«Il ragazzo dai pantaloni rosa», il set contro il bullismo nel nome di Andrea

La pagina Facebook si chiamava «Il ragazzo dai pantaloni rosa». Rosa come il colore dei jeans, frutto di un lavaggio sbagliato, con cui Andrea decise comunque di andare a scuola, incurante dei bulli che l’avevano preso di mira da tempo a suon di insulti omofobi. Teresa Manes scoprì l’esistenza di quella pagina, creata apposta per dileggiarlo, solo dopo la morte del figlio: per avere il permesso di aprire il suo profilo sul social network, lui le aveva dato la password. Andrea si tolse la vita il 12 novembre 2012. Aveva 15 anni, compiuti da poco. Di bullismo e omofobia non si parlava allora. A rompere il silenzio fu proprio la madre, instancabile nel portare il libro che racconta la storia di Andrea — per cui il presidente Sergio Mattarella le ha conferito l’onorificenza di Cavaliere — tra i ragazzi.
C’è anche lei, Teresa, al liceo Mamiani di Roma in uno degli ultimi giorni di riprese de Il ragazzo dai pantaloni rosa, scritto da Roberto Proia. La regista, Margherita Ferri, gira una scena in cui Andrea è bersagliato dai bulli. È una giornata particolare. Per tutti. Per Claudia Pandolfi che a Teresa presta il volto e la sensibilità, per il piccolo Samuele Carrino (Andrea), e gli altri giovani attori, Andrea Arru, il bullo, Sara Cioccia, l’amica. Per la regista.
È la stessa Teresa a spezzare la commozione generazionale. «Sono felice del film, ho recepito la sensibilità giusta. Negli sguardi, nella gestualità, nell’anima, nella delicatezza degli attori, adulti e ragazzi». Il carico maggiore è per Claudia Pandolfi: misurarsi con il dolore altrui può essere un’impresa: «Accettare il film è stata la cosa più semplice, una scelta istintiva – racconta l’attrice –. L’unica persona di cui temevo, e temo, il giudizio è Teresa, avevo paura di non essere all’altezza. Lei ha reso tutto facile. C’è la complessità e la naturalezza del rapporto madre e figlio, mi sono ritrovata in tante cose».
I dubbi di ogni genitore di fronte ai cambiamenti dei figli adolescenti, la paura di sbagliare, le tante domande, le risposte che non arrivano. «La condivisione – riflette Teresa Manes – è stata la mia salvezza. Anche con Claudia, una comunione di intenti. Non ho mai voluto apparire come madre sofferente, neanche quando vado nelle scuole a parlare. Il dolore può diventare una forza, una forma di resilienza per riflettere su qualcosa che ci riguarda tutti».
Ne è convinta anche Arisa: ha scritto la canzone del film, Canta ancora. «Sono stata bullizzata spesso, ho avuto come dei deja vu. La canzone l’avevo scritta per mia mamma, ho trovato bellissimo il rapporto tra madre e figlio. Una specie di lettera di lui a lei, per lenire il dolore».
In una scena la canta anche Pandolfi con Samuele Carrino. «Ultimamente mi capita spesso di interpretare delle madri e di recitare con giovani colleghi. Anch’io ho iniziato presto, ma ero inconsapevole, ingenua e vulnerabile. Osservo Samuele e mi colpisce la consapevolezza, è insieme malinconico e gioioso. Il nostro è un racconto in punta di piedi, grazie alla sensibilità di Margherita che ci aiuta tutti».
Classe 1984, la regista ricordava bene la vicenda di Andrea. «Nel 2012 andai alla fiaccolata per lui al Colosseo. Quando ho saputo del film ho pensato di essere la persona giusta per dirigerlo. Non è un set come altri, c’è una motivazione più grande, come fossimo investiti dalla responsabilità di essere fedeli alla memoria di Andrea e, insieme, di far sentire a ragazzi che come lui vivono momenti difficili, che si può cambiare. E che non sono soli».
È lo stesso Andrea la voce narrante, un Andrea adulto, come ci parlasse oggi. «Ho avuto il benestare di Teresa e Tiziano, il padre, su ogni aspetto — spiega Proia —. Lei mi ha raccontato che aveva pensato all’inizio di scrivere dal suo profilo Facebook, come fosse lui, poi ha trovato la forza di scrivere il libro, da cui tutto è partito». Prodotto da Eagle Pictures e Weekend Films, uscirà il 10 ottobre. «È importante che arrivi a tutti — auspica Pandolfi —. A chi è vittima di bullismo per dire che c’è un’alternativa. E a chi perpetua la prepotenza, che capiscano che le parole possono essere armi. Anche ripostandole». Teresa rilancia: «Dico sempre che quello che ha ucciso mio figlio è stato il silenzio. Di tutti. Trovare il coraggio di parlare significa già uscire dal baratro». Lei lo ha fatto con il libro. «Dopo quello che è successo avevo la pazzia che mi alitava accanto. Ho fatto, diciamo così, un patto con la pazzia. Ho scritto, di giorno e di notte. E ho riportato Andrea dove doveva stare: tra i banchi di scuola».