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La Cina reagisce al rallentatore ai dazi europei sulle auto e in Borsa salgono i titoli delle case cinesi
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINOLa prima risposta di Pechino all’annuncio dei dazi europei sulle auto elettriche made in China è verbale, a bassa intensità. Accuse di «protezionismo che soffoca la concorrenza», monito a «correggere la direzione sbagliata», promessa di reagire «con tutte le misure necessarie». Parole attese e inevitabili, visto che la barriera alzata dalla Commissione europea per frenare la prossima invasione di veicoli cinesi è stata anche più alta del previsto: fino al 38% di aggiunta all’attuale 10%.
Significa che alcune case automobilistiche mandarine che hanno ricevuto sussidi statali a pioggia, sbarcando in Europa saranno punite con dazi fino al 48% (è il caso di Saic). Ma il grosso dei produttori cinesi se la caverà con molto meno: il gigante Byd verrà gravato di un 17% addizionale, Geely di un 20%.
Rispetto all’Amministrazione Biden, che il mese scorso ha quadruplicato i dazi sulle auto cinesi esportate negli Stati Uniti, portandoli al 100%, l’Europa è stata moderata. E moderata è anche la reazione cinese: il Ministero del Commercio «si riserva il diritto» di fare ricorso all’Organizzazione mondiale dei commerci e prospetta altre «misure necessarie a difendere risolutamente i diritti e gli interessi delle industrie cinesi», senza precisare. Non suona come l’annuncio di una imminente guerra commerciale su vasta scala. I dazi europei sono tecnicamente «provvisori», scatteranno il 4 luglio e dovranno essere confermati entro novembre: Pechino pensa che ci sia tempo e spazio di manovra per negoziare.
Già quando a maggio gli Stati Uniti hanno sparato la loro cannonata al 100%, la reazione della Cina è stata pragmatica: hanno fatto i conti, hanno osservato che il danno non è grave come sembrerebbe, perché le loro auto elettriche rappresentano solo il 2% del mercato americano e si sono limitati a punire l’export occidentale di un tipo di plastica utilizzato dall’industria automobilistica cinese.
Alcuni politologi di Pechino hanno messo in risalto la decisione di Xi Jinping di «mantenere la superiorità morale sugli americani» evitando una rappresaglia indiscriminata. Il concetto di superiorità morale cinese è diventato uno dei cavalli di battaglia di Xi. Il presidente cinese sostiene che gli occidentali, invece di nascondersi dietro il protezionismo, dovrebbero ringraziare l’industria cinese che ha sviluppato prodotti ad alta tecnologia e basso prezzo che «vi aiutano a perseguire i vostri obiettivi verdi e fanno il bene dei consumatori abbassando l’inflazione».
Bella lezione quella di Xi. Che però sorvola sulla ragione dell’azione europea: i sussidi statali che hanno permesso all’industria automobilistica cinese di correre (altro discorso andrebbe fatto sui ritardi degli investimenti in Europa, se davvero l’obiettivo è di spegnere i motori termici entro il 2035). Tra il 2009 e il 2021 il settore dei veicoli elettrici in Cina ha ricevuto aiuti per almeno 125 miliardi di dollari, secondo una ricerca del Center for Strategic and International Studies di Washington. Il think-tank aggiunge in una nota che la stima potrebbe essere sottostimata, a causa della opacità cinese.
Xi comunque sta usando ancora la tattica della persuasione politica, sapendo di poter contare sull’appoggio della Germania, la cui industria automobilistica ha nella Cina un mercato irrinunciabile e quindi non vuole entrare in una spirale di dazi; della Svezia, il cui marchio storico Volvo è da anni di proprietà cinese; dell’Ungheria, che ha ricevuto investimenti miliardari per l’installazione sul suo territorio di grandi fabbriche cinesi per veicoli elettrici e batterie.
La relativa calma della Cina è spiegata dall’Associazione dei costruttori di auto di Pechino: «I dazi, in media intorno al 20%, erano attesi e non pensiamo che avranno un impatto eccessivo sulla maggior parte dei nostri produttori», ha detto il segretario generale Cui Dongshu. Secondo il dirigente aziende come Byd e Geely mantengono un grande potenziale di sviluppo sul mercato europeo.
Da Shanghai Bill Russo, ex capo di Chrysler China diventato guru del mercato automobilistico cinese, spiega che i dazi non fermeranno la corsa di Byd verso l’Europa: «Anche con i dazi, le vetture elettriche Byd avranno costi inferiori rispetto a qualsiasi veicolo che le case europee sono attualmente in grado di offrire».
Gli analisti del settore stimano che Byd sarà in grado di mantenere un margine di utile intorno all’8% sulle vetture vendute agli europei, anche dopo aver scontato i dazi.
In Borsa nervi più che saldi a Hong Kong e Shanghai: il titolo Byd ha guadagnato il 5,8%, perché gli investitori avevano temuto dazi più pesanti. Geely ha chiuso a +1,7%; Leap Motor +2,7%. Solo le azioni di Saic, che dovrà scontare dazi al 48%, hanno ceduto l’1,6%. Alla fine dei conti, i dazi almeno in parte peseranno sugli acquirenti europei.
Che cosa succederà nelle prossime settimane? Ci si aspetta che le «misure necessarie» per reagire ai dazi sulle auto colpiscano prodotti agricoli, industria aeronautica, vetture di superlusso. Si parte al rallentatore: il Ministero del Commercio cinese oggi ha detto che le aziende cinesi che lavorano con carne di maiale e latticini potrebbero presentare richiesta ai aprire un’indagine per «dumping» (concorrenza sleale sui prezzi) sui prodotti che arrivano dall’Unione europea.
Significa che alcune case automobilistiche mandarine che hanno ricevuto sussidi statali a pioggia, sbarcando in Europa saranno punite con dazi fino al 48% (è il caso di Saic). Ma il grosso dei produttori cinesi se la caverà con molto meno: il gigante Byd verrà gravato di un 17% addizionale, Geely di un 20%.
Rispetto all’Amministrazione Biden, che il mese scorso ha quadruplicato i dazi sulle auto cinesi esportate negli Stati Uniti, portandoli al 100%, l’Europa è stata moderata. E moderata è anche la reazione cinese: il Ministero del Commercio «si riserva il diritto» di fare ricorso all’Organizzazione mondiale dei commerci e prospetta altre «misure necessarie a difendere risolutamente i diritti e gli interessi delle industrie cinesi», senza precisare. Non suona come l’annuncio di una imminente guerra commerciale su vasta scala. I dazi europei sono tecnicamente «provvisori», scatteranno il 4 luglio e dovranno essere confermati entro novembre: Pechino pensa che ci sia tempo e spazio di manovra per negoziare.
Già quando a maggio gli Stati Uniti hanno sparato la loro cannonata al 100%, la reazione della Cina è stata pragmatica: hanno fatto i conti, hanno osservato che il danno non è grave come sembrerebbe, perché le loro auto elettriche rappresentano solo il 2% del mercato americano e si sono limitati a punire l’export occidentale di un tipo di plastica utilizzato dall’industria automobilistica cinese.
Alcuni politologi di Pechino hanno messo in risalto la decisione di Xi Jinping di «mantenere la superiorità morale sugli americani» evitando una rappresaglia indiscriminata. Il concetto di superiorità morale cinese è diventato uno dei cavalli di battaglia di Xi. Il presidente cinese sostiene che gli occidentali, invece di nascondersi dietro il protezionismo, dovrebbero ringraziare l’industria cinese che ha sviluppato prodotti ad alta tecnologia e basso prezzo che «vi aiutano a perseguire i vostri obiettivi verdi e fanno il bene dei consumatori abbassando l’inflazione».
Bella lezione quella di Xi. Che però sorvola sulla ragione dell’azione europea: i sussidi statali che hanno permesso all’industria automobilistica cinese di correre (altro discorso andrebbe fatto sui ritardi degli investimenti in Europa, se davvero l’obiettivo è di spegnere i motori termici entro il 2035). Tra il 2009 e il 2021 il settore dei veicoli elettrici in Cina ha ricevuto aiuti per almeno 125 miliardi di dollari, secondo una ricerca del Center for Strategic and International Studies di Washington. Il think-tank aggiunge in una nota che la stima potrebbe essere sottostimata, a causa della opacità cinese.
Xi comunque sta usando ancora la tattica della persuasione politica, sapendo di poter contare sull’appoggio della Germania, la cui industria automobilistica ha nella Cina un mercato irrinunciabile e quindi non vuole entrare in una spirale di dazi; della Svezia, il cui marchio storico Volvo è da anni di proprietà cinese; dell’Ungheria, che ha ricevuto investimenti miliardari per l’installazione sul suo territorio di grandi fabbriche cinesi per veicoli elettrici e batterie.
La relativa calma della Cina è spiegata dall’Associazione dei costruttori di auto di Pechino: «I dazi, in media intorno al 20%, erano attesi e non pensiamo che avranno un impatto eccessivo sulla maggior parte dei nostri produttori», ha detto il segretario generale Cui Dongshu. Secondo il dirigente aziende come Byd e Geely mantengono un grande potenziale di sviluppo sul mercato europeo.
Da Shanghai Bill Russo, ex capo di Chrysler China diventato guru del mercato automobilistico cinese, spiega che i dazi non fermeranno la corsa di Byd verso l’Europa: «Anche con i dazi, le vetture elettriche Byd avranno costi inferiori rispetto a qualsiasi veicolo che le case europee sono attualmente in grado di offrire».
Gli analisti del settore stimano che Byd sarà in grado di mantenere un margine di utile intorno all’8% sulle vetture vendute agli europei, anche dopo aver scontato i dazi.
In Borsa nervi più che saldi a Hong Kong e Shanghai: il titolo Byd ha guadagnato il 5,8%, perché gli investitori avevano temuto dazi più pesanti. Geely ha chiuso a +1,7%; Leap Motor +2,7%. Solo le azioni di Saic, che dovrà scontare dazi al 48%, hanno ceduto l’1,6%. Alla fine dei conti, i dazi almeno in parte peseranno sugli acquirenti europei.
Che cosa succederà nelle prossime settimane? Ci si aspetta che le «misure necessarie» per reagire ai dazi sulle auto colpiscano prodotti agricoli, industria aeronautica, vetture di superlusso. Si parte al rallentatore: il Ministero del Commercio cinese oggi ha detto che le aziende cinesi che lavorano con carne di maiale e latticini potrebbero presentare richiesta ai aprire un’indagine per «dumping» (concorrenza sleale sui prezzi) sui prodotti che arrivano dall’Unione europea.