Israele lancia l’attacco su Rafah Hamas: sì a un cessate il fuoco
La proposta di tregua di Egitto e Qatar. Parte l'attacco a Rafah: ordine di evacuazione, poi i primi raid
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME – La freccia gialla ricurva indica un’altra svolta che a sette mesi dall’inizio della guerra in pochi si fidano a prendere. È la disperazione più del calcolo a spingere migliaia di palestinesi a lasciare la periferia di Rafah come i volantini lanciati dall’esercito e le telefonate automatiche che arrivano sui telefonini ordinano. È uno squillo che hanno sentito molte altre volte, la maggior parte della popolazione adesso ammassata nella cittadina sul confine con l’Egitto è già fuggita dal nord della Striscia e dall’invasione israeliana. Sono gli sfollati interni in queste aree oltre un milione e mezzo.
Rafah è diventata il simbolo di questa guerra. Così la prima reazione israeliana all’annuncio di Hamas — «Abbiamo accettato la proposta di tregua» — resta la conferma dell’operazione militare per andare a stanare gli ultimi quattro battaglioni di Hamas nelle zone dove si nasconderebbe pure Yahya Sinwar, il capo dei capi fondamentalista e pianificatore dei massacri del 7 ottobre nel sud di Israele. Nella notte l’artiglieria ha intensificato i bombardamenti e i primi carri si sarebbero mossi verso la parte est della cittadina.
Fonti nel governo a Gerusalemme spiegano di non aver visto prima il documento dell’accordo, soprattutto conterrebbe richieste che il premier Benjamin Netanyahu e la coalizione al potere hanno sempre rifiutato di accettare. Il piano prevede tre fasi, ognuna di 42 giorni, e già nella seconda entrerebbe in vigore il cessate il fuoco permanente. Quella fine del conflitto che il primo ministro ha respinto proclamando la volontà di ottenere «la vittoria totale». Adesso che «la palla è nel campo» di Israele come dice uno dei leader fondamentalisti, il consiglio di guerra ristretto ha per ora solo deciso di mandare una squadra esplorativa al Cairo.
Dove non era andato nel fine settimana David Barnea, il direttore del Mossad, che ieri sera è stato incaricato di valutare il testo. L’Egitto e il Qatar sembrano aver gestito questo passaggio delle trattative da soli prendendo di sorpresa, almeno all’apparenza, i mediatori statunitensi — «stiamo esaminando i dettagli» — e di sicuro gli israeliani. Fin dall’inizio del conflitto 213 giorni fa, Netanyahu ripete che la pressione militare è la strategia migliore per ottenere la liberazione dei sequestrati, mentre da mesi i parenti dei rapiti chiedono l’intesa. Nei cunicoli di Gaza restano 133 sequestrati, tra loro almeno 30 morti in cattività. L’accordo delineato da egiziani e qatarini indica che nelle prime sei settimane verrebbero liberate donne, minori, anziani e malati in cambio della liberazione di detenuti palestinesi.
Oltre 100 mila civili nel sud di Gaza hanno ricevuto ieri il messaggio di andarsene verso Khan Younis che fino agli inizi di aprile era il campo di battaglia principale, adesso tocca a Rafah, dopo settimane di annunci e di proclami. Dopo settimane di tentativi della diplomazia internazionale di fermare l’ordine che Netanyahu ribadisce di voler impartire: il presidente Joe Biden si oppone all’offensiva, lo ha ripetuto in una telefonata di mezz’ora con il primo ministro. Avrebbe ottenuto la riapertura del valico di Kerem Shalom da dove passano gli aiuti umanitari: gli ufficiali hanno deciso di chiuderlo dopo le decine di colpi di mortaio lanciate domenica dai paramilitari jihadisti, quattro soldati sono stati uccisi.
L’incursione preoccupa l’Egitto: la pressione dei palestinesi è a pochi metri dalla barriera e dai cancelli tenuti chiusi dal presidente Abdel Fattah al Sisi. Che mette in guardia contro i «pericoli di un’operazione militare». Come l’Arabia Saudita: «La campagna sanguinaria e sistematica va fermata». I palestinesi uccisi in totale sono quasi 35 mila. D. F.