La tragedia dei naufraghi del Sahara, 4 milanesi scomparsi per 15 giorni in Africa: vennero ritrovati morti
I corpi recuperati nel deserto il 20 marzo 1974. Avevano tra i 27 e i 44 anni ed erano partiti per una traversata dell’Africa da Tunisi a Città del Capo
L’ultimo soffio di vita, macabro e denso, fu una colonna di fumo nero, rimasta invisibile nel cielo giallo. Pneumatici di un fuoristrada bruciati in un falò sopra al cuore di tenebra del Sahara, acceso nel disperato tentativo di farsi trovare da qualche anima beduina mentre, senza più cibo né acqua, i dispersi resistevano alla ferocia del deserto nel Sud dell’Algeria, al confine tra Mali e Niger. Speranza di salvezza vana ed effimera per i quattro milanesi che 50 anni fa, il 20 marzo 1974, vennero ritrovati, dopo 175 giorni di ricerche, esanimi, attorno alla loro camionetta «Gez» con cui erano partiti da Tunisi per attraversare l’Africa fino alla meta prefissata: Città del Capo. Una storia oggi dimenticata sulle rotte inverse a quelle note per i viaggi della disperazione verso l’Europa oltre il Mediterraneo, cugina lontanissima delle avventure rilanciate continuamente online, in diretta video, da globetrotter aspiranti influencer su quel palcoscenico di protagonismo che sono web e social network.

A richiamare adesso l’attenzione su una tragedia scomparsa in fondo al pozzo dell’oblio, la lettera di un lettore del Corriere, Riccardo Di Vincenzo, rimasto colpito anche a distanza di mezzo secolo dalla funesta spedizione, all’epoca crudelmente sbeffeggiata. Un ricordo discreto arrivato via email, a mo’ di «fiore sulla loro tomba», quasi con il timore che si possa «creare l’occasione d’infangarne la memoria», come già accadde «in quei mesi di affannosa ricerca», dando «dei velleitari e degli sprovveduti», agli avventurieri, colpevoli soltanto di essere intenti «a inseguire il proprio sogno».
Dagli archivi online, in effetti, nulla emerge. E per ricostruire quel viaggio drammatico, partito da Milano il 14 settembre 1974 e proseguito via nave da Genova a Tunisi, in una vacanza che doveva durare 30 giorni, con ritorno in patria previsto per il 12 ottobre, bisogna rifarsi a tre articoli a firma Max Monti, usciti sul Corriere milanese nei cinque mesi a cavallo tra il 1973 e il 1974. Cronache che raccontano delle ricerche della gendarmeria algerina iniziate il 26 ottobre, un mese dopo l’ultima cartolina ricevuta da Teresa Vitrani, madre di uno dei dispersi, il «naufrago» del Sahara, Roberto Vitrani, 27 anni. Due parole («Tutto bene»), firmate assieme alla fidanzata, Luisa Morani, 29 anni, per tutti Lilly o Liliana. Con loro Mario Armanni, 31enne caposcalo merci dell’ufficio della Lufthansa a Torino e Tullio Galimberti, 44 anni, impiegato del Club Mediterranée. Primi duemila chilometri, da Tunisi a Dakar.
Tre giorni prima della cartolina del Vitrani, a 700 chilometri da Tamanrasset, l’ultimo avvistamento degli esploratori: un casuale incrocio tra italiani sulle insidiose piste «transahariane». Lo studente torinese di Erich Scaraverano, 21 anni, stava infatti battendo in ritirata con un amico causa rottura delle sospensioni: «Ci siamo riconosciuti dalle targhe» testimoniò, raccontando di entusiasti abbracci e saluti e di «triplici urrà», di quelli che solo incontri inattesi in mezzo al nulla possono spiegare. «Mi sembravano un po’ troppo carichi, mentre intorno stava per scatenarsi un inferno di sabbia che sarebbe durato per giorni...».
I quattro erano diretti ad Agadès, in Niger, con 150 litri di acqua a bordo, lungo la pista più facile per il Senegal. Ma il sospetto è che si siano smarriti nella tempesta dopo aver imboccato la «terribile pista del Mali» e aver mancato il «bivio della morte», al km 105, dove si sono perse le loro tracce (là dove fu ritrovato un tubetto di latte condensato). Uno svincolo segnalato da sassi e una freccia in legno dove solo le guide locali sapevano destreggiarsi. Il loro destino restò per mesi un mistero fino al ritrovamento dell’auto di fabbricazione russa a 70 chilometri a est di In Guezzam, con i resti delle gomme bruciate e i cadaveri sulla sabbia dei tre uomini, mentre Lilly era, senza sensi, nel fuoristrada. Inghiottiti dal deserto e dalla tormenta, senza poter mai arrivare al fermo posta di Dakar, dove li aspettavano pacchi di medicinali, pezzi di ricambio e altri materiali richiesti via lettera, rimasti — per sempre — senza riscatto.
gvaltolina@corriere.it
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