L’impianto, nella regione di Zaporizhzhia, rifornisce anche l’Italia
È stato fondato sotto Stalin nel 1933. È stato sviluppato nell’Unione Sovietica della guerra fredda negli anni di Nikita Krusciov e Leonid Brezhnev, fino a diventare uno dei più vasti impianti per l’acciaio mai visti in Europa. Al suo ingresso una massiccia composizione in bronzo mostra i soldati fianco a fianco con gli operai degli altiforni nella Grande Guerra Patriottica contro la Germania nazista. Al colpo d’occhio, sembra solo uno sterminato monumento di archeologia industriale del Novecento. Un lascito della storia. Invece è una protagonista della storia mentre avviene.
Zaporizhstal, l’acciaieria di Zaporizhzia, un tempo era un grande vanto di Mosca, ma oggi è uno dei punti di forza dell’Ucraina nel resistere all’aggressione stessa di Mosca.
La Russia la ritiene ancora propria, come se la storia non fosse mai passata. Come se l’intera regione di Zaporizhzhia con le altre dell’Ucraina orientale — Donetsk, Lugansk, Kherson — mantenesse un dovere di vassallaggio verso il Cremlino a 33 anni dall’implosione dell’impero.
Mosca rivendica per sé l’Oblast e dunque anche l’immenso impianto di Zaporizhstal. Lo rivendica eppure sembra odiarlo, non riuscendo ad averlo, dato che i cinque milioni e mezzo di metri quadri degli impianti — una città industriale — sono stati colpiti più volte dai missili anche negli ultimi mesi. Ma Zaporizhstal non si ferma neanche un’ora.
L’acciaio fuso scende a mille gradi nella colata a bramme, ne esce rosso fuoco nella penombra dell’impianto vasto come una cattedrale e corre sui tapis roulant fra getti d’acqua per il raffreddamento, fino a diventare un’asse di una trentina di tonnellate che poi sarà la materia di base dei grandi settori industriali.
Dai cancelli di Zaporizhstal escono 240 mila tonnellate di acciaio al mese. Più che un monumento al passato sovietico, questa resta una delle più produttive e strategiche acciaierie d’Europa, soprattutto ora che Azovstal e llich di Mariupol sono stati tagliati fuori dall’aggressione e l’intero continente continua ad aver bisogno di rifornimenti affidabili.
A Zaporizhstal, come lungo l’intero ciclo produttivo del ferro di questa regione dell’Ucraina, diventa improvvisamente chiaro come il destino dell’Europa dipenda dall’esito di questa guerra. Sul piano materiale, prima ancora che politico. Perché questo recinto dove lavorano 8.500 persone (e da cui altre mille sono state reclutate nell’esercito di Kiev) non è solo una delle ragioni che permettono all’economia ucraina di resistere.
È un esempio di integrazione concreta, poco discussa ma già presente, del Paese in conflitto con l’Unione europea. Solo verso l’Italia — per Verona, San Giorgio di Nogaro, Taranto — partono ogni mese cinquemila tonnellate di acciaio grezzo. Viaggiano da qui, a quaranta chilometri dal fronte, fino a Odessa; e da lì a Monfalcone o nei porti della Puglia. Poi ci sono le forniture a Polonia, Repubblica Ceca, Paesi scandinavi.
Con una flessibilità tutt’altro che sovietica, di recente Zaporizhstal si è convertita anche alla produzione militare. Ha trecento specialisti chini tutto il giorno in un capannone del 1957 a fare con l’acciaio di casa scudi anti-droni per i mezzi corazzati, sistemi antimina da agganciare ai carri di fabbricazione sovietica così come ai Bradley o agli Abrams americani, 550 rifugi sotterranei in metallo corrugato.
Segue l’iniziativa Oleksandr Mironenko, 42 anni, il capo delle operazioni del gruppo Metinvest che è al centro della joint-venture al comando di Zaporizhstal. Mironenko lavora «ventiquattr’ore al giorno, sette giorni alla settimana» con gli ufficiali dell’esercito, dice. Ma non solo per mettere a punto i mezzi: anche per scegliere insieme a loro quali uomini saranno reclutati nella guerra e quali restano in fabbrica. Inutile chiedergli se riesce a dormire le notti prima di fare la selezione fra chi resta e chi va. «Dormo, certo. È quello che fanno tutte le imprese in Ucraina. Decidiamo in base alle esperienze militari dei singoli. A volte li sostituiamo con donne in lavori nuovi per loro, come gli altiforni. Ed è pericoloso anche restare in azienda», aggiunge. «Questo mese abbiamo perso dieci persone per due missili a Kryvyj Rih».
Proprio il suolo di Kryvyj Rih, la vicina città di Volodymyr Zelensky, è il segreto che rende Zaporizhstal un polo dell’acciaio europeo. La terra è un unico giacimento di minerale di ferro dove le cave di Metinvest possono essere lunghe quattro chilometri, aperte da un secolo. Sono di età kruscioviana anche gli sconfinati macchinari che tritano le pietre e separano dalla terra uno dei concentrati di ferro più ricchi da vendere in tutto il mondo (Cina inclusa) o da mandare a Zaporizhstal.
Metinvest e gli ucraini in genere sanno che non tutto può restare com’è; gli impianti vanno resi più verdi e già sta accadendo, con il ricorso ai biocarburanti per l’alimentazione elettrica grazie alle colture estensive di girasole nella regione. Anche questa è una forma di integrazione in Europa: materiale prima che politica.