In un’intervista al microfono di Matthias �Matze� Hielscher, settembre 2022, uno J�rgen Klopp radioso pianificava gli anni a seguire: la felicit� di rispettare il contratto coi Reds fino al 2026, il successivo �sabbatico�, l’incertezza su altri incarichi eventuali e — su tutto — il desiderio di godersi la �pensione� fuori dal calcio, vicino alla moglie Ulla Sandrock, assistente sociale e scrittrice di fiabe: �Mi piacerebbe viaggiare molto, non essere spinto su una sedia a rotelle o camminare con un bastone. Potrei guardare il calcio da qualsiasi luogo…�.
Le ultime frasi le pronuncerebbe immutate, quasi certamente, anche adesso. Ma l’orizzonte del 2026 si � ristretto imprevedibilmente: preannunciato da un curioso tweet notturno di un certo Polin (�J�rgen Klopp is retiring tmrw, yes I’m from the future� , virale in tutta l’Inghilterra e oltre; ma la societ� sapeva da novembre), �Kloppo� ha comunicato l’addio ai Reds a fine stagione in un lungo video, che si distende, in poco meno di mezz’ora, come uno dei momenti pi� intensi e toccanti del calcio (dello sport, e non solo) degli ultimi anni.
� un video insieme spoglio e a suo modo sofisticato, spontaneo e molto studiato, girato in un interspazio del nuovo Training Centre Reds: Klopp � seduto a destra dell’inquadratura, nel suo consueto outfit casual-informale (maglia a girocollo grigia a manica lunga; �serafino� bianca che sborda; jeans con risvolto; scarpe Adidas); sul fondale — come in una composizione minimal — vetrate trasparenti che schermano un corridoio dal pavimento a doghe in laminato grigio-tortora — contiguo a quello della stanza del colloquio — e il verde dei campi, l� dietro.
Klopp risponde alle domande dell’interlocutore fuoricampo mentre le videocamere alternano su di lui piani e campi di ripresa, spesso �stringendo� sul volto del tecnico — in frontale, di profilo, a � — e rilevandone i tratti scolpiti dal tempo: le rughe, la barba ingrigita, lo sguardo sempre acceso ma velato.
L’esito somiglia a un breve docufilm tra certo Ken Loach e i fratelli Dardenne, in cui tutta la biologia di Klopp cerca di spiegare (di spiegarsi), lungo una tastiera affettivo/emotiva che va molto oltre la semantica delle parole: il tono/timbro della sua voce inconfondibile, di base ferma e fonda, solo qua e l� impennata in un pathos esplicativo, come nel finale in cui riassume il senso del proprio coaching, basato sull’ �energia�; la gestualit� e il linguaggio posturale, che alternano — in sintonia con la voce — compostezza (momenti socratici, quasi dimessi) e irrequietezza; e la mimica facciale, che cerca di arrivare — tra volto disteso e sbuffate, commozione trattenuta e sospiri — al fondo della sincerit� e del disincanto verso chi guarda (tifosi Reds in primis) e soprattutto verso s� stesso.
Appena J�rgen pronuncia, a fatica, le prime parole sulla �comunicazione importante� che l’interlocutore gli sollecita (�Yeah, I have to. I will leave the club at the end of season�) � quasi pavloviano, per chi guarda, scorrere quei nove anni (a giugno) di militanza Reds: nove anni che hanno contribuito a scolpire, insieme, quel volto e molte sequenze memorabili del calcio e della vita sociale e culturale, non solo in Inghilterra. Sequenze che cercheremo di ripercorrere in breve, scandite dai titoli di alcuni romanzi o racconti di Philip Dick, curiosamente calzanti.
Klopp, l’addio al Liverpool (e forse al calcio): dai trionfi alla «nausea», cosa c’è dietro alla decisione
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Con un video che ha sconvolto una citt�, Jurgen Klopp ha annunciato la decisione di lasciare il Liverpool a fine stagione. Storia di uno dei momenti pi� toccanti dello sport degli ultimi anni

L’uomo �dai denti tutti uguali�
Il volto segnato, eroso di Klopp — il volto di un uomo maturo, approdato a una saggezza insieme sofferta e liberatoria — � il prodotto di una lunga �geologia�. Quando arriva a Liverpool, nell’autunno 2015 (�Klopp on the Kop�, la curva di Anfield, per merito su tutti di Ulla, che gli aveva fatto rifiutare, con un presentimento negativo, l’offerta dello United. e che ora sembra abbiano inciso anche nel congedo), �Kloppo� ha ancora il volto sorridente-irridente del periodo di Dortmund: chioma ancora discreta, occhiali con lenti a culo di bottiglia (alternati a quelli da mosca), solo la barba in parte incanutita. Ricorda, per certi versi, il Dottor Nefario, lo scienziato pazzo di Cattivissimo me �padrino� dei Minions, le creaturine umanoidi giallo limone che ricordano a loro volta i �ragazzi terribili� gialloneri del BVB.
Forse uno degli ultimi Klopp di quella lunga fase � il Klopp della notte del 14 aprile 2014, in cui avviene a tutti gli effetti la �presa di Anfiled�, proprio contro il suo ex-team (ora con Tuchel): dopo l’1-1 a Dortmund, i Reds vanno sotto (0-2, poi 1-3) prima di una furente remuntada (4-3) in soli 25 minuti, con Klopp che al fischio finale scioglie i suoi tipici attacchi da trance simil-epilettica (occhi bianchi e denti digrignati) in un’estasi placida e sorridente, tutt’uno con la casacca bianca della tuta, da Gandalf redivivo. Da l�, per tocchi successivi, il restyling fenotipico: i capelli via via pi� �temperati� (con inserti tricologici); le lenti a contatto al posto degli occhiali; le lunghe sedute odontoiatriche per ricostruire radicalmente la dentatura e sfoggiare un nuovo sorriso smagliante.
�Ubik�
Gi� al BVB — sviluppando il percorso intrapreso al Mainz sulle orme del Maestro Wolfgang Frank, uno degli esponenti massimi del neosacchismo tedesco — Klopp arriva a un calcio innovativo e sensuale: un calcio dallo stream inconfondibile, in cui le cadenze degli amati hard rock e heavy metal (tra i suoi gruppi prediletti spiccano i Rammstein e gli Iron Maiden) si affinano a tratti in movimenti fluidi e sfumati, da logica fuzzy, quasi jazzistici, con la fase offensiva e difensiva prossime al punto di ibridarsi; un caratteristico aggregarsi/sgranarsi del team, che sostituisce l’�unisono� dinamico di Frank — euritmico e geometrico — con una variazione pi� spettinata e selvaggia.
Al Liverpool, per� — pur in continuit� con quella visione/concezione — il �leap� sar� molto marcato. E inscindibile, peraltro, da quello operato sinergicamente da Pep Guardiola al City, coi due team via via stretti in una contesa (la pi� alta, per ora, nel calcio del Millennio) che si traduce in una competizione-coevoluzine, in cui per feedback reciproci — proposte e controproposte, sorpassi e controsorpassi — si inseguono in un fugato infinito, fino alla messa a punto di due intelligenze collettive sempre pi� complesse, aggressive e sofisticate.
(Anche) per rispondere al calcio mozartiano del City, i Reds arriveranno — grazie a un lavoro enorme e mirato sulla corsa di resistenza e velocit�, le sinergie di movimenti tra singoli e reparti, il timing delle giocate — a un pressing full court da apnea, una �gravit� esercitata sull’avversario in ogni zona del campo (ubik, ovunque), in cui l’easperazione del gegenpressing o �contropressing� (la riconquista della palla nel pi� breve tempo possibile) porta a una specie di �ripartenza permanente�, oltretutto integrata dall’acuirsi del possesso palla.
La sintesi estrema sono i Reds del 2018-19, che vincono la Premier a Natale e subito dopo il Mondiale per Club: il team leggendario con pilastri difensivi come Allison e Van Dijk, esterni-monstre come Trent e Robertson, il tridente scaleno dei velociraptor Salah-Man�-Firmino.
Il punto � che per reggere e anzi alimentare team di quel genere, anche per il coach — nel caso di Klopp, soprattutto il coach — il consumo di energia � altissimo, simile alla �candela che brucia da due lati� l’esistenza del replicante Nexus 6-Rutger Hauer in Blade Runner. Un’energia — un’alimentazione elettrica — essenziale sia nel tenere prolungata una fase di successo, sia per innescare una risalita dopo down come quello che i Reds attraversano nel �long Covid� calcistico del 2021, quando — per varie concause — implodono in un Anfield silenziato, scontornato dal suo �sound� corale infernale.

Scorrete mie lacrime, disse il poliziotto
Come abbiamo gi� ricostruito in un’altra occasione uno dei tratti ritornanti nella comunicazione affettivo-emotiva di Klopp � la variet� dei suoi pianti, per certi versi rispecchiata nelle Lachrimae or Seaven Tears del grande compositore elisabatettiano John Dowland. Nella sua ormai lunga parabola di coach (aprendo il compasso, quindi, ben oltre i 9 anni di Liverpool), J�rgen ha spesso condensato/sintetizzato i momenti decisivi in diverse tipologie di commozione: le sette individuate sono indicative, orientative.
Ci sono le lacrime degli addii: al Mainz, specie nella Gutenbergplatz gremita all’inverosimile, col suo discorso di commiato interrotto dai singhiozzi; e al BVB, in toni pi� dimessi e intimi, il �groppo� davanti al gigantesco �Danke� con la sua effigie.
Ci sono lacrime dolorose di �separazione�, come quelle per Shinji Kagawa, in partenza per lo United (coach e giocatore a piangere �l’uno nelle braccia dell’altro� nel segreto dello spogliatoio) e per i lutti: quelle per il padre biologico e suo primo mentore, Norbert, portato via un tumore al fegato dopo due anni di resistenza (�mio padre non ha mai visto allenare� dir� spesso J�rgen nel sottolineare il maggior rimpianto); e quelle per il padre calcistico, il citato Frank, scomparso nel 2013 anche lui per un tumore (al cervello), che l’allievo ancora di recente ha ricordato — a occhi lucidi — come un coach dall’ influenza unica e come �uno straordinario essere umano�.
Ci sono ancora, lacrime �interiori� come quelle che un Klopp incredibilmente controllato — forse pietrificato — trattiene davanti a quelle dei suoi giocatori devastati dalla kafkiana �logica dell’incubo� alla prima finale delle finali Champions persa contro il Real (quella delle �amnesie� di Karius): e — a rovescio simmetrico — quelle euforiche, estatiche, dopo la straordinaria remuntada in semifinale col Bar�a (da 0-3 a 4-0), antefatto della contro-finale vittoriosa contro il Tottenham; lacrime precedute, in pre-partita, da uno sei suoi tanti discorsi-cult, quello sul �fallire alla grande� piuttosto che in una gara opacizzata e castrata dai calcoli e dalla paura. E ci sono, infine, lacrime di empatia-condivisione, come quelle al tempo del Covid divampante (�Ho ricevuto un video di persone in ospedale [medici e infermieri], appena fuori dalla terapia intensiva, che cantavano “You’ll Never Walk Alone” [l’inno del club] e ho cominciato subito a piangere�); e lacrime �di sintesi�, insieme di felicit� e di sfinimento-esaurimento, come quelle della 19a Premier Reds finalmente raggiunta, che fungono da vero tramite affettivo-emotivo davanti al naufragio del linguaggio verbale (�non ho parole�, continua a ripetere Kloppo). Coda-variazione di queste ore, prevedibile, � quella in un Anfield pre-partita di FA Cup col Norwich, infuocato come poche altre volte: al suo apparire, l’intero stadio innalza l’anthem per lui; e J�rgen, in panca a capo chino e mani giunte, si contrae e si contiene. Non c’� bisogno di aggiungere come anche le lacrime — sintomi di una parabola vissuta con intensit� non ordinaria — contribuiscano a erodere l’�energia� di cui s’� detto: a volte consolano, ma — sempre — consumano.

Il dottor Futuro
Torniamo cos�, dopo quei flashback, al video dell’altro giorno, in cui il viso e il corpo di Klopp sembrano concentrare quella stratificazione di usure, i perch� profondi del suo essere �a corto di energia�.
Il video, va da s�, � in primo luogo dedicato alla tifoseria Reds, che Klopp rassicura su pi� livelli: per esempio, sull’impegno massimale nel tratto restante di stagione, sulla forza del Liverpool come societ� a prescindere, o — tornandoci nella conferenza stampa pre-Norwich, bonus track del video — promettendo fedelt� eterna: �L’anno prossimo non allener� nessun club e nessuna nazionale, e non allener� mai nessun altro club inglese, anche se dovessi morire di fame� (�ma grazie al Liverpool — si corregge subito, per evitare ogni ombra di ipocrisia — non morir� di fame�). Ma ci sono anche rassicurazioni generali, che cominciano a scavare in zone meno ovvie: quella, su tutti, sulla proprio �essere sano� (�per quanto lo si possa essere alla mia et�, aggiunge col suo touch ironico), come a fugare sospetti su sue eventuali malattie, compresi i disturbi dell’umore, dai down depressivi al burnout; sospetti che sa non del tutto infondati, lui clown malinconico che tante volte si � fatto due pinte di birra nel pullman della squadra verso lo stadio, per attenuare l’ansia.
Eppure, non c’� bisogno di un clinico per cogliere nello snodo cruciale dell’�addio� (�So che non posso fare questo lavoro ancora e ancora e ancora e ancora�) la forza tossica di quella quadruplice iterazione, di quel quadruplice �again� percussivo come il �tomorrow� infinito del Macbeth, segno inequivocabile di un rigetto, di una �nausea� da alienazione sopraggiunta.
Anche qui, ci sono integrazioni significative nella conferenza pre-Norwich: �Faccio questo da 24 anni, ci sono parti di questo lavoro che non si vedono e che non sopporto pi��; tra quelle �parti�, le pianificazioni di mercato e certi risvolti �burocratici� della quotidianit�. Ma Klopp non sopporta altre attivit� collaterali �visibili�, come il rapporto coi media: �…ho avuto sei conferenze-stampa a settimana per nove anni, non posso pi� farlo. Non ho problemi con voi, ma non vedo l’ora di non farlo pi��. Infatti, oltre al deficit di �energia�, il tecnico rivela anche quello �relazionale�, altro segmento essenziale di un coach e dei suoi successi. Fino alla chiusa quasi aforistica: �Sono qua grazie a quello che sono, e se non posso esserlo pi�, meglio dirlo alle persone�.
Secondo Simon Kuper — tesi sostenuta in un famoso articolo sul Financial Times — i coach darebbero il meglio, specie nel football, tra i 40 e i 50 anni, non solo a livello di vittorie, ma soprattutto di carica agonistica e di creativit�. Tesi �biologista� condivisibile: in effetti, vediamo molti esempi di �old coaches� congelati nel manierismo del proprio training o dei propri rituali psico-agonistici: il Mourinho degli ultimi sette anni (non solo della Roma) ne � un esempio spietato; lo Spalletti dello scudetto napoletano a 64 anni una delle poche, eclatanti smentite.
Il 56enne Klopp sembra avvalorare — almeno nella propria esperienza — quella tesi forse un po’ estrema, traendone conseguenze in teoria a loro volta estreme: dopo il sabbatico, dice, �potrei anche smettere�.
Ma l’�addio� kloppiano — certamente dai Reds, dal calcio chiss� — sembra echeggiare nel profondo altre due parabole.
La prima � quella di Bill Shankly, il leggendario coach e Padre Fondatore dell’universo-Reds (�You’ll never walk alone� � legata pi� di tutti a lui) con cui J�rgen condivide molti tratti, a cominciare da una visione anarco-socialista. Shankly ha esercitato il suo carisma non solo a Liverpool, ma in tutta la nazione: al momento del ritiro, nel luglio ’74, tra le masse di tifosi scioccati risaltano gli operai un’intera fabbrica che minaccia di scioperare; e a fine settembre dell’81, quando un attacco cardiaco lo porta al Broadgreen Hospital (dove lui insiste per rifiutare la stanza privata ed essere assistito in una corsia comune), Chiese sia cattoliche che anglicane si uniscono gremite a pregare per lui. Alla notizia della morte, il 29, il Congresso Laburista indice un minuto di silenzio, e il grande Matt Busby (il suo equivalente allo United) � cos� scosso da negarsi a microfoni e telefoni. In queste ore, lo spaesamento sul Mersey per l’exit di Klopp � simile: e non si tratta — � persino umiliante rimarcarlo — di una semplice orfananza di risultati.

L’altra eco � quella tra Klopp e Arrigo Sacchi, il maestro del suo maestro Frank e di tutta la new wave tedesca tra gli ‘80 e i ’90; ascendenza, per inciso, che spiega molto del gioco di �Kloppo�, delle sue sorgenti primarie. Il 28 gennaio 2001, dopo un Verona-Parma 0-2, Arrigo, sulla panchina dei �Ducali�, chiude col calcio sul campo: non ha ancora 55 anni. Un abruption in apparenza inspiegabile, ma spiegato in seguito in modo inequivoco: �Appena finita la partita, chiamai mia moglie e le dissi: basta, � finita. Per la prima volta, non avevo provato nulla: nessuna soddisfazione, nessuna emozione. L� capii che era arrivato il momento di chiudere�.
Anche Arrigo, come altri — pi� di altri — appartiene alla serie dei Nexus 6: anche la sua candela — in un gioco e in una visione del calcio pi� di ogni altra antefatto di quella kloppiana — ha bruciato da due lati. Tra i tanti passaggi che restano — che incidono — in questo �addio� ai Reds, non si possono non ricordare quelli sulla sincerit� �adulta� con cui J�rgen tratta i tifosi, senza assecondarli n� lisciarli. Dato il �rispetto� e l’�amore� che ha maturato per loro — e che sente ricambiato — si rivolge loro con una gratitudine che non ammette artifici o enfasi: �Il minimo che vi devo — dice a proposito dei motivi dell’ exit — � la verit�, e questa � la verit�.
Poi, relativizza — in modo non retorico — la propria importanza nella parabola del club: �…abbiamo affrontato cose pi� difficili [del mio addio] insieme, e voi avete affrontato cose pi� difficili prima di me. Facciamone un punto di forza. Sarebbe davvero fantastico. Spremiamo tutto di questa stagione e avremo un’altra cosa di cui sorridere quando, in futuro, guarderemo indietro�.
� la sintesi di una visione che indica una continuit� tra chi esce e chi entra, tra chi finisce e chi comincia; in questo senso, il verde dei campi schermati dai vetri nel video — che per lui sembra ormai terra aliena — � anche la cerniera di continuit� per chi verr� con l’entusiasmo che lui, per erosione biologica, sembra aver perduto, e a cui va orgoglioso di lasciare un team e un ambiente carico di prospettive.
Nonostante la saggezza dolorosa — e la vecchiaia in agguato — che il video comunica, Klopp sembra conservare comunque la sua matrice da ragazzo metallaro. Se a lungo ha cercato di riprodurre, nell’intensit� del suo gioco, �la batteria degli Iron Maiden� (impossibile non pensare a �The Trooper�), il congedo evoca certe �ballads�, certi lenti, dell’hard e dell’heavy, com’ � noto tra i pi� struggenti della storia del pop-rock. Se ne potrebbero scegliere diverse, ma forse la pi� adeguata � Nothing else matters dei Metallica: non solo per il mood, ma perch� concentra nei versi iniziali il rapporto di Klopp coi Reds (�So close no matter how far�) e perch� il titolo, riferito alle sue priorit�, pu� alludere proprio all’importanza primaria della continuit� tra memoria e futuro, nel Liverpool e nel calcio (Shankly, lui stesso, chi lo seguir�), ma non solo. Perch� questo, nel profondo, quel video sembra dirci: essere (sentirsi) parte di una storia � uno dei pochi modi per accettare la nostra limitatezza e finitudine: �Nothing else matters�.

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30 gennaio 2024 (modifica il 30 gennaio 2024 | 09:24)
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