La sfida nel Mar Rosso vicina a un punto di non ritorno: i ribelli Houthi e gli Usa «mostrano i muscoli»

Davanti alle aggressioni ripetute la Casa Bianca ha tre esigenze: garantire la sicurezza su una rotta commerciare strategica; evitare l’escalation; resistere alle pressioni da parte di un’ala del Congresso che accusa Joe Biden di essere troppo cauto. Secondo i media il Pentagono sta valutando dei piani per accentuare la forza della rappresaglia e l’affondamento dei battelli � un primo test, con un confronto limitato ma diretto. C’� chi non esclude raid di missili da crociera – come avvenne nel 2016 -, operazioni contro le basi usate per lanciare i droni e le batterie di missili antinave.

Gli americani potrebbero cercare di stabilire �regole di ingaggio� simili a quelle adottate con le milizie – sempre sostenute dall’Iran – in Siria e Iraq: ogni provocazione armata ricever� una risposta proporzionata. Un tentativo di imporre un principio di deterrenza senza precipitare in un’altra guerra. Scenario temuto da Washington ma anche dagli alleati locali, come Arabia Saudita ed Emirati, e da quelli occidentali. Francia e Italia sono per la tutela della navigazione, per� si sono sfilate dalla coalizione creata dagli Usa. La Gran Bretagna � interventista: per il quotidiano Times � pronta ad agire con i suoi caccia. Resta il punto centrale: le eventuali mosse militari metteranno fine alla minaccia dei miliziani? La soluzione non dipende solo dagli Stati Uniti ma, ovviamente, � legata alle decisioni degli Houthi e, in buona parte, all’influenza dello sponsor iraniano.

Il movimento yemenita usa le incursioni per sottolineare la solidariet� verso i palestinesi, per dimostrare la capacit� di condizionare uno scacchiere con mezzi relativamente economici (ma dall’alto impatto), per accrescere il proprio status, per collaborare con Teheran, interessata a manovrare senza per� pagare un prezzo. Secondo gli analisti gli Houthi e gli iraniani muovono su una strategia binaria: mantengono un �fuoco lento� (ecco gli strike selezionati), sperano di evitare passi irreversibili.

L’Iran cammina su un sentiero abituale dove i suoi leader usano parole forti ma lasciano poi i fatti alle milizie amiche, impiegate spesso per controbattere ai colpi portati da Israele. Un tentativo formale di separare le responsabilit�. Gerusalemme, a sua volta, fa di tutto per smascherare i legami operativi, ideologici, militari tra gli ayatollah e i movimenti. Altalenante l’approccio di Washington. Gli americani, sempre per delimitare le tensioni, hanno inizialmente considerato minore il coinvolgimento di Teheran nelle molte trame, compresi gli assalti degli Houthi. E lo hanno detto pubblicamente. Una posizione poi rivista in seguito all’intensificarsi dei pericoli per la navigazione. L’intelligence statunitense ha accusato gli iraniani di appoggiare concretamente i combattenti yemeniti nelle loro missioni attorno allo Stretto di Bab el Mandeb. Un ripensamento che potrebbe anticipare una ritorsione Usa piena di incognite. Da questa storia, a prescindere dagli sviluppi � emersa una lezione severa. Il sistema � fragile e basta un attore minore – se ben organizzato – per scuoterlo.