Europee, scelto da un leghista su 4. Vannacci battitore libero, i timori dentro il partito

diTommaso Labate

Le domande tra i salviniani: che cosa farebbe in caso di resa dei conti?

«E seicentosettantacinque, prego», rivendica con precisione militaresca, piegando i complimenti ricevuti in privato all’aritmetica del consenso, con gli angoli del successo elettorale incassato ovunque in Italia che devono combaciare come nel mitologico «cubo», che nel gergo militare è il modo di piegare le coperte di modo da lasciare ordinato il letto. Basta avere la fortuna di trovare il suo telefono libero, esordire celebrando la bellezza dei «cinquecentotrentamila voti» ottenuti — lo ha scelto un elettore su quattro della Lega — ed eccolo, lui, lestissimo a ricordare all’interlocutore che ci sono quelle seicentosettantacinque «x» in più sulle schede, come se il trionfo andasse pesato fino all’ultimo grammo, il brindisi onorato fino all’ultima goccia e il plebiscito celebrato fino all’ultimo voto.

Il day after del generale Roberto Vannacci, il suo primo da europarlamentare eletto con la Lega, lo catapulta coi galloni del protagonista in una sorta di film tra il grottesco e il fantasy, di quelli che disegnano un futuro distopico. Una situazione straniante che fa dire a una vecchia colonna leghista — che preferisce conservare l’anonimato — che «sembriamo piombati all’interno di uno di quei sogni che non sai se è un brutto sogno passeggero oppure un incubo vero e proprio, salvati da quello che un anno fa era un signor Nessuno, che verosimilmente non conosce la nostra storia; e abbandonati da Umberto Bossi, che era e rimane la nostra storia fatta persona, che invece ha preferito votare Forza Italia».

Perché la situazione è esattamente questa. L’operazione Vannacci è la delizia che salva in corner la segreteria di Matteo Salvini, dal punto di vista della geometria elettorale la più azzeccata delle trovate del vicepresidente del Consiglio da qualche anno a questa parte; ma è anche una sorta di croce, una specie di pericolo vivente, il fantasma di una cambiale umana dalla scadenza ignota. Che cosa succederebbe, e se lo chiedono anche fior di salviniani convinti, se partisse una sorta di resa dei conti nel Carroccio e Vannacci aprisse bocca per dire la sua? E ancora, quanto è «controllabile» Vannacci? Di più, e se la «macchina Vannacci» si ribellasse alla stanza dei bottoni di Salvini celebrando il cantiere di una forza politica tutta sua, seguendo per esempio quella stessa traiettoria che anni fa — proprio a seguito di un bel risultato alle Europee — portò Carlo Calenda a separare le sue strade da quelle del Pd?

«Roba da politici e io non sono un politico», riflette a voce alta lui, come se in quella rivendicazione ci fosse una sorta di presa di distanza sprezzante rispetto al mondo dei partiti, delle liste, delle liturgie disordinate, mentre «il mio mondo — come ama ripetere — è l’ordine». L’ha fatto, Vannacci, anche cogliendo al balzo la palla del mancato voto alla Lega di Umberto Bossi, castigando il Senatur col piglio del neo-padrone di casa. «Non andrei mai a combattere con un camerata che il giorno prima decide di cambiare schieramento», «le persone che cambiano faccia in base al vento mi sanno di tradimento», «se avessi un amico che di punto in bianco cambia bandiera lo considererei un traditore».

Il vincolo che sente rispetto all’attuale conformazione della Lega è sottile come un capello; così come lo è il sentimento di riconoscenza nei confronti di Salvini, di cui potrebbe considerarsi il salvatore e non il contrario. Lo score elettorale incassato ovunque e contro il favore della spina dorsale del leghismo dei Giorgetti, degli Zaia, dei Fedriga, ecco, tutto questo fa sentire Vannacci una sorta di battitore libero nel senso più pieno della parola.

Che di consensi cominci a masticarne, e parecchi, lo si capisce dalla reazione di autentica felicità mostrata quando gli hanno fatto notare che al Sud ha preso più voti di un altro neo-acquisto, l’ex democristiano Aldo Patriciello, un veterano della preferenza con esperienza trentennale. «I pareri politici li lascio a chi fa politica ed è nel partito», ha spiegato. A ufficializzare una candidatura che era nell’aria ci ha messo mesi e mesi. A celebrare uno strappo potrebbe mettercene altrettanti, feroce come una goccia cinese. In fondo, è questo il pensiero più assillante e inconfessabile di Salvini: la croce che diventa delizia, la macchina che si ribella, il futuro distopico, un altro incubo. Che pesa cinquecentotrentamila voti. Più seicentosettantacinque, prego.

10 giugno 2024

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