In Italia 183 Centri (di alta qualità), ma per i nuovi farmaci solo uno studio su cinque è non profit
Il calo delle sperimentazioni indipendenti, non sostenute dalle aziende farmaceutiche, preoccupa oncologi e associazioni pazienti. Mancano risorse economiche, personale specializzato e infrastrutture digitali

La ricerca scientifica è fondamentale per la nostra esistenza, per la salute di tutti e per fare progressi contro tutte le malattie. E, in particolar modo, per trovare nuove cure efficaci contro quelle patologie dalle quali oggi ancora non si guarisce, come i tumori. Come sta quella «made in Italy»? «Non benissimo, fra grandi eccellenze e molti problemi - sintetizza Evaristo Maiello, presidente della Federazione dei Gruppi di ricerca cooperativi (Federation of Italian Cooperative Oncology Groups, FICOG) del nostro Paese -. È grazie alla ricerca scientifica se negli ultimi anni è calato il numero di morti dovute al cancro e cresciuta la percentuale di persone che guariscono o che vivono a lungo con una malattia che viene rallentata dalle cure. Ricerca sia di nuove terapie (più valide e meno tossiche), sia di strategie di prevenzione e di diagnosi precoce più efficaci. Molti degli studi condotti in Italia sono all'avanguardia - continua Maiello, direttore dell'Oncologia della Fondazione IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza a San Giovanni Rotondo (Foggia) -, ma mancano personale e finanziamenti».
Pochi finanziamenti
La ricerca, sottolineano da tempo gli oncologi, dovrebbe essere vista come un investimento economico e non soltanto come un costo. Ma in Italia il finanziamento pubblico in questo settore è, da sempre, sottodimensionato (siamo fra i Paesi che investono di meno in Europa). Non solo: la burocrazia va semplificata perché le regole attuali ostacolano gli scienziati e vanno velocizzate sia le procedure autorizzative sia le approvazioni dei comitati etici ed è necessario investire sul personale dedicato, dai ricercatori ai data manager che nel nostro Paese sono pochi e sottopagati con la conseguente e ben nota «fuga di cervelli» verso l'estero o verso le aziende farmaceutiche. A fotografare la situazione della ricerca sul cancro nostrana è l’«Annuario dei Centri di Ricerca Oncologica in Italia», promosso dalla FICOG e dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), un vero e proprio censimento delle strutture che conducono sperimentazioni sui tumori.
Il censimento italiano
Sono 183 i Centri che conducono ricerche cliniche in oncologia in Italia censiti dal volume, presentato nei giorni scorsi al Ministero della Salute. Quasi il 50% si trova al Nord (90), il resto al Centro (44) e al Sud (49). Circa un terzo delle strutture (36%, pari a 66 Centri) svolge più di 20 sperimentazioni all’anno, il 12% oltre 60. La qualità degli studi è garantita anche dalla presenza, nel 72% dei casi, di procedure operative standard (SOP, Standard Operating Procedure), cioè checklist che consentono di produrre risultati di alto livello. Resta però il nodo, ancora irrisolto, della mancanza di risorse e personale: il 68% (124 Centri) è privo di un bioinformatico e il 49% (89) non può contare sul supporto statistico. Devono essere strutturate figure professionali indispensabili, come i coordinatori di ricerca clinica (data manager), gli infermieri di ricerca, i biostatistici, gli esperti in revisione di budget e contratti. E la digitalizzazione, che consente di velocizzare e semplificare i trial, è ancora scarsa: solo il 43% utilizza un sistema di elaborazione di dati e il 37% una cartella clinica elettronica. Serve un cambio di passo per sostenere la ricerca accademica anche perché, oggi in Italia, solo il 20% degli studi sulle nuove molecole contro il cancro è non profit (il restante 80% è portato avanti dall'industria farmaceutica).
Il calo (preoccupante) degli studi non profit
« L’80-90% dei Centri ha una radiologia accreditata in sede, è dotato di un’anatomia patologica, di un laboratorio analisi accreditato, di un laboratorio di biologia molecolare in sede e dispone di un ufficio amministrativo dedicato - dice Maiello -. Va però evidenziata una netta riduzione dello spazio per la ricerca indipendente, come emerso anche dal Rapporto dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) sulle sperimentazioni cliniche. In un anno (2021-2022), nel nostro Paese, gli studi clinici non sponsorizzati dall’industria farmaceutica sono passati dal 22,6% al 15% del totale. Una diminuzione di oltre il 7% solo in 12 mesi, che rischia di impoverire fortemente il sistema della ricerca non profit in Italia, soprattutto in aree molto critiche come l’oncologia». I tumori su cui si concentra il maggior numero di sperimentazioni sono quelli gastrointestinali, mammari, toracici, urologici e ginecologici.
Sperimentazioni, opportunità per accedere prima a nuove cure
Se è vero, come spiega il ministro della Salute Orazio Schillaci nella prefazione del libro, che «grazie alla ricerca e alla prevenzione, oggi in Italia il 60% dei pazienti è vivo a cinque anni dalla diagnosi di cancro e un milione di persone può essere considerato guarito», è altrettanto vero che partecipare a una sperimentazione è un’opportunità per i malati di tumore (per poter accedere a un trattamento innovativo prima che sia ufficialmente approvato) e il vecchio stereotipo del paziente come cavia è quanto mai superato. «Va considerato il valore aggiunto della collaborazione attiva delle associazioni dei pazienti alla promozione, progettazione e realizzazione degli studi clinici - dice Elisabetta Iannelli, segretario della Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo) -. È necessario raccogliere dati da diverse fonti per capire le esigenze dei pazienti. Ad esempio i PROs, i patient-reported outcomes, sono indicazioni provenienti direttamente dai pazienti, senza alcun filtro che ne snaturerebbe la veridicità. I PROs possono riguardare sintomi, effetti collaterali, stato funzionale, percezioni o praticità e tollerabilità della terapia, ma anche altri aspetti che possono incidere fortemente sulla qualità della vita. Sono di fondamentale importanza per valutare il benessere dei pazienti. La ricerca, inoltre, può consentire il ritorno alla vita attiva, che si traduce in risparmi per il sistema e contribuisce a dare sostanza alla condizione di guarito».
I vuoti da colmare (con urgenza)
«I nostri studi sono all’avanguardia, ma servono più finanziamenti pubblici - sottolinea Francesco Perrone, presidente Aiom -. Ci sono, inoltre, forti criticità nella disponibilità di personale e di una solida infrastruttura digitale. Oggi, in Italia, solo un quinto degli studi sulle nuove molecole contro il cancro è non profit. Questi elementi impongono un cambio di passo. Le sperimentazioni a fini regolatori sono paragonabili a "istantanee" sull’efficacia e la sicurezza dei nuovi farmaci. Tuttavia, proprio come in un’istantanea, ciò che accade prima e dopo lo scatto potrebbe non essere messo a fuoco. I limiti intrinseci agli studi registrativi non consentono di ottimizzare l’uso di una terapia nell’intero percorso terapeutico del paziente. La ricerca accademica può affrontare queste lacune e assolvere alla propria missione di migliorare la pratica clinica - conclude Perrone -. Però è necessario un salto di qualità. Vanno previsti studi che non restringano l’attenzione sull’efficacia e tossicità di un singolo farmaco, ma guardino all’intero percorso di cura dei pazienti».