La corsa nella città divisa in tre. E ognuno invoca il miracolo come per la salvezza del Bari
Il derby Pd-M5S tra Leccese e Laforgia, il leghista «anomalo» Romito spera
Valerio Di Cesare, chi era costui? Romano di nascita ma ormai pugliese di adozione, questo centralone difensivo tutto cuore e fisicaccio, capitano del Bari, è la prova di ciò che diceva Eduardo Galeano: «Quando il buon calcio si manifesta, rendo grazie per il miracolo». E di miracoli il nostro Chiellini ai lampascioni sembra averne sfornato uno grosso, la fatidica sera di giovedì 23 maggio. Nel giorno del suo quarantunesimo (!) compleanno ha trascinato la squadra alla salvezza in B nello spareggio mozzafiato a casa della Ternana, prima con un discorso motivazionale ai compagni degno di Al Pacino («diamo tutto quello che abbiamo!») e poi con una sberla in mezza rovesciata stile Gigi Riva. Allora la città, che trepidava sul lungomare davanti ai maxischermi di Torre Quetta, ha respirato di sollievo, spurgando via almeno per una notte ubbie e rancori preelettorali.
Il centrosinistra, mandate all’aria le primarie per sindaco causa scandali sul voto di scambio e veleni tra Conte e Schlein, ha qualche motivo per sperare anche in un secondo miracolo: diciamo così, collaterale. Vito Leccese, il candidato dem, in testa finché si son potuti pubblicare i sondaggi, ridacchia: «Un segno premonitore? Ma no! Però molti gufavano: auspicavano la sconfitta della squadra per attribuirla a Decaro». Chiariamo: Antonio Decaro non è l’allenatore del Bari ma il sindaco uscente, candidato forte del Pd alle Europee e protagonista di uno spot virale in cui s’ingegna a parlare tutti i dialetti del suo collegio.
Al di là dell’evidenza storica del rapporto calcio-politica (intere biblioteche lo testimoniano) la bizzarra sovrapposizione di ruoli dice molto su quanto sia diventata contendibile, inaspettatamente, la città laboratorio dei progressisti meridionali dopo vent’anni di dominio al Comune e alla Regione segnati da Michele Emiliano, Nichi Vendola e dalla stesso Decaro. La caduta in serie C sarebbe stata il crisma di una crisi, vera o montata, che il centrodestra sta provando a cavalcare da mesi: a Decaro (tifoso assatanato, andato in ritiro ad arringare i calciatori) si attribuisce la colpa di avere affidato la squadra, reduce da un fallimento, all’ormai odiato Aurelio De Laurentiis, patron anche del Napoli e accusato nei cori da stadio («Bari non è un tuo film!») d’ogni nefandezza a scapito degli amati biancorossi. Un leghista con l’elmetto come Rossano Sasso ha chiesto le scuse del sindaco. Anomalo, come leghista, ama invece descriversi il giovane candidato del centrodestra, Fabio Romito, 36 anni. Un po’ lo è. «Mi piace il bolivarismo», dichiara, supponendo che il suo interlocutore sia di sinistra e apprezzi. Un po’ ci fa, quando, esagerando, colloca Fidel Castro fra i suoi «rivoluzionari preferiti». Ma, al netto di qualche ingenua captatio, il giovanotto non va preso sottogamba. È sveglio e avvolgente. Era tra i venticinque ragazzi selezionati a Villa Gernetto da Berlusconi che cercava con un casting i volti nuovi di Forza Italia. Poi, nel 2018, Salvini lo ha arruolato nel tentativo di trasformare la Lega in un partito nazionale. Adesso bada a tenersi alla larga da Vannacci, candidato europeo e ultima spiaggia del salvinismo boccheggiante («quando è sceso qui non ho proprio potuto vederlo») e spende parole di miele per gli avversari, soprattutto per il terzo incomodo, Michele Laforgia, «eccellente persona» e «grande collega» (entrambi sono avvocati). «Michelino», così detto per distinguerlo da «Michelone» Emiliano, è infatti l’ago della bilancia: candidato di Conte e della sinistra radicale, era dato in coda nei sondaggi di metà maggio ma ha abbastanza voti da determinare il vincitore in ballottaggio.
Leccese si mostra certo del suo sostegno in caso gli toccasse uno spareggio con Romito come il Bari con la Ternana: «Abbiamo sottoscritto una dichiarazione di fairplay». In effetti si dice pure certissimo di vincere già al primo turno ma, per prudenza, si dipinge come un «protogrillino»: «Ho fatto per primo, da verde, le battaglie ambientali sposate da Grillo». Parlamentare per due legislature, capo di gabinetto di Emiliano e di Decaro, Leccese è un candidato progressista da manuale: misurato, espertissimo. Troppo esperto per una città che forse vuole novità? Romito accarezza il miraggio. Laforgia accarezza Romito, «bravo ragazzo, molto ambizioso», in un siparietto serale nella Bari della movida: «Ho trattato peggio l’altro di te», gli sorride, ed entrambi sanno chi sia l’altro. A domanda secca (i «laforgiani» al ballottaggio voterebbero per Romito?) risponde celiando a pugno chiuso: «Sono un uomo del Novecento».
Il problema è che nessuno sa davvero cosa faranno i Cinque Stelle, autentica forza elettorale di Laforgia (che grillino non è). Per capirlo, bisogna bussare all’ufficio di Emiliano in Regione, storico ponte tra due mondi. «Michelone» è un po’ stazzonato dopo la bufera sulla sua assessora Maurodinoia e le polemiche sulla sua asserita attitudine a imbarcare chiunque porti voti più che idee. Lo scandalo di Toti in Liguria ha però ridimensionato i casi pugliesi e rianimato il nostro: «La verità è come un pallone che spingi sott’acqua: quando poi lo molli, risale». Considera Leccese il suo maestro politico ma ammette che il rischio d’una sorpresa clamorosa è «ineliminabile». «Però i Cinque Stelle di Conte non sono i destrorsi di prima, almeno l’80% degli elettori di Laforgia voterà per Leccese, vedrete». La commistione tra diversi è il suo sogno per il dopo: un partito che «cucia» Pd e Cinque Stelle e in qualche modo li superi, forse un’entità politica con qualche accento meridionale. Un’idea che seduce anche intellettuali come Gianfranco Viesti, economista con fede nei miracoli (pregava per il Bari la fatale serata) e che dunque crede persino al miracolo d’un centrosinistra come alternativa di governo, «prima o poi».
Naturalmente si parla di governo nazionale, perché, almeno a Bari, le Europee è come se non ci fossero: assenti troppo a lungo da un dibattito che s’è incancrenito sul costo del voto di scambio a Triggiano e Grumo Appula, dimenticando Bruxelles e Strasburgo. Infine, ci si abitua. Una più recente vicenda di presunta corruzione elettorale che ha toccato Francesco Ventola, ex sindaco meloniano di Canosa e candidato alle europee per Fratelli d’Italia, non ha scaldato granché. La città è sfibrata. «La campagna elettorale è debole e senza grandi idee», spiega l’editore Alessandro Laterza. Bari ha scoperto di non essere Gotham City. Ma a risvegliarla forse non basterà nemmeno Di Cesare, il capitano dei miracoli.
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