Kamala Harris a Netanyahu: «Non resterò in silenzio» su Gaza
I commenti del vicepresidente sulla situazione umanitaria a Gaza indicano che potrebbe adottare una posizione più ferma con Israele rispetto a Joe Biden se gli succedesse

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (a sinistra) stringe la mano al vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris (a destra) durante l'incontro alla Casa Bianca a Washington, DC
Il cessate il fuoco a Gaza e il rilascio degli ostaggi israeliani sono da tempo una priorità di Joe Biden. Lo sono ancor di più adesso che gli restano sei mesi alla Casa Bianca. Prima che Biden incontrasse ieri Benjamin Netanyahu nello Studio Ovale da cui la sera prima ha annunciato il suo ritiro dalla corsa per la rielezione, fonti dell’amministrazione Usa hanno detto ai giornalisti che il presidente — libero dai vincoli della candidatura — avrebbe «usato un tono più duro» con il premier israeliano per spingerlo ad arrivare a un accordo con Hamas.
La Casa Bianca dice che un accordo è «vicino più che mai» per quanto riguarda la «prima fase»: cessate il fuoco temporaneo e rilascio dei primi 33 ostaggi, anche se rimangono «ostacoli significativi». Un alto funzionario dell’amministrazione ha detto ai giornalisti di non credere, per ora, che Netanyahu stia procrastinando per ragioni politiche ma ha aggiunto che se tra un mese non andasse in porto, si potrebbe arrivare a conclusioni diverse.
Biden e Netanyahu hanno incontrato anche le famiglie degli ostaggi, che premono per l’accordo.
Netanyahu ha ringraziato il presidente per mezzo secolo di sostegno allo Stato ebraico, parlando da «fiero sionista ebreo a un fiero sionista irlandese americano». Biden sogna una normalizzazione di Israele con i sauditi e una soluzione dei due Stati tra israeliani e palestinesi. Ma è un’«anatra zoppa». Anche se Netanyahu gli ha promesso di «lavorare insieme» per i prossimi sei mesi, oggi parlerà con Trump e ieri ha visto Kamala Harris.
Mercoledì la vicepresidente non aveva presenziato al discorso di Netanyahu acclamato dai repubblicani ma boicottato da oltre cento democratici al Congresso; ha spiegato di avere precedenti impegni elettorali. Trump ha definito la sua nuova sfidante «totalmente contro il popolo ebraico», nonostante suo marito sia ebreo.
Harris ha spiegato ieri la sua posizione dopo l’incontro con Netanyahu: «Israele ha il diritto di difendersi e il modo in cui lo fa è importante». Da una parte ha condannato con forza il massacro del 7 ottobre di «1200 innocenti», «gli atti orrendi di violenza sessuale» commessi da Hamas, ha letto i nomi degli americani presi in ostaggio e ha affermato sin «da bambina quando raccoglievo fondi per piantare alberi per Israele» di non aver «mai vacillato nel credere nel diritto all’esistenza e alla sicurezza dello Stato ebraico».
Dall’altra parte, ha spiegato di aver detto a Netanyahu di nutrire «seria preoccupazione» per «la morte di troppi civili innocenti» a Gaza inclusi bambini, per i palestinesi affamati e «sfollati per la seconda e terza volta»: «Non resterò in silenzio». Ha chiesto che si arrivi all’accordo per porre fine alla guerra e ha ribadito di credere nella soluzione dei due Stati. Infine, ha lanciato un appello a tutti a guardare il conflitto israelo-palestinese non «come una questione binaria», ma nella sua «complessità e Storia».
Nei mesi passati, la vicepresidente ha mostrato forse più empatia per i civili palestinesi, pur senza reali differenze di posizione rispetto a Biden. Adesso si trova in una situazione delicata: non può deludere i gruppi pro Israele ma nemmeno i progressisti che criticano Netanyahu. Ha pubblicato ieri anche una dichiarazione durissima contro i manifestanti che il giorno prima avevano bruciato la bandiera americana e scritto con lo spray «Hamas sta arrivando»: «Azioni spregevoli di manifestanti che mancano di patriottismo» e «pericolosa retorica carica d’odio». Harris ha aggiunto: «Condanno ogni individuo che si associ con Hamas, brutale organizzazione terroristica votata alla distruzione dello Stato di Israele e a uccidere gli ebrei».