Russia-Ucraina, se Putin cerca lo scacco matto

Lo sciame senza precedenti di droni e missili è stato lanciato contro la capitale nel giorno dell’Holodomor, quando si ricorda la strage provocata dalla deliberata carestia sovietica, trasmettendo all’intera Ucraina un messaggio inequivocabile: l’inverno sarà durissimo.

Sull’intero fronte gli schieramenti stanno cambiando, in maniera lenta ma inesorabile: l’iniziativa passa ai russi, che dopo quasi un anno in trincea a difendersi ora tornano all’offensiva grazie alla superiorità di uomini e mezzi.

Kiev deve invece misurarsi con il logoramento del sostegno occidentale, che fatica a tenere il ritmo dei rifornimenti di munizioni e armi richiesto dai combattimenti, e per la prima volta affronta una divisione tra il vertice politico e quello militare, sfociata nello scontro tra il presidente Zelensky e il generale Zaluznyj.

Questo contesto ha reso molto più incisivo il peso delle dichiarazioni di Vladimir Putin nel vertice del G20 a guida indiana: «Dovremmo pensare a come fermare questa tragedia. La Russia non ha mai respinto negoziati di pace con l’Ucraina».

Parole non nuove, ma che questa volta sono state seguite da un fiume di indiscrezioni su possibili piani di pace che spingano Kiev a rinunciare ai territori invasi, pari a circa un quinto del Paese. Una soluzione inaccettabile per le autorità ucraine. E per Putin?

Molti analisti stanno cercando di capire quale sia il reale obiettivo della mossa del Cremlino e soprattutto su quale scacchiera stia giocando.

Se si tratti cioè di un segnale rivolto ai nuovi “Paesi non allineati” come l’India e il Brasile, che di fatto sono i nuovi referenti della sua strategia geopolitica e gli stanno permettendo di sopravvivere all’embargo; di un calcolo interno rivolto alle elezioni presidenziali del prossimo marzo o se invece il disegno riguardi proprio il futuro del confronto bellico.

Sono piani intrecciati tra loro, perché dalle sorti del conflitto dipendono sia la credibilità internazionale che i consensi del popolo russo.

Ed è importante notare come da almeno un anno la narrativa di Putin sulla guerra sia cambiata: sono state rimosse le parole d’ordine iniziali sulla volontà di “denazificare” l’Ucraina per sostituirle con gli slogan sulla nuova “guerra patriottica”.

Quella di Mosca viene spacciata come una resistenza solitaria contro gli Stati Uniti e la Nato, che — schiacciando l’occhio a terzomondisti e populisti — sono presentati come “avanguardie armate del colonialismo occidentale guidato dalle élite politiche”.

Questa premessa potrebbe anche rendere accettabile a Putin un cessate il fuoco che congeli l’attuale fronte, stabilendo confini provvisori sul modello delle due Coree, sul fiume Dnipro fino a Zaporizhzhia, per poi proseguire lungo la linea fortificata Surovikin e le trincee del Donbass.

La propaganda del Cremlino sarebbe in grado di nascondere il fallimento dell’invasione spacciando come un successo il ritorno della Russia ai “sacri confini” del Dnipro, la conquista dell’altra sponda del Mare di Azov e soprattutto l’avere sconfitto l’offensiva alimentata dai Leopard dell’Alleanza atlantica.

Poi, dopo le urne, Putin potrebbe tornare a minacciare l’Ucraina, proclamando una mobilitazione generale che oggi rischierebbe di incrinare il suo consenso.

C’è invece chi sostiene che questa vittoria mutilata non soddisferebbe il nuovo Zar, intenzionato a proseguire la partita fino allo scacco matto: l’insediamento di un governo filo-russo o comunque non ostile a Kiev.

Le aperture verso il negoziato non sarebbero segnali di pace ma strumenti di guerra psicologica per mettere in crisi la solidità di Zelensky, facendo leva sulla volontà dei suoi alleati e soprattutto dell’amministrazione Biden di chiudere in fretta il conflitto.

Allo stesso tempo, anche solo l’inizio dei colloqui sarebbe un colpo destabilizzante per il presidente ucraino, che potrebbe non resistere alla protesta interna o persino alla rivolta di parte dell’esercito.

Pure le manovre sul campo di battaglia sembrano scandite da questa trama politico-diplomatica. Gli ucraini tentano di consolidare la testa di ponte oltre il Dnipro, in modo da impedire di farne il confine.

I russi alzano il tiro su Kiev, Kharkiv e Sumy: le tre metropoli che hanno conosciuto la furia dell’assedio nella primavera 2022. E mandano ondate di fanti all’assalto in tutto il Donbass, soprattutto ad Avdiivka dove i soldati ucraini sono sempre più esausti: una compagnia della 47ma brigata dall’inizio dell’estate aveva 120 uomini, adesso sono rimasti in venti.