Omicidio Nada Cella, l’ultimo mistero: la telefonata del carabiniere smemorato e le altre indagini mai fatte nel 1996 su Anna Lucia Cecere

C’è un vero e proprio buco nero nella dolorosa e insoluta vicenda dell’omicidio di Nada Cella, massacrata a Chiavari il 6 maggio 1996. Sono i cinque giorni che vanno dal 27 al 31 maggio del 1996, cinque giorni che videro indagata per il delitto Anna Lucia Cecere, ma durante i quali le indagini vennero appena abbozzate, per non dire letteralmente soffocate, senza che venisse svolta una serie di approfondimenti, in genere automatici quando si ha a che fare con attività di polizia giudiziaria.

Decisioni clamorose come quella di non interrogare la sospettata o prendere a verbale un carabiniere con il quale la giovane donna ebbe una lunga e misteriosa telefonata.

Curiosamente, quelle indagini inesistenti, 28 anni dopo sono state trasformate in eventi reali nelle motivazioni con cui la gip Angela Nutini ha deciso di prosciogliere, e non mandare a processo, la sospettata Anna Lucia Cecere: analisi tecniche, interrogatori di testimoni, sorprendenti fraintendimenti. La giudice ha deciso di prosciogliere anche Marco Soracco, titolare dello studio di commercialista in cui venne aggredita Nada, e la madre di lui Marisa Bacchioni, indagati per favoreggiamento e false informazioni.

La pm Gabriella Dotto ha presentato ricorso in appello contestando in un lungo elenco di sviste ed errori della gip che, per la procura, sono veri e propri «travisamenti e ripetute omissioni». Il tema centrale è questo: secondo gli inquirenti solo un processo potrebbe sviscerare una serie di domande che attendono risposte da così tanto tempo, anche, in caso di assoluzione, per allontanare una volta per tutte il sospetto da Anna Lucia Cecere.

Ripercorriamo questi cinque giorni del 1996.

La vicina

Adriana B., una vicina di casa di Anna Lucia Cecere si presenta ai carabinieri di Sestri Levante e al maresciallo Giuseppe Mariotta racconta -chiedendo però di restare anonima - dei suoi sospetti sulla giovane donna che le ha parlato del suo interessamento sentimentale per il commercialista Soracco e del risentimento per la segretaria di lui. Le indagini sull’omicidio di Nada Cella sono in pieno svolgimento e nel mirino c’è solo un sospettato: Marco Soracco.

Intercettazioni

Il pm Filippo Gebbia però accoglie la richiesta dei carabinieri di indagare su questa donna spuntata dal nulla. Il 27 maggio viene iscritta sul registro degli indagati degli indagati. Il 28 partono le intercettazioni telefoniche e scatta la perquisizione. «Mi rimase impresso – racconta alla pm nel 2021 il maresciallo Mariotta - il suo atteggiamento di naturalezza del tutto in conflitto con la grave accusa che le veniva mossa. Era fredda, non agitata né preoccupata, sembrava che ci stesse aspettando». I militari trovano i famosi cinque bottoni con una scritta identica a quella del bottone ritrovato sul luogo dell’omicidio ricoperto di sangue. Verrà effettuata una comparazione ma solo in fotografia che porterà ad un esito negativo. Oggi si è scoperto che a quello trovato sulla scena del crimine mancava la bordatura di plastica. Ne conviene anche il gip che però non crede che siano gli stessi per via del colore. E commette il primo errore. Scrive infatti la giudice Nutini che «quello rinvenuto sulla scena del crimine era di color bronzo, di colore oro scuso invece quelli trovati in casa della Cecere». Ma in realtà nel loro verbale i carabinieri non indicarono mai il colore del bottone nella sua parte metallica. E’ la polizia che in due distinti verbali descrive in modi diversi il bottone trovato sotto il corpo di Nada.

Il carabiniere amico

Subito dopo la perquisizione Anna Lucia Cecere telefona al maresciallo Mario M. che all’epoca lavorava a Santa Margherita. Il fato ha voluto che buona parte degli atti originali dell’inchiesta sul delitto Cella venisse distrutto da un allagamento di palazzo di giustizia provocato da un’alluvione. Non c’è quindi la registrazione, ma solo i tabulati che indicano la durata delle due chiamate, una lunga diversi minuti. All’epoca nessuno lo interrogò, ma nel 2021 il maresciallo dice alla pm Dotto di non ricordare la Cecere, tanto meno la telefonata. Allora gli viene mostrata una relazione di servizio del 1994 in cui il militare, intervenuto per una lite in famiglia, prendeva con appassionata convinzione le parti di Anna Lucia rispetto al suo ruolo di madre, spingendosi a ipotizzare il plagio da parte del padre del bimbo e della nonna paterna. Ma anche di questo episodio il carabiniere non ha memoria. Il figlio verrà poi allevato dal padre rivedendo raramente la madre. Il militare, da pochi anni in pensione, era ed è molto legato, con un ruolo organico, agli ambienti della curia di Chiavari. Un dettaglio importante visto che Anna Lucia Cecere, era riuscita a stabilizzare la sua vita precaria grazie all’aiuto delle suore Gianelline, le stesse presso le quali studiò Nada. Silvana Smaniotto, madre della vittima è da sempre molto amareggiata per non aver mai ricevuto una parola di cordoglio dalle suore. Il pm Gebbia all’epoca, ma neppure negli anni a venire, ritenne di dover interrogare il maresciallo M. per saperne di più.

Il foto riconoscimento

Oltre a perquisizione e intercettazioni, l’unica altra attività di indagine è quella del riconoscimento fotografico. Viene convocata Giuseppina R. la donna che aveva già dichiarato ai carabinieri di aver riconosciuto Anna Lucia Cecere allontanarsi dal palazzo del delitto con le mani insanguinate e inforcare il suo scooter. Alla donna vengono mostrate centinaia di foto ma non riconosce Cecere. Attività inutile secondo la procura, poiché la testimone conosceva Cecere e aveva fatto il suo nome ancor prima che gli inquirenti glielo chiedessero.

“Non ti ho mai amato”

Il 31 maggio, alle 9.39 del mattino Soracco riceve una chiamata sul suo telefono di studio che è sotto intercettazione. Il professionista riconosce la donna: « Ah ciao Anna». Il colloquio è a senso unico, e brevissimo. La donna, che è Cecere, gli dice: «Se ti può far sentire meglio non sono mai stata innamorata di te, anzi mi fai schifo». La telefonata, per la polizia che intercetta Soracco e per il pm Gebbia, non ha nessuna rilevanza, nonostante la Cecere non usi il suo telefono di casa. Quello stesso giorno finiscono le indagini su Cecere, ma questo non significa che anche nei mesi e negli anni a venire il pm Gebbia non avrebbe potuto chiamarla per chiederle conto di quelle parole.

La fine delle indagini

Il maresciallo Mariotta ricorda: «Andammo dal magistrato (Gebbia, ndr) per chiedere di interrogare Cecere e fare anche altri approfondimenti. Il pm ci disse di chiudere al più presto per non costituire una distrazione alle attività… essendo prossima la definizione del caso».

Sembra in realtà che il colloquio sia stato piuttosto aspro e questo spiegherebbe l’annotazione finale dei militari che evidenziano l’epilogo infruttuoso di indagini che furono, lo sappiamo oggi, assolutamente parziali.

Il motorino

Ad esempio, non venne ordinato nessun accertamento sul motorino. Le analisi del dna sono state fatte 25 anni dopo e hanno dato esito negativo. Il gip Nutini nell’atto di proscioglimento scrive che all’epoca il motorino «veniva esaminato e non si riscontrava alcuna traccia biologica». Ma è un’affermazione falsa. Scrive la pm Dotto: «E’ davvero incomprensibile come si possa leggere la particolare affermazione sui tempi dell’accertamento, come fossero da collocare all’epoca delle prime indagini» e poi aggiunge che nonostante lo scooter non sia mai stato coinvolto in incidenti Cecere sostituì dei pezzi.

Stranezze

La pm aggiunge poi che con l’interruzione delle indagini «i bottoni vengono incredibilmente restituiti e cinque giorni dopo la posizione di Cecere archiviata». E il maresciallo Mariotta: «Trovai strana l’interruzione dopo pochi giorni, non mi è mai capitato di interrompere intercettazioni già autorizzate».

Testimoni mai ascoltati

Scollegati i telefoni, la procura di Chiavari non ritiene neppure utile procedere a sentire né Anna Lucia Cecere né altri testimoni. Di nuovo la gip Nutini, nel suo atto di proscioglimento scrive a proposito dei testimoni ancora in vita «risentiti a distanza di oltre venti anni». Ma la procura contesta un altro errore visto che «moltissimi sono stati i soggetti identificati solo nella nuova indagine che hanno apportato informazioni determinanti» e poi elenca oltre 15 nominativi fra i quali quello del dentista Paolo P. , datore di lavoro nel 1996 di Cecere, del quale la gip Nutini scrive «risentito anche recentemente» incappando in un’altra svista.

Sviste

Senza contare di quando la giudice sostiene, ancora sbagliando, che alcuni testi sarebbero stati all’epoca influenzati dai giornali quando, in realtà, mai venne fatto il nome di Anna Lucia Cecere, sia nei pochi giorni in cui si scrisse dell’indagine su una donna, senza alcun particolare, sia nei 25 anni successivi. Addirittura fu il procuratore Gio Batta Copello a intervenire il 30 maggio per annunciare pubblicamente, fatto insolito in tutte le indagini sul caso Cella, che sarebbe stata chiesta l’archiviazione per la donna oggetto della brevissima indagine. Un anno dopo, il 9 maggio 1997 il pm Gebbia chiederà l’archiviazione per la posizione di indagato per omicidio di Marco Soracco. Ma non verrà mai sfiorato dal dubbio che la pista dei carabinieri potesse essere quella buona. Neppure dopo che nell’agosto 1996 la famosa “signorina” chiamó casa Soracco e in 12 minuti di conversazione con la madre disse chiaramente di avere visto la Cecere sporca di sangue mettere tutto nel motorino.