Agguati e droni autonomi low cost, così l’Ucraina sta vincendo la “battaglia del Mar Nero”
Senza una sola nave militare, sono riusciti a scacciare la potente flotta russa dal Mar Nero occidentale. Un risultato straordinario, forse il più importante conquistato in due anni da Kiev, che gli ha permesso di riprendere le vitali esportazioni di grano. Ma l’impresa ucraina segna anche una nuova frontiera tecnologica, tale da mettere in discussione tutte le dottrine di guerra navale: la rapidissima affermazione dei droni marittimi, passati in meno di un anno da prototipi poco affidabili a nuovi protagonisti della corsa agli armamenti. La lezione che arriva dai raid ucraini è netta: piccoli mezzi d’assalto che costano 250 mila euro l’uno stanno colando a picco navi che valgono oltre sessanta milioni.

L'ultimo blitz è avvenuto l’altra notte, davanti alle coste della Crimea: uno sciame di droni si è scagliato contro la “Cesar Kunikov”, squarciando la fiancata in almeno due punti. Il suo affondamento è una nemesi: nei piani iniziali dell’invasione, la “Kunikov” assieme a una decina di unità simili avrebbe dovuto partecipare allo sbarco sulle spiagge di Odessa per prendere alle spalle l’esercito ucraino. Nella sua stiva trovano posto tre tank e oltre trecento fanti: complessivamente la squadra russa avrebbe scaricato a terra una task force potente. La resistenza ucraina ha fatto annullare l’operazione e adesso questi battelli lunghi 112 metri vengono impiegati come ferry boat per trasferire mezzi e munizioni verso la prima linea.Stando al video dell’assalto, la “Kunikov” non ha neppure tentato di difendersi. Due settimane fa invece la corvetta “Ivanovets” ha fatto fuoco con cannoni e mitragliere, senza riuscire a salvarsi dagli incursori teleguidati. Dalla distruzione del grande incrociatore “Moskva”, avvenuta il 14 aprile 2020, un quinto della flotta del Mar Nero è stato spazzato via: quasi sempre ad opera di missili e droni costruiti da Kiev, che non dispone di navi da combattimento.

Una guerra asimmetrica, dove gli strumenti escogitati dagli ucraini hanno ribaltato i rapporti di forza con una vittoria strategica: dopo mesi di paralisi, le esportazioni di cereali sono riprese e hanno già raggiunto i due terzi del livello registrato prima del conflitto. Nel 2021 il fatturato delle vendite aveva sfiorato i 28 miliardi di euro: linfa preziosa per l’economia nazionale. Adesso i cargo che salpano dal terminal di Odessa o dai porti sull’estuario del Danubio si tengono più vicini alle coste perché sanno che i battelli russi hanno paura di esporsi al lancio di missili antinave basati a terra e soprattutto alle imboscate dei barchini senza pilota.

L’intelligence militare di Kiev, da cui dipendono questi reparti innovativi, non si limita a proteggere la rotta del grano: spinge gli attacchi contro la Crimea e verso i porti ancora più a Est, per spezzare la catena logistica che alimenta i rifornimenti delle truppe di Mosca. Il bersaglio più ambito resta il ponte di Kerch, il viadotto che unisce la Penisola occupata nel 2014 al territorio russo, già in diverse occasioni preso di mira dai mezzi zeppi di esplosivo.

La missione è affidata ai Magura 5: lunghi cinque metri e mezzo, toccano gli ottanta chilometri all’ora e hanno una carica di 320 chili di tritolo. Lo scafo di un metro e mezzo resta quasi tutto sotto le onde, in modo da renderlo invisibile ai radar. Spunta soltanto la piccola torretta sferica con il visore del sistema di guida, che nella fase finale sarebbe in grado di procedere autonomamente sugli obiettivi. Una caratteristica che lo renderebbe immune dai sistemi di disturbo elettromagnetico, usati per rompere il collegamento radio tra le bombe naviganti e chi le pilota. Secondo alcune fonti, la connessione sarebbe garantita dalla rete satellitare Starlink permettendo di gestire i raid da grandissima distanza: si parla di un’autonomia di ottocento chilometri.

Gli ingegneri di Kiev sono passati dalle prime imbarcazioni artigianali, che potevano solo puntare su obiettivi all’ancora nei porti, a un progetto che si è dimostrato efficace pure in alto mare. Lo stanno producendo in grandi numeri e presto potrebbero offrirlo pure sul mercato estero: l’azienda Spetstechnoexport lo ha esposto al salone Dsei di Londra, presentandolo come l’unico apparato testato in battaglia esistente al mondo. In realtà sono stati preceduti dagli houti yemeniti e dai loro sponsor iraniani, che già nel 2020 hanno lanciato motoscafi radiocomandati imbottiti di tritolo contro le fregate saudite: pure nelle scorse settimane li hanno usati invano contro la Us Navy nel Mar Rosso.

Il Magura 5 però ha prestazioni sorprendenti ed è diventato l’apripista di un’ondata di droni naviganti che tutte le flotte vogliono introdurre. C’è un proliferare di modelli: i turchi ne schierano uno con missili e cannoni; i Paesi della Nato stanno sperimentando diversi sminatori-robot e pochi giorni fa i cinesi hanno esibito alla fiera di Riad una corvetta senza equipaggio, dotata di armamento completo e gestita dall’intelligenza artificiale. La stessa frenesia, pur con maggiori difficoltà tecniche, si registra nei sottomarini. La parola d’ordine è unmanned, senza l’uomo: sul mare come già accaduto nei cieli, gli automi stanno imponendosi come i nuovi signori della guerra.