Il ticket per entrare a Venezia non è un tabù se serve a qualcosa

Caro Aldo,
ora si pagano 5 euro per entrare a Venezia se si è turisti «mordi e fuggigiornalieri». Se l’intento è quello di scoraggiare il turismo giornaliero, forse non basterà far pagare 5 euro per entrare a Venezia. Ma questa tassa la pagheranno proprio tutti i turisti giornalieri? E chissà come saranno i controlli. Spero che questo non accada anche in altre città d’Italia. Lei trova corretta questa nuova tassa?
Luca Barretta, Firenze

Caro Luca,
Venezia non è una città come le altre. Va protetta e andrebbe fatta rinascere. E l’unico modo per far rinascere le città è riportarvi i cittadini. Per molto tempo i veneziani se ne sono andati. Le case vengono affittate ai turisti o vendute ai ricchi che le considerano un trofeo e le aprono una volta l’anno. Se il ticket servisse anche a finanziare una politica di affitti a basso costo per le giovani coppie, non sarebbe inutile, anzi. Chi si ferma a Venezia a dormire paga una tassa di soggiorno, più salata che in altre città. Perché chi vi arriva con lo zaino in spalla, non spende un euro, magari improvvisa un picnic in piazza San Marco e riparte la sera non dovrebbe dare un contributo alla manutenzione, al restauro, al «rammendo» come direbbe Renzo Piano di una città fragile, fatta di vetro, di acqua, di legno che sostiene la pietra? Massimo Gramellini ha raccontato che il ticket è stato allegramente evaso. Massimo Cacciari sostiene che rappresenta la certificazione che Venezia si è trasformata in un museo. Hanno entrambi ragione. Forse la realtà è ancora peggiore: magari Venezia fosse un museo a cielo aperto; è un ristorante a cielo aperto, una sorta di parco giochi, che pure in questo aprile freddo gli stranieri percorrono in bermuda e ciabatte perché siccome sono in Italia si sentono autorizzati a vestirsi da spiaggia. Invece è possibile investire nei teatri dalla Fenice al Goldoni, salvare gli ultimi cinema (compresi quelli di Mestre) prima che diventino supermercati, far sì che ci sia un concerto nelle chiese ogni sera, insomma puntare sul turismo di qualità. Tutto questo ha un costo, ma l’esperienza insegna che non è solo questione di soldi, bensì di progetti, di buona volontà, di fiducia in noi stessi e nell’avvenire. Venezia non basta averla; bisogna meritarla.

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«In ospedale sono stata accudita con amore»

Sono spinta da un grande senso di gratitudine a raccontare la mia esperienza, che testimonia quanto la macchina Sanità, in Piemonte, sia efficiente e ben strutturata. Grazie a un test genetico, effettuato con il Servizio sanitario, consigliato dal mio medico curante, ho scoperto di essere positiva a una mutazione chiamata Brca2, che predispone a un’altissima probabilità di ammalarsi soprattutto di tumore alle ovaie e al seno. Alla soglia dei 47 anni, confrontandomi con il mio ginecologo, ho deciso di optare per la chirurgia preventiva, di cui si parla ancora troppo poco. Sono stata operata all’Ospedale Sant’Anna di Torino, nel reparto di Ginecologia oncologica, dove sono stata seguita in modo encomiabile, confortata nelle mie paure e soprattutto accudita e curata dal personale che dedica cuore e anima a questa professione. Inserita in un programma di screening ho potuto decidere con un’adeguata informazione che i medici mi hanno fornito, di «investire sul mio futuro», di mettere la mia vita nelle mani di medici che credono ancora nella Sanità pubblica, che è ciò che di più prezioso abbiamo in Italia. Penso che spesso, per luogo comune, siamo portati a dire che la Sanità non funziona, che per fare un esame bisogna aspettare un anno, che i medici non sono mai disponibili e paghiamo per esami inutili che servono solo a rimpinguare le casse di un sistema che barcolla. Sulla mia pelle ho sperimentato che non è così e non penso che il mio sia un caso isolato. Grazie al lavoro e al senso del dovere di questi medici oggi sorrido con una consapevolezza in più: la buona sanità esiste eccome!
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