
Ex Ilva, braccio di ferro tra Fitto e Urso sul futuro dell’acciaieria
Milano – A poche ore dall’incontro tra governo e sindacati sulla risoluzione del caso ex Ilva di Taranto, la soluzione ancora non si intravede. Anzi, gli ultimi incontri a livello governativo hanno visto manifestarsi un durissimo scontro tra il ministro per gli Affari Europei Raffaele Fitto e quello del Mimit Adolfo Urso.
Le due linee di invertento proposte sono sostanzialmente diverse: Fitto intende andare avanti con il gruppo franco indiano ArcelorMittal, che attualmente controlla il 62% del capitale di Acciaierie d’Italia Holding, secondo un piano industriale già approvato dal cda e dai soci e preparato dall’ad Lucia Morselli, che prevede l’impiego di 2,2 miliardi di soldi derivanti da fondi europei per far fronte al piano di decarbonizzazione degli impianti una volta acquisiti dalla amministrazione straordinaria. Morselli aveva chiesto 420 milioni lo scorso ottobre per far fronte ai bisogni di liquidità dell’azienda e aumentare la produzione, mentre un altro miliardo, anche a debito, dovrà servire per acquisire gli impianti.

Sul fronte opposto si muove Urso che da mesi sollecita il governo affinché lo Stato salga in maggioranza nella compagine sociale dell’ex Ilva, convertendo in azioni il prestito da 680 milioni che all’inizio dell’anno è stato versato dal Mef per andare a pagare la bolletta energetica di Eni e Snam, salita alle stelle per la guerra in Ucraina. Con la conversione del prestito in azioni il socio Invitalia salirebbe al 60% diluendo ArcelorMittal al 40% e a quel punto il socio pubblico potrebbe sollecitare un cambio di governance chiedendo di sostituire l’ad Morselli con un altro manager del settore, che sarebbe stato individuato in Mauro Longobardo, ex numero uno di ArcelorMittal in Ucraina.
Ma con lo Stato al 60% la società rischierebbe di finire nel mirino di Bruxelles per verificare se l’intervento rappresenti un aiuto di Stato e inoltre le successive immissioni di risorse finanziarie nell’azienda rischierebbero di gravare interamente sul bilancio pubblico italiano in quanto il socio privato potrebbe scegliere di diluirsi ulteriormente. Non a caso il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti è molto preoccupato di questa eventualità, anche se altri 320 milioni sono già stati stanziati.

Difficile dire chi vincerà questo braccio di ferro, ma non si esclude che in mattinata, prima o durante l’incontro con i sindacati, i ministri tornino a riunirsi alla presenza dei due sottosegretari Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari, nel tentativo di dare una prospettiva chiara e concreta a una delle più grandi acciaierie d’Europa. Una situazione che se non risolta in tempi ragionevoli potrebbe trasformarsi in un boomerang per il governo Meloni anche in chiave elettorale e di rapporti con l’Europa.