Il perché del fucsia, un colore che viene da lontano nella lotta delle donne per l’emancipazione

Non è rosa, simbolo sdolcinato di un mondo femminile ormai irrealistico. E non è rosso, rappresentazione del sangue e della violenza. Il fucsia (con il viola) è da sempre il colore di un certo tipo di femminismo che lotta per emanciparsi.

Da anni in Italia le manifestazioni del 25 novembre contro la violenza sulle donne sono dominate da questa sfumatura ben definita. Non Una di Meno, il movimento che ha organizzato i cortei di oggi, lo ha adottato fin dalla sua nascita nel 2016. Ma il valore del fucsia va ben al di là delle nostre frontiere, e anche al di là della storia recente.

Le interpretazioni sono numerose, e tendono a intrecciarsi l’una con l’altra. Quel che è certo è che di viola e fucsia si tinsero già le prime edizioni della Giornata Internazionale della donna dell’8 marzo, nei primi anni del ‘900.

Le prime suffragette descrivevano il viola come il colore del sangue reale che scorre in ogni donna. Ma è stato un episodio avvenuto a New York nel 1911 che ha impressionato il mondo per la sua tragicità.

Il 25 marzo a Manhattan un gruppo di donne stava cucendo camicie in una fabbrica, con le porte chiuse a chiave perché non si allontanassero. Quando scoppiò un incendio, 146 lavoratrici restarono intrappolate e persero la vita. Poiché il colore dei tessuti che stavano cucendo era viola, anche il fumo assunse quella tinta. L’episodio destò ovviamente grande impressione. Anche il cinema raccolse il simbolo, intitolando “Il colore Viola” un film diventato molto caro al movimento femminista.

Nessuna donna ha mai imposto la scelta del viola o del fucsia al suo movimento. Le diverse interpretazioni sul suo significato, i diversi rivoli della storia da cui il proviene, le spiegazioni spesso differenti che le donne danno sul senso di questo colore danno l’impressione di un simbolo che si è radicato dal basso, e che ormai è entrato a far parte di un linguaggio compreso in tutto il mondo.