USA «Le proteste studentesche alla Columbia? Troppo strumentalizzate dalla politica americana»
Il campo tendato nel prato davanti all'ateneo appare organizzato e pulito. Gli stessi studenti vegliano che agitatori esterni non si infiltrino. Si percepisce una tensione sottile per timore di nuovi arresti (Testimonianza raccolta da Viviana Mazza, corrispondente da New York)
Da circa una settimana, ogni mattina all’alba, ho costeggiato il campo di tende eretto dagli studenti sul lato ovest del prato di fronte la biblioteca Butler della Columbia University. Il prato est è stato sgomberato 24 ore prima della nascita di questo, circa 10 giorni fa, dopo che la polizia di New York, chiamata ad intervenire dal nuovo Presidente della Columbia, Dr. Nemat Shafik (o «Minouche», come preferisce essere chiamata) ha arrestato più di 100 studenti. Per motivi di sicurezza e ordine pubblico, l’accesso al campo è ristretto da diversi giorni solo a coloro che hanno il badge dell'università.
A quell’ora il campus è ancora più desolato del solito, l’aria al mattino è fresca e si riscalda rapidamente all’apparire del sole. Ai bordi del campo tenda ci sono studenti sonnolenti avvolti in coperte multiple. Sono lì per vegliare che nessuno possa infiltrarsi e creare disordini o compiere atti pericolosi. Hanno la faccia coperta, difficile riconoscerli. Chiunque potrebbe essere uno dei miei studenti. Il campo è ordinato, pulito, incredibilmente organizzato. Silenzioso. Alcuni studenti siedono a gambe incrociate verso il sole, in meditazione. Altri, si avviano pigramente verso la postazione cibo con gli occhi gonfi per una nottata insonne. Nessuno fuma nel campo, nessuno sporca.
Tutto è organizzato e rispettato. Dopo le mediazioni dei giorni passati tra la Columbia e gli studenti, questi ultimi sono riusciti a convincere l’amministrazione a non chiamare la polizia in cambio dell’apertura del campo tenda a tutti e della ferma espulsione di coloro che sono responsabili di azioni o parole che incitano alla violenza e che non trovano posto in nessuna società civile. Nonostante la calma, si percepisce una tensione sottile ma presente, non sapendo se e quando la polizia tornerà per sgombrarli e arrestarli.
Molto è cambiato dall’inizio della protesta ed è importante, perciò, offrire una breve cronologia degli eventi. Le manifestazioni sono nate da una richiesta da parte di un folto gruppo di studenti - appartenenti a circa 100 associazioni studentesche alla Columbia - di disinvestire da quelle compagnie o attività in Israele legate alla guerra in Palestina. La Columbia ha rigettato la richiesta dei giovani affermando, tra le altre cose, che non vi era prova che il resto degli studenti e professori fosse d’accordo e che, inoltre, ciò non poteva essere appurato, negando la richiesta degli studenti.
A seguire la prima occupazione, con gli studenti espulsi e arrestati nel giro di 24 ore dall’inizio della protesta, il giorno dopo quando Minouche Shafik aveva ricevuto forti critiche dalla Commissione per l’Educazione del Congresso Americano sulle sue capacità di proteggere la comunità ebraica alla Columbia University, che si sentiva minacciata da recenti episodi di antisemitismo e violenza avvenuti sul campus universitario.
La seconda occupazione, quella che continua tutt’oggi, è nata spontaneamente subito dopo gli arresti della prima. All’inizio son state piantate un paio di pallide tende, subito rimosse in cambio della permanenza nel campo - forse si sperava che si stancassero al freddo notturno. Ma tempo un paio di giorni e alcuni studenti hanno piantato nuove tende, giustificandosi attraverso la voce secondo la quale l’azione era stata autorizzata dalla Columbia. In realtà, non c’è mai stata conferma e, ad oggi, si contano più di 50 tende in un rettangolo di erba di circa venti metri per cinquanta.
Nel frattempo, fuori le mura della Columbia, si sono andati assembrando manifestanti che hanno lanciato slogan con frasi irripetibili, inammissibili da un punto di vista morale e civile. Ho personalmente assistito a tali manifestazioni e non ho visto nessuno degli studenti del campo tenda parteciparvi. Tuttavia diversi canali mediatici hanno cominciato a fondere le diverse storie, non più cercando di ricostruire il puzzle degli eventi - lavoro oneroso vista la complicata natura degli stessi e le loro interrelazioni - ma cercando di creare un’immagine premeditata cercando tra la moltitudine di «pezzi» a disposizione dai social media e l’informazione moderna.
Anche grandi esponenti della politica americana si sono scomodati per l’occasione, attratti anche dagli eventi per cercare di raccogliere consensi tra gli elettori, durante un anno delicato e quasi in piena campagna elettorale per le presidenziali, come lo speaker della Camera, Mike Johnson (Repubblicano), che ha invocato le dimissione della Presidentessa proprio all’ombra dell’alma mater della Columbia, sugli storici scalini dove, meno di un anno di fa, si è ufficialmente insediata Minouche Shafik. L’apice della tensione si è raggiunto pochi giorni fa, con una manifestazione all’esterno della Columbia organizzata dall'estrema destra e durante cui diverse persone hanno cercato di scavalcare i cancelli dell’Università.
All’evento partecipavano esponenti di spicco di gruppi di estrema destra quali, per esempio, i Proud Boys - gruppo militante neofascista fondato da Gavin McInnes, visto vicino le tende del campo della Columbia facendo foto proprio il giorno prima, persone che sventolavano orgogliosamente cartelli con svastiche e bandiere di organizzazioni paramilitari degli anni '40 (LEHI) in bella vista. Tutto questo ha contribuito ad aumentare la confusione sul messaggio degli studenti, che viene, di fatto, trasformato nei suoni di un’orchestra che ricorda più un brano dodecafonico che la voce limpida degli studenti.
I poteri in gioco sono enormi, forse troppo grandi per avere ripercussioni nell’immediato, ma possono cambiare la struttura dei rapporti tra accademia e politica, come uno tsunami che arriva silente da lontano. Il potere politico sta tendando di strumentalizzare la voce degli studenti della Columbia, anche per far breccia nel sistema delle Università liberali americane, quali la Columbia, sostenendo che Minouche Shafik non è più in grado di controllare la situazione.
Durante gli eventi della prima occupazione, la presidentessa è accusata di aver commesso una serie di errori gravissimi: lo statuto della Columbia, infatti, prevede che il Presidente non possa chiamare la polizia sul campus se tale mossa non è approvata dal Comitato Esecutivo del Senato. Prima dello sgombero, Minouch Shafik ha convocato, di fatto, il comitato, il quale si è espresso a sfavore dell’uso della polizia. Tuttavia, la presidentessa ha deciso di andare avanti comunque, violando il protocollo.
Altri capi di accusa portati avanti dal Senato un paio di giorni fa, in una seduta in cui è stata approvata la costituzione di una task force per investigare il suo comportamento, consistono nel rivelare dettagli sui nomi di professori e studenti sotto inchiesta alla Columbia durante la sua deposizione al Congresso - violando il diritto alla privacy e il segreto d’ufficio -, l’uso di investigatori privati che hanno intimidito e spiato studenti e la ratifica del codice di comportamento disciplinare applicato alle manifestazioni, spostandolo dalle norme che regolamentano gli eventi sul campus sotto l’egida del codice di condotta, introducendo e applicando sanzioni disciplinari senza il consenso del Senato.
Le richieste degli studenti sono difficili da realizzare per l’Amministrazione della Columbia, anche volendo. Oltre al disinvestimento finanziario, gli studenti chiedono più trasparenza e il condono delle sanzioni disciplinari imposte agli studenti della prima occupazione. L’università, infatti, gestisce beni per oltre 10 miliardi di dollari e ha un budget operativo annuale di più di due miliardi di dollari. Secondo alcuni è, perciò, praticamente impossibile assecondare la richiesta degli studenti, visto il complesso sistema di società offshore e altri meccanismi finanziari di cui la Columbia si serve.
Mentre i negoziati tra la Columbia e i rappresentati studenteschi vanno avanti, gli studenti fanno il possibile per studiare per le prove finali che dovranno sostenere a brevissimo, spostandosi tra le tende e le sale della biblioteca affiancata al campo. Studiare, conoscere, approfondire, sognare nuovi orizzonti. Sono questi tratti comuni agli studenti che ho conosciuto alla Columbia negli anni, a prescindere da dove vengano, dalla loro lingua, dalla loro religione. In un atto di commovente intelligenza politica, durante la visita del Rappresentante della Camera, alcuni professori di religioni diverse e gli studenti del campo tenda si sono riuniti per alcune lezioni sull’antisemitismo e la storia del conflitto tra Israele e Palestina.
Questo è il messaggio che l’università deve e vuole lanciare: senza dialogo non c’è crescita. Alcuni potrebbero essere portati a pensare che gli studenti sono incoscienti, giovani, spensierati. Vero. Ma ciò non nega loro il diritto a manifestare pacificamente il loro dissenso verso un’istituzione che si rende, direttamente o indirettamente, responsabile per la morte di civili innocenti, a prescindere dalla bandiera o dalla geografia. Dopo i primi eventi nei quali la polizia è stata precipitosamente chiamata sul campo a sgomberare i «pericolosi» studenti - che secondo il capo della polizia di New York non rappresentavano un pericolo come descritto da Minouch Shafik - la situazione è meno tesa.
Non c’è dubbio che ciò è dovuto a un’operazione che vede impegnati molti fronti a livello amministrativo e politico che si stanno impegnando perché gli studenti continuino la loro battaglia senza l’intervento delle forze dell’ordine e al delicato lavoro diplomatico necessario in questi casi. Il messaggio di Minouche Shafik di questa mattina lascia, comunque, poche speranze al dialogo: «Sebbene l’università non disinvestirà da Israele, siamo pronti a sviluppare una tempistica accelerata per l’esame delle nuove proposte degli studenti da parte del Comitato Consultivo per gli Investimenti Socialmente Responsabili della Columbia, l’organismo che considera le questioni di disinvestimento. L’università si è inoltre offerta di pubblicare un processo per consentire agli studenti di accedere a un elenco delle partecipazioni di investimento diretto della Columbia e di aumentare la frequenza degli aggiornamenti a tale elenco di partecipazioni, di convocare un comitato di facoltà per affrontare la questione della libertà accademica e di investire nella sanità e nell’istruzione a Gaza, compreso il sostegno allo sviluppo della prima infanzia e il sostegno agli studiosi sfollati».
Il testo conclude: «Per tutte le ragioni di cui sopra, invitiamo coloro che si trovano nell’accampamento a disperdersi volontariamente». Alle cinque del pomeriggio, ora di New York, la Columbia ha annunciato la sospensione di coloro che si trovavano nel campo dalle due in poi. Non potranno laurearsi e non potranno sostenere gli esami. In serata, la situazione appare tranquilla con gli studenti sospesi nell’accampamento in attesa dello sgombero, verosimilmente da parte della polizia di New York. Gruppi di professori faranno a turno per assicurarsi che ci sia sempre qualcuno, anche di notte, a testimoniare eventuali violenze o abusi, ove dovessero accadere. Speriamo bene, soprattutto per gli studenti, la loro incolumità, i loro diritti e perché le morti di civili innocenti finiscano al più presto, ovunque.