Cos'è la Nato, e qual è la sua storia: da Truman a Biden, dalle bombe in Serbia agli attacchi di Putin
Il vertice di Washington celebra i 75 anni di storia dell'Alleanza Atlantica che hanno segnato il dopoguerra in Europa. Tra grandi progetti e aspre polemiche
Il vertice di Washington, al via oggi, 9 luglio, celebra anche il 75° anniversario della Nato, il Trattato dell'Organizzazione Nord atlantica firmato nella capitale americana il 4 aprile del 1949.
L'iniziativa fu promossa dal presidente americano Harry Truman, che raccolse il consenso di 12 Paesi: Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Francia, Italia, Danimarca, Olanda, Portogallo, Norvegia, Belgio, Islanda. Da allora ci sono stati dieci fasi di allargamento: la prima nel 1952 con l'adesione della Turchia; la Germania entra nel 1955, (e l'Urss rispose istituendo il Patto di Varsavia) fino ad arrivare all'ultima (2023-2024) con l'ingresso di Finlandia e Svezia che ha portato il numero totale dei soci a 32.
Perché fu creata la Nato
Le ragioni dell'origine costituiscono ancora oggi il nerbo politico-filosofico dell'Alleanza. Truman pensò che gli Stati Uniti da soli non sarebbero stati in grado di reggere l'aggressività dell'Unione Sovietica.
Nel 1948 i sovietici isolarono Berlino e appoggiarono il colpo di stato del partito comunista in Cecoslovacchia. Per il leader che decise di sganciare le bombe atomiche sul Giappone, era necessario costituire un cordone di sicurezza difensivo che tenesse insieme il Nord America e l'Europa. Anche i 14 articoli del Trattato si ispirano chiaramente alla cosiddetta «Dottrina Truman»: «Gli Stati Uniti appoggeranno i popoli liberi che resistono ai tentativi di sottomissione condotti da minoranze armate o da pressioni esterne».
Da qui deriva il più celebre articolo della Carta Nato, il numero 5: se un Paese viene aggredito militarmente, tutti gli altri partner si mobilitano per soccorrerlo.
Sono i principi che ancora oggi orientano l'azione americana e degli altri partner nei confronti della Russia e della guerra in Ucraina.
Lo stallo della Guerra Fredda
Negli anni più cupi della «Cortina di ferro» e del confronto a distanza con l'Unione sovietica, la Nato diventò la trincea più avanzata degli Stati Uniti in Europa.
Si passò dalla logica puramente difensiva a quella della «deterrenza attiva». Sono gli anni della massiccia presenza di soldati americani nei Paesi strategici del Vecchio Continente: circa 430 mila, concentrati soprattutto in Germania, Regno Unito e Italia. Nel 2021, alla vigilia dell'aggressione di Putin all'Ucraina, il presidio Usa si era ridotto drasticamente: 63.835.
Gli anni dai Cinquanta agli Ottanta sono dominati dalla leadership americana. Nei Paesi europei le basi Nato si confondono con quelle degli Stati Uniti, dove sono custodite le testate atomiche. I generali del Pentagono mantengono il controllo delle strutture più importanti di comando, con ruoli secondari assegnati ai colleghi britannici e in parte francesi.
L'espansione a Est, e le polemiche che ne sono seguite
Il 2 dicembre del 1989 G.H. Bush (Bush padre) e Michail Gorbaciov si incontrano a Malta.
È il summit che di fatto pone fine alla Guerra Fredda.
I due leader si accordano su un passaggio chiave, che sarà evocato nel 2022 da Vladimir Putin tra le giustificazioni dell'«operazione speciale» in Ucraina. La Germania sarà unificata, ma l'Alleanza atlantica non si espanderà verso Est.
Il tema è ancora oggi al centro di furiose polemiche. Proviamo a citare i dati certi. Negli Archivi di Stato, a Washington, è custodita la trascrizione di ciò che disse il Segretario di Stato James Baker al ministro degli Esteri sovietico, Eduard Shevardnadze: «Se noi confermiamo la presenza della Germania nella Nato, non ci sarà un'espansione militare della Nato verso Est neanche di un centimetro». In un'intervista rilasciata il 16 ottobre del 2014 Gorbaciov precisò: «Le parole di Baker vanno contestualizzate. L'accordo era che la Nato non avrebbe schierato truppe nel territorio dell'ex Germania Est».
In ogni caso la storia aveva già preso una direzione diversa: crollata l'Unione sovietica, gli ex Paesi del Patto di Varsavia bussarono alle porte della Nato. Bill Clinton assecondò questa dinamica, invitando Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. I tre Stati furono ammessi nel 1999.
L'intervento in Serbia e le bombe contro Milosevic
Nel frattempo la Nato si avventura per la prima volta fuori dai propri confini. Gli alleati intervengono in Serbia nel 1999, in particolare con massicci bombardamenti che durano 78 giorni per fermare il massacro della popolazione del Kosovo, ordinato dal premier Slobodan Milosevic.
La Nato si muove senza il mandato dell'Onu, paralizzato dal veto di Russia e Cina nel Consiglio di Sicurezza. I bombardamenti causano circa 2.500 vittime, anche tra civili. È una vicenda ancora oggi fonte di aspre polemiche.
Nel 2001, invece, per la prima e unica volta scatta l'articolo 5 del Trattato: i partner della Nato appoggiano la guerra degli Stati Uniti in Afghanistan.
E ancora nel 2011: gli alleati intervengono in Libia per fermare gli attacchi di Muammar Gheddafi su Bengasi. Questa volta l'azione è autorizzata dall'Onu, ma suscita divisioni nel fronte occidentale.
Effetto Putin
C'è stata una breve fase in cui sembrava che la nuova era potesse culminare con la completa pacificazione tra l'Occidente e Mosca. La speranza fu alimentata dall'accordo di Pratica di Mare, il 28 maggio 2002 con l'istituzione del «Consiglio Nato-Russia». L'allora premier Silvio Berlusconi presenziò all'intesa tra George W. Bush e Putin.
Ma l'illusione di Pratica di Mare si dissolse dopo pochi anni. Nel 2004 la Nato si allarga ancora verso Est: entrano Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia. Per Putin è la prova dalla «malafede occidentale» e non la scelta di governi democratici che, evidentemente, non si fidano di Mosca.
Il 10 febbraio 2007, Putin pronuncia un discorso durissimo alla Conferenza per la sicurezza di Monaco. Tra l'altro annuncia che «sarebbe stato naturale» riportare l'Ucraina nella comunità del «Russkiv Mir», il mondo russo perduto con il collasso dell'Unione Sovietica.
La lunga guerra ucraina
Comincia da Monaco la lunga discesa che ci ha portato verso lo sprofondo della guerra. C'è un passaggio importante, su cui si continua discutere. Putin sostiene che gli americani da anni volevano inglobare l'Ucraina nella Nato. E' così? In realtà il tema fu sollevato una sola volta, nel 2008, quando George Bush propose di ammettere la Georgia (minacciata da Mosca) e poi l'Ucraina. Ma gli europei si opposero, capeggiati dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel. E da allora il dossier Ucraina fu abbandonato fino al 2023.
In ogni caso gli europei erano convinti che i rapporti con Mosca fossero stabilizzati. Vigeva quello che potremmo definire il «teorema Merkel»: legami militari con gli Stati Uniti; forniture di gas dalla Russia; commerci con la Cina.
Il primo attacco russo all'Ucraina scuote queste certezze. Il 5 settembre del 2014, i trenta Paesi della Nato, riuniti nel vertice in Galles, si impegnano a stanziare almeno il 2% del prodotto interno lordo per la difesa. L'obiettivo andava raggiunto entro il 2024. La decisione, però, non era vincolante e inoltre non erano previste penalizzazioni. Molti Stati europei, compresa l'Italia, non cambiarono passo, irritando gli Usa. Prima il presidente Barack Obama, che bollò gli europei come degli «scrocconi»; poi Donald Trump che, nel vertice di Bruxelles del 2018, minacciò di sfasciare un'alleanza «obsoleta», visto che gli oneri ricadevano sostanzialmente sugli Usa. Per motivi diversi, anche il presidente francese, Emmanuel Macron, pensava che la Nato versasse in uno stato di «morte cerebrale»: i partner agivano in ordine sparso, come per esempio la Turchia che interveniva in Siria senza consultarsi con nessuno. Ma il leader francese insisteva soprattutto sul rischio di marginalità per l'Europa.
Il '22 e il ritorno dello Zio Sam
Lo scenario viene sconvolto dall'invasione dell'Ucraina, il 24 febbraio 2022. Joe Biden, dopo aver provato a scongiurare fino all'ultimo l'intervento di Putin, decide di appoggiare la resistenza ucraina, senza però il coinvolgimento diretto di soldati americani o della Nato. E' il vincolo che regge ancora oggi. Il ruolo dell'Alleanza Atlantica torna centrale, come si capisce dal vertice straordinario convocato a Bruxelles il 24 marzo 2022. Si decide di costituire quattro battaglioni, formati da trecento a mille soldati, da schierare in Romania, Slovacchia, Ungheria e Bulgaria. L'asse della Nato si sposta decisamente verso Est, seguendo strategie militari elaborate dal Pentagono. I soldati americani tornano in forze in Europa. Alla fine di febbraio ne arrivano oltre 40 mila direttamente dalle basi Usa, portando il totale a 100 mila.
Pochi mesi dopo, il 28 giugno 2022, nel vertice di Madrid, Biden annuncia che installerà il Comando del V Corpo d'Armata in Polonia. Si rafforza ulteriormente la presenza militare sulle frontiere orientali dell'Europa. A Madrid viene anche formalizzata la procedura di adesione iniziata da Finlandia e Svezia.
In parallelo Biden spinge gli alleati europei a inserire anche la Cina tra gli «avversari strategici della Nato». L'attenzione dell'Alleanza si amplia al quadrante indo-pacifico.
Stoltenberg in cabina di regia
La Nato, dunque, diventa il perno della reazione occidentale. Il Segretario generale Jens Stoltenberg accelera tutti i progetti rimasti in sonno per anni. L'esempio più evidente è la costituzione di una «Forza di reazione rapida», già messa teoricamente in campo dal summit di Praga nel 2002. Ora quel piano diventa una delle priorità: si prevede di passare rapidamente da un nucleo di 40 mila a 300 mila soldati, pronti a entrare in azione nel giro di pochi giorni. Gran parte di questi, intorno ai 100 mila, sono già schierati lungo il fianco Est.
Nel vertice di Vilnius (11-12 luglio 2023), torna anche la questione dell'adesione ucraina all'Alleanza. Il Trattato non consente l'ammissione di un Paese che sia coinvolto in un conflitto. Ma i polacchi e baltici insistono per forzare le regole e mettere Kiev sotto la protezione Nato. Biden non è convinto: troppo forte il rischio di un'escalation della guerra, con il coinvolgimento diretto dei Paesi occidentali.
Appuntamento a Washington
Il vertice che è iniziato il 9 luglio 2024 a Washington riparte da qui: trovare una formula che conceda qualcosa di più a Volodymyr Zelensky senza, però, indicare una scadenza precisa per l'ingresso dell'Ucraina. La previsione è che non sarà facile accordarsi sulle parole adatte.
Stoltenberg, però, presenta altre misure per soddisfare le richieste di Zelensky. Innanzitutto la costituzione di un fondo da 40 miliardi di dollari all'anno da proiettare sul medio periodo. L'obiettivo è mandare un segnale di continuità a Putin e, nello stesso tempo, mettere in sicurezza l'appoggio a Kiev anche se alla Casa Bianca dovesse arrivare Donald Trump. Non è detto, però, che l'operazione funzioni: gli impegni che verranno assunti a Washington non sono vincolanti.
Infine gli Stati Uniti hanno proposto di offrire all'Ucraina una trentina di accordi bilaterali che compensino il mancato ingresso nella Nato. Al momento 18 Paesi hanno già chiuso un'intesa di assistenza finanziaria e militare con Kiev. Ecco l'elenco: Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Norvegia, Germania, Francia, Danimarca, Italia, Olanda, Finlandia, Lettonia, Estonia, Lituania, Belgio, Spagna, Portogallo, Svezia, Giappone.
Altri annunci potrebbero arrivare da Washington. Tra i paesi della Nato solo l'Ungheria di Viktor Orban si è chiamata fuori.