Dal Metropol al Veneto, quei rapporti mai chiariti tra Lega e Cremlino alla vigilia delle Europee

ROMA — Nel filo rosso che connette la Russia di Vladimir Putin alla Lega di Matteo Salvini c’è una coincidenza di date che è utile sottolineare. Era ottobre 2018 quando l’attuale vicepremier volò a Mosca, insieme con un nutrito gruppo di collaboratori, per incontrare gli uomini di Vladimir. Mentre il suo portavoce, Gianluca Savoini, nelle stanze dell’hotel Metropol andava a caccia di petrolio scontato, non si capisce a quale titolo. Mancavano cinque mesi alle elezioni europee del 2019 che la Russia di Putin seguiva con particolare interesse, alla ricerca di possibili sponde. Ed è ancora una volta alla vigilia di un’elezione europea, in questo febbraio 2024, che Salvini, unica voce in Europa, dall’Italia guarda a Mosca, mettendo in dubbio la responsabilità del presidente russo nella morte del dissidente Navalny. Mentre da Mosca Putin sottolinea l’amicizia con l’Italia: «Sempre vicina».

Eppure, in questi anni, la voce di Salvini è tornata spesso afona tutte le volte che ha dovuto spiegare i suoi rapporti col Cremlino. Ha gridato al complotto, pretendendo le scuse, quando la procura di Milano ha chiesto l’archiviazione per l’indagine del Metropol (anche a causa del muro di gomma di Mosca che non ha collaborato le indagini). Ma non ha mai risposto alle domande politiche che quell’indagine poneva. Perché, fuori dall’agenda ufficiale, Matteo Salvini il 17 ottobre del 2018 incontrò il viceministro russo responsabile per l’Energia e l’industria, Dmitry Kozac? E ancora: a che titolo il suo portavoce Savoini, nel corso di una visita ufficiale, andava in cerca di petrolio russo? E perché si mise a parlare di sconti e di provvigioni? Insomma: perché uomini della Lega parlavano di denaro a Mosca?

Non sono le sole domande senza risposta. Ancora una volta alla vigilia di elezioni (il voto per le politiche: stava per cadere il governo guidato da Mario Draghi, intransigente con la Russia), Salvini prese contatti diretti con il governo di Putin. Pronto addirittura – unico leader europeo – a salire su un aereo per volare a Mosca, nel pieno del conflitto ucraino. La visita saltò soltanto perché la notizia divenne pubblica: i biglietti erano stati già acquistati per il tramite di Antonio Capuano, un avvocato napoletano con un passato in Forza Italia e buoni rapporti tra Russia e Medioriente. Le relazioni tra Salvini e Capuano non sono mai stati chiariti dal vicepremier, certo è però che i biglietti erano stati acquistati («a mia insaputa», giura Salvini) con la carta di credito di un funzionario dell’ambasciata russa, il primo segretario Oleg Kostyukov, figlio di Igor, il direttore del Gru, il servizio militare russo. Uno degli uomini più vicini a Putin.

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D’altronde la “linea Salvini” è quella della Lega: risale al 2017 il primo accordo ufficiale con Russia unita, il partito di Putin, poi rinnovato o forse no («Per noi è carta straccia»). Un sentiment che arriva fino ad oggi: non si riescono a pronunciare parole chiare sull’omicidio di Navalny. Anzi, così parla il consigliere regionale in Emilia Romagna, Stefano Bargi: «La verità non la sa nessuno ed è probabile che non la si saprà mai. Dove nascono le certezze di Biden e della sua fanbase europea, nostro governo compreso?». Ci sono poi dirigenti locali della Lega tra gli animatori di associazioni, e pagine social, pro Russia. A Modena esiste ad esempio l’associazione culturale “Terra dei padri” che si rifà al Movimento internazionale Eurasiatista, l’organizzazione non governativa con sede a Mosca fondata dal filosofo e politologo Alexandr Dugin, l’ideologo di Putin. Sul loro canale Telegram arrivano messaggi come quello del 24 giugno, nel quale si dice chiaramente che «il circolo Terra dei padri ritiene che sia necessaria una scelta di campo: noi siamo con la Russia di Putin». Il circolo è stato fondato da Fabio de Maio, la figlia è stata eletta consigliera comunale a Modena con la Lega, per poi lasciare il partito. Un vero laboratorio leghista-russo è il Veneto. In Parlamento ad ascoltare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky non c’era per “protesta” Vito Comencini allora deputato del Carroccio. Il consigliere regionale eletto nella lista Zaia, Stefano Valdegamberi, è invece un altro esponente di spicco dell’associazione Veneto-Russia e strenuo difensore di Mosca contro le sanzioni dell’Occidente: entrambi avevano organizzato la presentazione del libro del generale Roberto Vannacci, possibile candidato della Lega alle elezioni europee. Una coincidenza, anche questa. Forse.