Ma «la zona d’interesse» si può criticare
Caro Aldo,
tutt’attorno ad Auschwitz c’erano case abitate. I contadini andavano a prendere la cenere ai crematori (cenere di umani ) per concimare i campi. Sapere questo fa capire, forse, tutta la distopia, il crash mentale che c’è in quello che stiamo vivendo ora. «La zona d’interesse» è un film fondamentale; «Io, capitano», no.
Lisa Lideo
Ho visto il film: le zone d’interesse sono ovunque volgiamo lo sguardo da un’altra parte per non toccare i nostri interessi.
Marta Canela
Un lavoro eccezionale, racconta molto dell’umanità, di ieri e di oggi.
Marco Ferrari
Cari lettori,
Da molto tempo non si discuteva tanto di un film; segno che «La zona d’interesse» ha fatto centro. L’idea, com’è noto, è raccontare Auschwitz dall’altra parte del muro, dove vive la famiglia del direttore del campo, un nazista della prima ora, Rudolf Höß. I fiori prosperano, perché sono concimati dalle ceneri degli ebrei uccisi. Le grida dei tormentati si possono anche non sentire. La moglie di Höß non vuole lasciare l’amena campagna polacca, dove ha coronato il suo sogno piccoloborghese di una vita tranquilla, per trasferirsi a Berlino. Sua madre la raggiunge, all’inizio sembra compiaciuta al pensiero che dall’altra parte del muro potrebbe esserci la ricca ebrea da cui era a servizio; poi il luogo la turba, comincia a bere, fugge senza avvisare, lasciando un biglietto che indispettisce la figlia ma di cui il regista non ci fa sapere il contenuto. Ecco il motivo per cui il film non mi ha convinto del tutto. Ho trovato il regista Jonathan Glazer — ovviamente non solo in quella scena — poco generoso verso lo spettatore. Molto preoccupato di fare un film per i premi e per i critici; anche se il migliore d’Italia, il nostro Paolo Mereghetti, è rimasto perplesso. Per mostrare l’inferno, d’altra parte, occorre essere Dante, o almeno Spielberg; Glazer non ci ha neppure provato, e forse è stato giusto così. Colleghi che stimo molto mi hanno scritto che sbaglio, che il film ha una grande potenza drammatica; chiedo scusa, non l’ho vista. Su una cosa però siamo o dovremmo essere tutti d’accordo: Ceccherini ha detto una stupidaggine, come lui stesso ha riconosciuto, anche dopo il saggio rimprovero di una moglie. E ha ragione Massimo Gramellini quando ricorda che «La zona d’interesse» non è «il film degli ebrei» e neanche sugli ebrei, ma sui loro volenterosi carnefici e su coloro che girano la testa dall’altra parte. Tra cui ci furono anche molti italiani; ma questo non ci piace ricordarlo, oggi gli italiani vanno più volentieri in pellegrinaggio alla birreria dove Hitler progettò il colpo di Stato.
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«Siamo ebrei, dico ai miei figli di non rivelarlo»
Sono ebrea. Per questo motivo nel clima attuale chiedo di non rivelare il mio nome e cognome. Sono madre di due figli, il maggiore studia in un’università americana, l’altro in una italiana. L’atmosfera in entrambi i casi è di intolleranza e minacce verso gli studenti ebrei. Per i miei figli non vedo futuro, raccomando loro, sempre con maggior preoccupazione ed angoscia, di non rivelare a nessuno la loro identità ed appartenenza religiosa. Loro si arrabbiano e giustamente con l’impeto che caratterizza i giovani non mi ascoltano, ma io tremo. In effetti non so dare nessuna risposta alla loro domanda «perché dovremmo nasconderci, cosa abbiamo fatto di male?». Nascondersi «non per quello che si fa ma per quello che si è» crea rabbia e frustrazione ma leggere i dati del crescente antisemitismo nel mondo mette i brividi. Il mio è lo sfogo di una madre che si chiede cosa siano valsi anni di celebrazione del «giorno della memoria» e la frase abusata «mai più» se nel 2024 i miei figli devono avere paura di dichiarare la loro appartenenza religiosa? Il libro su Golda Meir contestato, Parenzo, Sara la ragazza cacciata dalla manifestazione femminista a Firenze, le esternazioni di Ghali e Ceccherini in tv … anche in Italia gli episodi ormai non si contano e le nubi che noi ebrei conosciamo bene si addensano. La storia insegna che quando si comincia a colpire gli ebrei la società è irrimediabilmente malata.
L. K.
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