John Lennon, una docuserie ripercorre l’omicidio per mano di Mark David Chapman
John Lennon, ultimo atto. Su Apple Tv+ è sbarcata il 6 dicembre, una docuserie in tre episodi, “John Lennon: Murder Without a Trial”, che ricostruisce uno degli omicidi più clamorosi della storia dello scorso secolo. Sono trascorsi ben 43 anni da quella sera dell’8 dicembre del 1980, quando il leggendario membro dei The Beatles è stato colpito fuori dalla sua residenza newyorchese, al Dakota Building, nei pressi di Central Park, da ben cinque colpi di arma da fuoco, per poi morire in ospedale. Una data spartiacque che ha segnato la fine della più grande icona, non solo musicale. Un omicidio compiuto da Mark David Chapman, un suo fan ma anche, purtroppo, un pericoloso squilibrato. Pensare che poche ore prima Lennon gli aveva autografato una copia del suo ultimo disco, «Double Fantasy». Divenuto, improvvisamente, l’ultimo per davvero.
Non è la prima volta che l’industria dell’entertainment si occupa di raccontare l’assassinio di Lennon. Nel 2007 uscì «Chapter 27» di Jarrett Schaefer, con un Jared Leto camaleontico nei panni di Chapman, ma anche «The Killing of John Lennon» di Andrew Piddington, arrivato sugli schermi un anno prima. Stavolta, invece, la tragedia viene ricostruita attraverso testimonianze esclusive (come il portiere del Dakota Building, i poliziotti intervenuti sulla scena, persino l’autista che portò Chapman sul posto) e filmati inediti. Tre episodi narrati da Kiefer Sutherland, «The Last Day» («L’ultimo giorno»), «The Investigation» («L’indagine») e «The Trial» («Il Processo») che non puntano i riflettori sulla figura di Lennon, che comunque riesce a emanare sullo spettatore quell’aurea che ancora oggi la sua eredità riesce a trasmettere, bensì sul suo assassino. Si parte infatti dall’arresto di Chapman fino alla sua condanna. La sentenza non fu affatto scontata. Perché questa docuserie è il viaggio dentro la follia di un uomo, un mitomane che per la ricerca di fama è arrivato a uccidere l’uomo più famoso al mondo.
Tra rabbia nei suoi confronti («Imagine no possessions e vivi nel lusso sfrenato», così come «We’re more popular than Jesus»), passando per l’ossessione per «Il Giovane Holden» (si fa un parallelo con l’autore del fallito attentato al presidente Reagan, John Hinckley Jr., in quanto nel suo albergo venne rivenuta una copia del romanzo di Salinger), fino al desiderio di assomigliargli, arrivando persino a sposare Gloria Abe, una donna americana di origini giapponesi che gli ricordava Yoko Ono. Con le conseguenti implicazioni giudiziarie. Dozzine di psichiatri si sono infatti interfacciati con lui, con la difesa che voleva appellarsi alla cosiddetta infermità mentale per non mandare il proprio assistito in carcere. Per l’opinione pubblica, ferita a morte, si sarebbe trattato di una cosa intollerabile. «Chi sbaglia deve pagare per i suoi crimini» afferma un intervistato. L’omicidio era premeditato. La pistola fu acquistata il 27 ottobre di quell’anno. Pare che Chapman avesse svelato le sue intenzioni persino a Gloria.
Negli episodi si ipotizza un coinvolgimento della Cia e dell’esistenza di un programma segreto che si servisse di ipnosi messo per creare un esercito di assassini inconsapevoli. Motivo per cui l’omicida non sarebbe scappato dal luogo del delitto. Complottismi a parte, alla fine giustizia è stata fatta. Tre anni fa Chapman ha chiesto scusa pubblicamente alla vedova di Lennon. «Non l'ho ucciso per la sua personalità o per il tipo di uomo che era, ma perché era molto, molto famoso. L’ho ucciso per avere fama, è stato un atto egoista, mi dispiace per il dolore che ho causato», disse. Lei non l’ha mai perdonato. La libertà condizionata, da lui richiesta per ben dodici volte, gli è ancora oggi negata.
La docuserie è l’ultimo tassello che si aggiunge a un periodo ricco per la memoria dei Beatles. Basti pensare che risale a poco più di un mese l’uscita di un loro pezzo rimasto inedito, «Now and Then». Completato con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, che è partita dalle registrazioni originali, il brano dei Fab Four contiene un qualcosa di profetico. Profetiche come le stesse parole pronunciate da Lennon in un’intervista rilasciata pochi giorni prima di andarsene: «Nessuno ha mai dato una vera possibilità alla pace. Gandhi ci ha provato. Martin Luther King ci ha provato. Hanno sparato a entrambi». Ma una leggenda non muore mai veramente. Nemmeno dopo cinque colpi di pistola. «He’s not dead, John Lennon can’t be dead».