Maxi attacco houti contro i mercantili, Usa e missione Ue intercettano i droni

In meno di due ore hanno scagliato un’ondata di attacchi contro sette navi militari e civili: un’operazione che annuncia la volontà degli Houti di trasformare il Ramadan in una sorta di offensiva finale contro il traffico mercantile nel Mar Rosso. Prima dell’alba, i miliziani yemeniti hanno fatto partire più sciami di droni e missili, con oltre trenta ordigni diretti verso i bersagli in zone diverse, a Nord e a Sud dello stretto di Bab el-Mandeb, le forche caudine del traffico mercantile. Tutti gli incursori sono stati abbattutti dalle unità statunitensi, da quelle della missione europea Aspides e da quelli dell’operazione internazionale “Prosperity Guardian”. Il cacciatorpediniere “Caio Duilio” si trovava a circa ottanta chilometri ma non ha fatto fuoco, coordinando sotto la guida del contrammiraglio Federico Costantino le attività delle altre tre fregate che hanno issato la bandiera della Ue.

La sfida più impegnativa è ricaduta sui francesi. La loro Fremm “Alsace” stava proteggendo i soccorsi al cargo “True Confidence”, colpito mercoledì scorso da due missili che hanno ucciso due marinai e feriti quattro: l’equipaggio l’ha abbandonato e ora viene rimorchiato per cercare di impedire l’affondamento. Gli Houti sono però tornati a prenderlo di mira, indirizzando quattro droni-killer contro la nave danneggiata e contro quella di scorta. Ma la Fremm li ha distrutti tutti: almeno uno sarebbe stato bloccato a distanza molto ravvicinata.

I droni infatti sono di dimensioni limitate, con piccoli motori a scoppio che emettono poco calore e costruzione in vetroresina: caratteristiche che rendono difficile l’avvistamento radar. Gli Houti contano proprio su questa “invisibilità” delle loro armi, che hanno una carica esplosiva modesta e per questo spesso vengono scagliate insieme con i potenti missili balistici, i cui propulsori a razzo sono però immediatamente scoperti dai sensori all’infrarosso degli aerei spia statunitensi. Dal 19 ottobre il movimento yemenita ha lanciato 403 ordigni contro sessantuno navi: 15, tra cui quattro di proprietà statunitense, hanno subìto “impatti” ma i colpi più seri sono stati realizzati dai velocissimi missili balistici che hanno affondato la portacontainer “Rubymar” e incendiato la “True Confidence”. Questi due risultati sono stati raggiunti nell’ultima settimana, dimostrando l’aumento della pericolosità e precisione delle incursioni. La scorsa notte però la rete di difesa internazionale sembra avere funzionato, spazzando via dal cielo ogni aggressore. Oltre all’Us Navy e alle unità europee di Aspides hanno partecipato alla battaglia una fregata danese e una inglese dell’operazione “Prosperity Guardian”, una squadra di più Paesi attualmente guidato dagli Usa.

Gli Houti però uniscono le capacità nel gestire i raid a una rete di propaganda molto dinamica. Ieri uno dei leader del movimento sciita filoiraniano ha ribadito che le navi commerciali devono comunicare la loro posizione e obbedire agli ordini trasmessi via radio, altrimenti diventeranno bersagli legittimi. I miliziani inondano i social di messaggi che chiamano alla lotta contro Israele in solidarietà con Gaza e lodano la campagna missilistica che ha dimezzato il traffico nel canale di Suez. Uno dei dignitari, Nasr al-Din Amer, ha contestato l’azione del “Caio Duilio” di una settimana fa: «Non abbiamo deciso di prendere di mira le navi italiane, ma il fatto che abbia fermato la nostra operazione è inaccettabile». E ha minacciato il nostro Paese: «Mettersi a protezione delle navi israeliane e americane espone l’Italia a dei rischi e mette in pericolo la sicurezza dei suoi cargo in futuro». In realtà, il “Duilio” in quel momento stava scortando una portacontainer nazionale dell’armatore Grimaldi.

Il prolungamento delle attività nel Mar Rosso e nell’Oceano Indiano comincia a creare alcune difficoltà tecniche alle marine occidentali. Il problema principale riguarda i missili contraerei, usati in gran numero per fare muro contro le aggressioni degli Houti. Ci sono aspetti economici: vengono impiegati missili che costano due milioni di euro per abbattere droni con un prezzo inferiore a 50 mila: solo i cacciatorpediniere Usa attivi nella zona ne hanno già sparati cento. I tempi per ripianare le riserve sono lunghi, perché le industrie non riescono a soddisfare le richieste, e le navi devono andare a ricaricare le batterie di lancio molto lontano: la britannica “Diamond” dallo Yemen ha dovuto raggiungere la base di Gibilterra, rifornire l’arsenale e ripartire per la zona dei combattimenti