Fed, nuovo stop al rialzo dei tassi e massima attenzione agli squilibri
Ancora una pausa per la Federal Reserve. Nessun ritocco al costo del denaro nemmeno a dicembre per la banca centrale statunitense guidata da Jerome Powell. La quale però lascia aperte le porte a eventuali tagli ai tassi d’interesse nel 2024, che potrebbero essere tre. Importanti saranno le prossime due riunioni per capire la tendenza in corso negli Usa, in cui il mercato del lavoro continua a essere forte e non lascia troppi margini di manovra per cambi di rotta definitivi nella politica monetaria. Quello che è sicuro, ha spiegato più volte Powell, è che «il lavoro non è ancora completato». Intanto, la Banca centrale europea (Bce) è proiettata a fare lo stesso nella riunione di domani: tassi fermi e attenzione per i nuovi dati macroeconomici nel prossimo trimestre.
La Fed di Powell sceglie di aspettare ancora una volta. Mantiene i tassi nella forchetta compresa tra il 5,25% e il 5,50% perché il contrasto all’inflazione non è terminato. La persistenza dei prezzi preoccupa non poco gli analisti, del resto. Come fa notare Tiffany Wilding, North American Economist di Pimco, «il rapporto sull'inflazione CPI di novembre ha mostrato che il CPI core, che esclude le categorie volatili di cibo ed energia, è aumentato come previsto dello 0,28% mese su mese (m/m) (contro lo 0,31% m/m previsto)». Anche i dettagli del rapporto «sono stati in gran parte conformi alle attese, con una normalizzazione dell'Owners Equivalent Rent (OER), il rimbalzo dei prezzi delle auto usate e i significativi sconti del Prime Day come fattori chiave». Al netto del rumore mensile, secondo Winding, «la disinflazione sta procedendo nella seconda metà del 2023 a causa di una combinazione di moderazione dell'inflazione degli affitti e di una vera e propria deflazione dei beni». Allo stesso tempo «i servizi core, depurati dell'inflazione shelter, sono aumentati dello 0,44% m/m e si attestano al 5,2% su base annua a 3 mesi». Riteniamo evidenzia l’economista di Pimco, «che ciò avvalori la nostra opinione secondo cui il presidente della Federal Reserve Jerome Powell cercherà di limitare qualsiasi ulteriore allentamento delle condizioni finanziarie continuando a sottolineare che potrebbero essere necessari ulteriori rialzi».
Il braccio operativo della Fed, il Federal open market committee (Fomc), ha pertanto deciso di attuare un procedimento attendista. Le tensioni geopolitiche in corso, in primis Ucraina e Medio Oriente, restano un'incognita degna di nota. Così come le componenti dei servizi che hanno una sensibilità ai salari, che al contrario degli affitti e della deflazione sui beni, si muovono in modo dissociato e più vischioso. Nel definire la condizione attuale dell’economia, la Fed fa notare che «gli indicatori recenti suggeriscono che la crescita dell’attività economica ha rallentato rispetto al ritmo sostenuto del terzo trimestre. L’aumento dei posti di lavoro si è moderato rispetto all’inizio dell’anno, ma rimane forte, e il tasso di disoccupazione è rimasto basso. L’inflazione si è attenuata nell’ultimo anno, ma rimane elevata”. Sul fronte creditizio, la Fed ha rimarcato che «il sistema bancario statunitense è solido e resiliente. Condizioni finanziarie e creditizie più restrittive per le famiglie e le imprese probabilmente peseranno sull’attività economica, sulle assunzioni e sull’inflazione. La portata di questi effetti rimane incerta». Alla luce di questo, l’istituzione monetaria guidata da Powell, «rimane molto attento ai rischi di inflazione». A tal proposito, ci sarà una frenata. Il Pil crescerà del 2,6% nel 2023, dell’1,4% nel 2024, dell’1,8% nel 2025 e dell’1,9% nel 2026, meno delle previsioni precedenti. Sul versante dei prezzi, la Fed stima un’inflazione al 2,8% alla fine dell’anno in corso, al 2,4% nel 2024, al 2,1% nel 2025 e al 2,0% nel 2026.
Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte, ha sottolineato alcuni dati cruciali alla vigilia. «Il Surprise Index di Citigroup per gli Usa (che monitora quanto i dati sono risultati migliori/peggiori delle attese) si è posizionato al minimo dallo scorso maggio», spiega. A ben vedere, «la spiegazione più forte potrebbe risiedere nel duplice ragionamento che mette insieme i fautori del soft/hard landing: i primi vedono nel calo dell'inflazione il motivo principale dell’inversione della politica monetaria, in un contesto in cui l'economia semplicemente rallenta senza però arrivare a calare; i secondi percepiscono lo spostamento di fatto del focus delle banche centrali, che non mirano più a domare l'inflazione, alla luce degli ultimi dati che ne segnalano il trend calante, quanto piuttosto a pilotare un “atterraggio morbido”». Per conciliare il soft landing con la normalizzazione del bilancio e la graduale riduzione della liquidità in circolazione, dice Cesarano, «occorrerà agire sulla leva dei tassi riducendoli in modo sostanzioso». In entrambi i casi, «si arriva in prospettiva ad una riduzione dei tassi, più accentuata se si sposa il ragionamento dei fautori dell’hard landing». Ancora una volta, l’attendismo e il pragmatismo sono le due soluzioni preferite da Powell e il Fomc.
Sull’altro fronte dell’Oceano Atlantico, la Bce di Christine Lagarde è chiamata domani a fornire risposte più nette agli investitori istituzionali. Le aspettative sono per un ulteriore pausa ai rialzi dei tassi, ipotesi che la maggior parte degli analisti ritiene l’unica possibile in questa fase storica. Ma il vero oggetto del contendere sarà la gestione della seconda fase dell’attuale percorso di politica monetaria. Ovvero, come ridurre il bilancio di Francoforte e quando avviare i primi tagli al costo del denaro. Secondo più di un operatore finanziario, la sforbiciata iniziale potrebbe giungere già in tarda primavera. Molto dipenderà dal contesto macroeconomico. La recessione può cambiare le carte in tavola, così come la crisi geopolitica. Stesso dicasi per la lunga corsa verso le elezioni europee. Motivo per cui la prima riduzione dei tassi potrebbe giungere in luglio, dopo il Forum di Sintra, o una volta terminata la pausa estiva.