Lo studio italiano: «Trovate microplastiche nelle placche delle arterie, così il rischio di infarto e ictus è più che raddoppiato»

diCristina Marrone

La ricerca, definita «rivoluzionaria» sul New England Journal of Medicine dimostra per la prima volta il danno di polietilene e PVC per la salute umana

L’esposizione alle microplastiche può essere considerato un nuovo fattore di rischio cardiovascolare? L’inquietante domanda se la pone un celebre epidemiologo, Philip J. Landrigan, fondatore e direttore del Global Public Health Program del Boston College che ha firmato l’editoriale di accompagnamento di uno studio italiano definito «rivoluzionario» appena pubblicato sul New England Journal of Medicine. Il lavoro ideato e coordinato dall’Università della Campania «Luigi Vanvitelli» con la collaborazione di numerosi enti tra cui , IRCSS Multimedica di Milano  e  l' Harvard Medical School di Boston ha dimostrato non solo la presenza di un mix di inquinanti nella placche aterosclerotiche ma, per la prima volta, ne ha provato la pericolosità per la salute: il rischio di infarto e ictus risulta infatti almeno raddoppiato rispetto a chi ha comunque placche, ma «non inquinate», indipendentemente da altri fattori di rischio cardio-vascolari come età, fumo, sesso, indice di massa corporea, pressione, glicemia e colesterolo.

Trovato polietilene e PVC

Le micro plastiche (con diametro inferiore a cinque millimetri) e le nano plastiche (pari a 0,001 millimetri) sono già state trovate nell’uomo in diversi organi e tessuti, tra cui placenta, latte materno, fegato, sperma, polmoni e anche tessuti cardiaci. Dati questi già di per sé preoccupanti, tuttavia fino ad oggi non erano state ancora studiate le conseguenze sulla salute.
L’indagine è stata condotta su 257 pazienti over 65 anni seguiti per 34 mesi dopo essere stati sottoposti a un’endoarterectomia per stenosi carotidea asintomatica, procedura chirurgica durante la quale sono state rimosse placche aterosclerotiche (depositi di grasso nelle arterie pericolose per il cuore) che poi sono state analizzate con il microscopio elettronico. I dati hanno mostrato quantità misurabili di polietilene nel 58,4% dei casi e di PVC nel 12,5%, due dei composti plastici di maggior consumo nel mondo, utilizzati per realizzare contenitori, sacchetti, bottiglie, tappi e materiali edilizio. «Sebbene non sia stabilito un rapporto causa-effetto, la reale novità dello studio è la prima dimostrazione di un rapporto tra inquinamento da micronanoplastiche e malattia nell’uomo» commenta Giuseppe Paolisso , coordinatore dello studio e ordinario di Medicina Interna all’Università degli Studi Vanvitelli.

Il meccanismo infiammatorio

Ma qual è il meccanismo attraverso il quale la plastica può creare danni al cuore? I dati dimostrano un incremento significativo dei biomarcatori dell’infiammazione sulle placche in presenza delle micro e nano plastiche. «Una placca infiammata è molto più friabile, si può rompere più facilmente e quindi entrare nel torrente sanguigno. Dal momento che il detrito della placca non si scioglie, se incontra un vaso con un diametro inferiore lo blocca, generando un infarto del miocardio o un ictus cerebrale» chiarisce Paolisso. «Dati raccolti in vitro e negli animali da esperimento - aggiunge Raffaele Marfella,  anche lui ordinario di Medicina Interna dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” -  hanno già mostrato che le micro- e nanoplastiche possono promuovere lo stress ossidativo e l’infiammazione nelle cellule dell’endotelio che ricopre i vasi sanguigni, ma anche che possono alterare il ritmo cardiaco e contribuire allo sviluppo di fibrosi e alterazioni della funzionalità del cuore: questi risultati mostrano per la prima volta nell’uomo una correlazione fra la presenza di micro- e nanoplastiche e un maggior rischio cardiovascolare».

Le vie di ingresso

Ma come ci arriva la plastica nell’organismo umano? Questo lavoro non ha indagato la provenienza, ma è verosimile, come già visto in altri studi, che le vie di ingresso siano per inalazione e ingestione. Gli pneumatici ad esempio rilasciano durante le frenate grandi quantità di microplastiche che, una volta respirate ed entrate nel torrente circolatorio potrebbero raggiungere diversi organi. Per ingestione le microparticelle di plastica potrebbero arrivare nell’organismo attraverso pesci come salmone, crostacei che sono grandi accumulatori ma anche attraverso sale da cucina o con le vaschette di plastica dentro le quali sono venduti cibi confezionati.

La diffusione delle plastiche

Il polietilene (PE) è una delle plastiche più utilizzate al mondo, tanto da costituire il 40% del volume totale della produzione mondiale di materie plastiche; leggero e resistente a urti e corrosione, è usato ampiamente per realizzare contenitori, oggetti, rivestimenti. Il PVC è altrettanto diffuso ed è una delle materie plastiche più versatili, perché può essere modellato e stampato a caldo, ma anche sciolto per spalmare tessuti e superfici; si trova in innumerevoli prodotti, dai rivestimenti alle pellicole, dai tubi fino ai dischi in vinile. Entrambi possono dare origine a microscopiche particelle plastiche che si riversano nell’ambiente e possono poi essere assorbite: stando all’ultimo rapporto Future Brief sulle nanoplastiche della Commissione Europea, in media un adulto inala o ingerisce dalle 39.000 alle 52.000 particelle plastiche all’anno, pari a 5 grammi di plastica alla settimana, l’equivalente di una carta di credito. «Laumento esponenziale della produzione è la causa principale del peggioramento dei danni da plastica si legge nell’editoriale -. In tutto il mondo, la produzione annuale è cresciuta da meno di 2 milioni di tonnellate nel 1950 a circa 400 milioni di tonnellate a oggi. Si prevede che questa produzione raddoppierà entro il 2040 e triplicherà entro il 2060».

6 marzo 2024

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