sempre meno e con meno soldi
Infine, il nodo dei consultori pubblici. Sempre meno numerosi e con sempre meno fondi a disposizione. Eppure sono il punto di riferimento principale di chi chiede l’interruzione volontaria di gravidanza: secondo gli ultimi dati (quelli del 2021) del Ministero della Salute, risulta prevalente il ricorso al consultorio familiare per il rilascio della certificazione necessaria (42,8%). Va detto che i consultori (che si chiamano «consultori familiari» hanno già tra i loro compiti quello di fare prevenzione sulla Igv e aiutare chi decide di portare avanti una gravidanza: vi lavorano psicologi, assistenti sociali e ginecologi che oltre a prestare in prima battuta assistenza medica e psicologica, come vuole la legge che li istituisce, indirizzano le donne verso associazioni ed enti che le possano aiutare concretamente. Ma la carenza di personale e l’eseguità dei finanziamenti fa sì che, praticamente in tutte le nostre città, ormai sono aperti solo pochi giorni a settimana e in molti centri minori sono scomparsi del tutto. Insomma, piuttosto che introdurre nei consultori pubblici che hanno e devono continuare ad avere un’impronta laica, associazioni anti-abortiste che hanno come finalità quella di limitare un diritto, sarebbe più opportuno potenziare personale e servizi che dovrebbero essere previsti per legge.
Non solo aborto: associazioni pro-vita e la contraccezione
Infine un’ultima considerazione e una domanda: nei consultori si danno informazioni, soprattutto alle giovanissime, su contraccezione e salute sessuale; qui i medici possono prescrivere, ora anche a ragazze minorenni, la pillola del giorno dopo (che non ha niente a che vedere con la pillola abortiva) provvedendo a informarle correttamente su uso e conseguenze sulla salute. In che modo le associazioni pro-life potranno agire, o peggio, interferire, in queste attività? Aiutare le giovani a una sessualità consapevole è un compito importante e la presenza adeguata di psicologi e assistenti sociali va in questa direzione. Ma nel rispetto della autodeterminazione delle donne e dei principi di laicità del nostro sistema giuridico. Detto in altre parole, la lotta alla denatalità (che è uno dei capisaldi del programma di governo di Lega e Fratelli d’italia) forse non va combattuta in questa sede e con queste armi, ma altrove. Magari agendo sul welfare e sul sistema fiscale.
Emendamenti? Sì, ma su altro
Sul vero scopo di questo emendamento si interrogano anche Filomena Gallo, avvocata segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni e Mirella Parachini, ginecologa e vice segretaria della Coscioni partendo dal dato che la collaborazione del mondo del volontariato è già prevista nel testo della 194: «Era dunque davvero necessario presentare un “nuovo” emendamento per far applicare una legge in vigore da 46 anni? Se questo fosse stato il vero scopo, allora sarebbero davvero tanti, forse troppi, gli emendamenti necessari per rendere effettive tutte le parti ad oggi disapplicate della legge 194. In primis, di garantire l’erogazione delle prestazioni senza interruzione di servizio e con la disponibilità della RU 486 in tutte le strutture. Sarebbe piuttosto utile presentare degli emendamenti all’interno del Pnrr per favorire l’esistenza dei consultori che invece nel nostro Paese sono sotto finanziati e stanno scomparendo»