Ucraina, il sindaco di Kiev Klitschko all’attacco: “Qui come la Russia, Zelensky pagherà gli errori a fine guerra”

«Dobbiamo sostenerlo fino alla fine, ma al termine della guerra il presidente risponderà per i successi o i fallimenti». Il sindaco di Kiev, Vitaly Klitschko, non nasconde più la sua insofferenza. Se non è la notte dei lunghi coltelli, nella capitale ucraina certo non regna l’unità. La guerra è in stallo totale, ma Zelensky continua a negarlo. La controffensiva non ha avuto il successo sperato, forse non è mai partita, con 800 mila uomini in servizio nell’esercito, che però non bastano. Qualcuno ha sottovalutato la disponibilità dei russi a sacrificare soldati, ma guai a dirlo al presidente.

La narrativa nazionale è ancora tutta schiacciata sulla volontà, quasi messianica, di Zelensky di «riconquistare tutto, Crimea compresa». E intanto, nel cuore del potere, si infilano le vecchie faide. Una è proprio quella con l’ex pugile di Kiev, che va avanti dal 2019 e neanche l’invasione russa è riuscita a risolverla. «La gente si chiede perché non eravamo meglio preparati per questa guerra, perché Zelensky ha negato fino alla fine che ciò sarebbe accaduto, o come sia stato possibile che i russi siano riusciti a raggiungere Kiev così rapidamente», attacca Klitschko, in un’intervista al quotidiano svizzero 20 Minuten.

Rincara la dose con il giornale tedesco Der Spiegel: «L’ucraina si sta muovendo verso l’autoritarismo. Che differenza ci sarà con la Russia, se tutto dipende dal capriccio di un uomo solo?». Per lui, Zelensky ha dato «troppe informazioni che non corrispondono alla realtà». Klitschko mal sopporta l’ingerenza del potere centrale e sostiene che, attualmente, è rimasta «una sola istituzione indipendente, l’autogoverno locale». Cioè, la sua.

Oltre ad essere sindaco di Kiev, Klitschko guida anche l’associazione ucraina delle città (Kmda). L’ufficio del Comune dista poche centinaia di metri da quello presidenziale, ma dallo scoppio del conflitto non c’è mai stato un incontro o una conversazione telefonica con Zelensky. Negli ultimi mesi, la politica interna ucraina è diventata una sorta di one man show, con videomessaggi notturni del presidente e popolarità alle stelle. Quando qualcuno alza una timida voce fuori dal coro, come il capo delle forze armate Valerij Zaluzhny (secondo per consenso nel Paese), che a ottobre ha dichiarato all’Economist «la guerra non si vincerà, dobbiamo concentrarci sulla difesa», viene subito ripreso. Perché il nemico dabattere è la Russia, dice Zelensky, e con tutte quelle vittime non si può accettare di cedere territorio. A inizio mese, con un blitz, il presidente ha poi licenziato il capo delle Forze per le operazioni speciali, Viktor Khorenko, senza informare Zaluzhny, né lo stesso Khorenko. Negli stessi giorni, moriva il fidato consigliere di Zaluzhny, Gennadiy Chastiakov, e “l’incidente” è da giallo: è stato ucciso il giorno del suo compleanno, con un ordigno esploso tra i regali.

L’operazione anti-dissenso punta anche verso Klitschko. L’entourage dal Servitore del Popolo ha diffidato il sindaco dal lamentarsi coi giornali stranieri, esortandolo a fare semplicemente il suo lavoro. I due non si amano da sempre, da quando Zelensky è entrato in carica, quattro anni fa, battendo alle urne il predecessore Petro Poroshenko, attualmente supporter di Klitschko. Il neoeletto avrebbe voluto subito licenziarlo, ma il sindaco radunava consenso e la mossa non gli è riuscita. Con la guerra, il governo ha creato un’amministrazione militare delle municipalità (Rda), parallela a quella ordinaria, e l’ha posta sotto il suo controllo. È allora che è partito un gioco di colpe e sospetti tra centro e periferia: prima le accuse incrociate di non gestire bene i rifugi antiaerei, dopo che tre persone tra cui un bambino hanno perso la vita, a giugno, perché un bunker era chiuso a Kiev. Poi, le insinuazioni di Klitschko, secondo cui la Rda sperpera i soldi destinati ai rifugi.

Al nervosismo del momento, si aggiungono le tensioni col vecchio nemico interno Poroshenko, sempre pronto a tornare in pista al primo errore di Zelensky. Il re del cioccolato, uno degli uomini più ricchi d’Ucraina, è stato fermato al confine mentre cercava di andare all’estero. Da deputato, deve chiedere il permesso alla Rada. I servizi segreti affermano di avere informazioni secondo cui intendeva incontrare l’ungherese Orban, ritenuto a Kiev «amico» di Putin. La Sbu sostiene inoltre che Mosca voglia sfruttare i possibili incontri di politici ucraini con colleghi stranieri per promuovere narrazioni «sulla necessità di un processo negoziale con la Federazione Russa».

Poroshenko respinge le accuse, dice che in agenda la visita a Budapest nemmeno c’era. Ad oggi, è citato in decine di casi giudiziari nel Paese. Sarebbe anche sospettato di “alto tradimento”, i suoi beni (tra l’azienda dolciaria Roshen e due canali televisivi) sono congelati. Nel 2014, avrebbe facilitato l’acquisto di carbone da parte di separatisti filorussi, per una somma di 48 milioni. Vecchie battaglie interne, più attuali che mai.