Cervice uterina, come curarla? Così cambia la terapia per chi scopre il tumore già in fase avanzata
È ideato e coordinato dall'Italia lo studio che migliora la sopravvivenza per il carcinoma localmente avanzato e riduce il rischio di progressione della malattia

Nella cura del tumore alla cervice uterina in stadio avanzato non si vedevano progressi importanti più o meno da 25 anni, ma le cose sono finalmente cambiate con l'arrivo dell'immunoterapia. Lo hanno evidenziato le ricerche presentate sia a giugno 2023 durante il convegno annuale dell’American Society of Clinical Oncology (Asco), sia a ottobre 2023 nel corso del congresso della Società Europea di Oncologia Medica. Ora arriva una nuova conferma da uno studio coordinato dall'Italia e pubblicato sulla rivista scientifica Lancet, che ha coinvolto oltre mille donne in 30 Paesi e dimostra come sia possibile migliorare la sopravvivenza delle pazienti, aggiungendo in prima linea l'immunoterapia alla terapia standard (a base di chemioterapia e radioterapia).
Il tumore della cervice uterina
Il carcinoma della cervice uterina è il secondo tumore ginecologico per frequenza tra le donne, dopo il tumore dell’endometrio, con circa 2.500 nuove diagnosi annue nel nostro Paese. Se scoperto ai primi stadi può essere curato con successo, consentendo la guarigione completa delle pazienti: le lesioni pre-cancerose impiegano molti anni a trasformarsi in tumore e, grazie alla diagnosi precoce con Pap test e HPV-DNA test, si possono individuare e rimuovere per tempo, con diverse strategie oggi disponibili.
«Il cancro della cervice è causato nel 97% dei casi da un’infezione da papillomavirus umano (HPV), che si trasmette per via sessuale - spiega Domenica Lorusso, responsabile della Ginecologica Oncologica di Humanitas San Pio X e professoressa ordinaria di Humanitas University. Questo tumore si può prevenire con la vaccinazione contro l’HPV offerta gratuitamente a uomini e donne dai 12 ai 26 anni di età e con gli esami di screening con Pap-test o HPV-DNA test. Il Pap test va eseguito ogni tre anni a partire dai 25 anni (le indicazioni cambiano in caso di risultato positivo); il test HPV ogni 5 anni dai 30-35 anni».
Cambia la cura standard
Oltre al vaccino e ai controlli di screening, che salvano la vita, serve fare attenzione a sintomi (comuni a molte malattie dell’apparato genitale femminile) come perdite o sanguinamenti anomali non legati al ciclo mestruale, dolori alle pelvi o alla schiena, perdite repentine di peso.
I risultati dello studio KEYNOTE-A18 pubblicati su Lancet indicano che, nelle donne con una diagnosi di cancro cervicale localmente avanzato e ad alto rischio di recidiva, l’aggiunta di immunoterapia al trattamento standard con chemio-radioterapia offre miglioramenti significativi e clinicamente rilevanti nella sopravvivenza.
«La sperimentazione mostra per la prima volta che aggiungere l’immunoterapia alla chemio-radioterapia aumenta la sopravvivenza globale e riduce il rischio di progressione del tumore - prosegue Lorusso, ideatrice e coordinatrice della ricerca mentre era responsabile della Programmazione di Ricerca Clinica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS a Roma -. Per la prima volta dopo un quarto di secolo, riusciamo a cambiare lo standard di cura di una delle neoplasie più sintomatiche e dolorose che possano colpire una donna. Un risultato ancora più importante perché la chemio-radio somministrata è lo standard attuale che già di per sé riesce a guarire il 60% delle pazienti, per cui su questa base già molto alta aggiungere pembrolizumab ci aiuta ulteriormente a guarire una quota maggiore di pazienti».
Lo studio
Il protocollo sperimentale KEYNOTE-A18 ha coinvolto 1060 pazienti con una nuova diagnosi di cancro alla cervice ad alto rischio e localmente avanzato, arruolate in 176 centri di 30 paesi nel mondo, tra giugno 2020 e dicembre 2022.
Le pazienti sono state assegnate a due gruppi in doppio-cieco (ovvero senza che né loro né i ricercatori conoscessero il gruppo di appartenenza): un gruppo di 529 pazienti a cui è stato somministrato pembrolizumab in aggiunta al trattamento chemio-radioterapico; un gruppo di controllo, con 531 pazienti, a cui è stato somministrato un placebo in aggiunta al trattamento standard. La somministrazione di pembrolizumab (o del placebo) avveniva sia durante i cicli di chemio-radioterapia sia alla fine di questi ultimi, come trattamento di mantenimento.
Secondo i risultati dello studio, a due anni dal trattamento, il pembrolizumab riduce il rischio di progressione della malattia o di morte del 30%.
Gli effetti del trattamento si sono visti a partire già dalla prima valutazione radiografica e sono proseguiti nel tempo. Per questo i ricercatori credono che la differenza tra i due gruppi in termini di efficacia, e quindi il miglioramento conferito da pembrolizumab, possa aumentare man mano che prosegue il follow-up.
«Si tratta di un traguardo importante, dal momento che il trattamento convenzionale, in uso dal 1999, ha un’efficacia limitata, soprattutto per le pazienti con la forma localmente avanzata della malattia – conclude Giovanni Scambia, direttore scientifico del Gemelli e a capo della Ginecologia del Policlinico Universitario, che ha partecipato allo studio –. Studi precedenti avevano già mostrato miglioramenti con l'uso di pembrolizumab, sia da solo che in combinazione con regimi chemioterapici, ma solo in pazienti con cancro cervicale metastatico o in recidiva. Questa è la prima volta che testiamo il trattamento in prima linea, per le nuove diagnosi di tumori localmente avanzati».