25 aprile: bastava un gesto

Il 25 aprile 2024 sarà ricordato come il giorno in cui la destra italiana perse un’occasione storica. Perché proprio questo momento, in cui la destra è al governo e gode di largo consenso, era il momento giusto per chiudere davvero una pagina, per chiarire definitivamente un punto, e per concentrarsi poi su quelli che — siamo tutti d’accordo — sono i veri problemi che stanno a cuore agli italiani. Sarebbero bastate due parole. Se proprio la presidente del Consiglio, il presidente del Senato, i principali ministri di Fratelli d’Italia non riescono a dire «siamo antifascisti», sarebbe bastato un gesto. Non un gesto generico, però, ma specifico.

Quando fu eletto presidente della Repubblica, Nicolas Sarkozy, esponente dell’ala dura della destra neogollista, rese omaggio a un giovane partigiano comunista. Se proprio non se la sentivano, i capi della destra italiana potevano scegliere tra moltissimi luoghi del nostro Paese che ricordano il sacrificio di resistenti non comunisti, che in qualsiasi altro Paese si potrebbero definire di destra (solo in Italia la parola destra è considerata sinonimo di fascismo, solo in Italia la condanna del fascismo non è unanime e scontata)

Potevano andare al poligono del Martinetto di Torino, dove vennero fucilati sessanta patrioti, tra cui i capi del comitato militare della Resistenza piemontese, guidato dal generale Giuseppe Perotti; tra loro c’era il capitano Franco Balbis, veterano di El Alamein, che lasciò detto al padre di celebrare una messa a ogni anniversario della battaglia per ricordare i commilitoni caduti nel deserto, e aggiunse: «Possa il mio sangue servire per ricostruire l’unità italiana e riportare la nostra patria a essere stimata e onorata con il mondo intero» (il capitano Balbis, non il maresciallo Graziani capo dell’esercito di Salò, meriterebbe un mausoleo costruito con i soldi pubblici).

 Potevano salire al colle del Thures, a deporre un fiore sul cippo che ricorda dieci caduti della brigata Val Chisone, comandata da Maggiorino Marcellin, «Bluter»; che non era un bolscevico, era un sergente istruttore di sci degli alpini.
Oppure a Cefalonia, dove i nazisti fucilarono oltre 2500 italiani che avevano rifiutato di arrendersi, dando inizio alla Resistenza. Oppure in uno qualsiasi dei lager dove morirono 60 mila internati militari in Germania, uno su dieci dei 600 mila che rifiutarono di combattere per Hitler; e anche quella fu Resistenza.

Se volevano onorare i carabinieri, potevano andare a Fiesole, dove Alberto La Rocca, Fulvio Sbarretti, Vittorio Marandola scelsero di morire sotto il fuoco nazista per salvare dieci civili che non avevano mai conosciuto e non avrebbero mai visto: chiusi nella stanza accanto, gli ostaggi sentirono i carabinieri gridare «viva l’Italia!», poi tre raffiche di mitra e tre colpi di grazia alla nuca.

Se volevano onorare i sacerdoti, non avevano che l’imbarazzo della scelta tra i 190 fucilati dai fascisti e i 120 fucilati dai nazisti durante la Resistenza. Potevano andare ad esempio sulla tomba di don Ferrante Bagiardi, che a Castelnuovo dei Sabbioni offre la sua vita in cambio dei suoi 74 parrocchiani, e quando vede che è inutile si mette nella schiera dei condannati dicendo: «Vi accompagno io davanti al Signore».

Se voleva andare all’estero, oltre a visitare il SeaFood Expo Global di Barcellona, il ministro Lollobrigida avrebbe potuto passare a Parigi al cimitero del Père Lachaise, dove riposa Piero Gobetti, morto in esilio dopo le aggressioni fasciste prima di compiere 25 anni. Dieci giorni prima il giovane poeta da lui scoperto e pubblicato, Eugenio Montale, era andato a salutarlo in stazione: «Piero viaggiava in terza classe. Stava male. Ci siamo abbracciati. Sono l’ultimo amico che l’ha visto vivo in patria».

Ha ragione Ferruccio de Bortoli: piuttosto che una bugia, meglio il silenzio; inutile chiedere a leader e ministri che pure hanno giurato sulla Costituzione di dirsi antifascisti, se non lo sono. Però i capi del partito di maggioranza relativa non soltanto rifiutano di dirsi antifascisti; fanno di fatto professione di anti-antifascismo (indietreggiando rispetto a Fiuggi, al congresso di Alleanza Nazionale del 1995). 

La loro argomentazione è ben nota: certo, le leggi razziali e la guerra vanno condannate; ma allora le foibe? Le vendette partigiane? I comunisti che non volevano la democrazia ma la dittatura sovietica? E via in un turbine di forzature, mezze verità, pagine nere che certo ci sono state e di cui a lungo si è parlato troppo poco, ma non devono per questo essere usate strumentalmente.
Insomma, gettano sempre la palla nel campo dell’avversario.

Poi certo c’è da chiedersi perché gli antifascisti stiano perdendo la battaglia della memoria. All’evidenza hanno sbagliato qualcosa, e forse la stanno ancora sbagliando. Un certo gusto di escludere più che di includere, una certa alterigia intellettuale, un certo compiacimento di «pochi ma buoni» non hanno certo giovato alla loro giusta causa. Fino all’inaccettabile contestazione — sia pure ad opera di estremisti che rappresentano ovviamente una minoranza — contro la brigata ebraica e la stella di David, che ci ricordano sia quanto hanno sofferto gli ebrei sotto il nazifascismo, sia il contributo che hanno dato per sconfiggerlo.

Ma anche la destra sta forse commettendo un errore. Perché gli italiani non sono diventati tutti missini. Certo, molti hanno avuto e hanno fiducia in Giorgia Meloni, anche come campione del fronte che si oppone alla sinistra, o a come la sinistra è da sempre percepita dalla maggioranza dell’elettorato: un misto di quell’alterigia intellettuale di cui sopra e di ossessione per le tasse. 

Tuttavia, per quanto molti italiani si sentano ancora fascisti e moltissimi non abbiano un’opinione negativa del fascismo, non è che tutti i conservatori, i moderati, i liberali, i cattolici che la Meloni vorrebbe rappresentare siano inconsapevoli della tragedia e del fallimento che il fascismo ha rappresentato per il nostro Paese. 

Sono cose che non spostano un voto, certo. Si vota sull’economia. Ma siccome l’economia benissimo non va, quando comincerà il calo, questo ostinato rifiuto di riconoscere l’antifascismo come valore fondante della Repubblica sarà ricordato appunto come una delle occasioni perdute della destra. E si dirà che il 25 aprile 2024 poteva essere il giorno ideale per trovare una conclusione condivisa — combattere i nazisti era giusto, indipendentemente dalla fede politica dei combattenti —; ma che quel giorno non è mai arrivato.

25 aprile 2024 ( modifica il 25 aprile 2024 | 22:32)