Stefano Dal Corso morto in carcere, i pm per la settima volta negano l’autopsia

Tre testimonianze inedite, due perizie, un audio e le versioni contrastanti non sono bastate. Per la settima volta i magistrati si sono rifiutati di disporre l’autopsia sul corpo di Stefano Dal Corso. Non importa se sia stato aperto un nuovo fascicolo, se in mano alla procura ci siano prove inedite. Questa autopsia non s’ha da fare.

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Se il mantra ripetuto nei vecchi dinieghi si riferiva all’assenza di prove, questa volta, che di elementi ce ne sono e anche parecchi, è stato sollevato un altro problema: non ci sono indagati quindi è inutile effettuare un incidente probatorio. Non occorre dunque analizzare scrupolosamente il corpo del detenuto romano morto il 12 ottobre 2022 nella cella numero 8 del carcere Massama di Oristano.

Del resto lo ha detto anche il ministro della Giustizia rispondendo a un’interrogazione parlamentare: “ Non si evidenzia alcuna anomalia”. Eppure un’anomalia si registra anche nelle parole dello stesso ministro, che parla dei “ decessi dei due detenuti”, quindi di un secondo carcerato, di un’altra morte che non era mai venuta alla luce.

Qualcosa non torna. Marisa Dal Corso, la sorella della vittima, lo aveva capito subito. Aveva notato infatti che le scarpe indossate dal fratello al momento della morte non erano le sue. Quella che sembrava un’anomalia si è trasformata in una suggestione quando è emerso che le telecamere di sicurezza del penitenziario erano rotte. Dalla suggestione al sospetto il passo è stato breve. Tutta colpa delle testimonianze contrastanti, acquisite in ritardo o mai raccolte. E, si scopre adesso, di un foglio delle presenze del reparto dove è morto Stefano Dal Corso scritto a mano, mentre solitamente viene annotato telematicamente. Ora spunta anche un anonimo, una persona che dimostra di sapere molte cose, che racconta dettagli e dice che quel 12 ottobre è stato commesso un omicidio.

Mitomania o verità: solo un’autopsia può dirlo. Ma non viene fatta nonostante un’autorità come Elena Cattaneo abbia spiegato che dalle foto inviate alla famiglia non è possibile desumere le cause della morte.

Non è servita neanche la perizia con cui illustri medici hanno spiegato che le ferite sul collo mostrate in quelle immagini sono compatibili con uno strangolamento. Per la procura sarda Dal Corso si è impiccato con il lenzuolo della sua branda. E occorre credergli, sulla parola. A dispetto delle testimonianze, delle perizie raccolte dall’avvocato di famiglia, Armida Decina, e di un mondo sicuramente oscuro che orbita e cerca di influenzare la storia di Stefano Dal Corso.