Perché il Sudafrica non ama più il partito di Mandela: chiedetelo a chi ha meno di 40 anni

diMichele Farina

Il tasso di disoccupazione giovanile al 45%, il più alto del mondo. Un'economia che ristagna, i partiti populisti che rispolverano la questione razziale, la violenza che produce 60 omicidi al giorno. Quale coalizione potrà invertire la discesa del Paese faro del continente? 

Quale Paese democratico negli ultimi trent’anni è stato governato dallo stesso partito? Pochi, oltre al Sudafrica: nelle elezioni di giovedì 29 maggio l’African National Congress, il partito di Nelson Mandela fondato nel lontano 1912, ha ottenuto «soltanto» il 40% dei voti, crollando dal 58% del 2019 e perdendo per la prima volta la maggioranza assoluta. 

Le trattative

Nelle prossime due settimane l’Anc cercherà di accordarsi per un governo di coalizione, dato che non può più governare da solo. Non si prospetta una vera, salutare alternanza al potere, perché l’opposizione è divisa e non ha comunque i numeri per estromettere il Congresso Nazionale Africano: Alleanza Democratica ha ottenuto il 22%, Mz (la Lancia della Nazione) quasi il 15%, i Combattenti per la libertà economica (Eff) il 10%.
Un forte calo del partito in sella dal 1994 (quando ottenne il 64% dei suffragi) era previsto. Pochi immaginavano che sarebbe sceso al 40%. Ma i problemi che affliggono la maggioranza dei 60 milioni di sudafricani ampiamente giustificano la disaffezione per il partito che mise fine al giogo dell’apartheid.

La disoccupazione e la generazione post-apartheid


Il 42% degli elettori ha meno di 40 anni: erano bambini piccoli quando Nelson Mandela fu rilasciato nel 1990, non hanno vissuto il tempo gramo della segregazione razziale. Ma conoscono bene le ristrettezze del presente: il tasso di disoccupazione nella Nazione Arcobaleno è al 32%. Quello tra i giovani (dai 15 ai 34 anni) è intorno al 45%, il più alto del mondo: un ragazzo su due non ha lavoro, si arrabatta. Come sorprendersi se in un Paese simile il partito di governo viene «punito» alle urne? Sarebbe normale in ogni libera democrazia. E il Sudafrica è un Paese dove il voto è libero. Semmai si potrebbe dire: come mai ci hanno messo tanto?

Scuola, energia elettrica, violenza


Disoccupazione: il 72% dei disoccupati scambierebbe il proprio diritto di voto per un lavoro. Corruzione endemica (un segnale indiretto: quasi 100 aspiranti amministratori locali sono stati uccisi dal 2022 a oggi, segno che la politica è percepita come una fonte di arricchimento tale per cui vale la pena eliminare l’avversario). Il 79% dei sudafricani secondo i sondaggi ritiene i politici inaffidabili (erano il 21% nel 2014). Scuola in ginocchio: l’80% dei bambini di dieci anni non sa comprendere quello che legge. Oltre 400 istituti scolastici non sono ancora dotati di impianti fognari. Problema black-out: milioni di sudafricani sono senza energia elettrica per 10 ore al giorno, e le radici vanno ricercate nell’incapacità dello Stato di far fronte all’aumento della domanda negli scorsi decenni. E negli ultimi anni la violenza è tornata a essere una piaga: sessanta omicidi al giorno, un livello mai così alto da vent'anni.

Neri e bianchi

Ha un posto, nella realtà e nella propaganda politica, il retaggio dell’apartheid, sul cui fuoco soffiano i partiti populisti (Mk e Eff) e in misura minore l’ala sinistra dell’Anc. Certo i bianchi (7% della popolazione) costituiscono un quinto della classe media e circa i due terzi dell’élite più ricca. I neri, l’81% del totale, sono la maggioranza nelle altre tre categorie che prendono in considerazione i sociologi: i poveri cronici, «i poveri saltuari», i vulnerabili appena sopra la soglia di povertà. Ma il fallimento di un Paese dove si sono ridotti i salari (oggi a un livello inferiore rispetto a 15 anni fa) e gli investimenti privati si sono dimezzatati come percentuale del Pil non è dovuto alle ferite della segregazione razziale.

Il mancato ricambio

La classe politica e la macchina dello Stato avrebbero bisogno di un rinnovamento significativo. Competenza, onestà, visione. Il timore è che questo scossone elettorale non produrrà il necessario cambio di marcia. Il presidente uscente Cyril Ramaphosa, che aveva suscitato grande speranze quando aveva preso il posto del corrotto Jacob Zuma nel 2019, non ha saputo mantenere le promesse. Sostituti di valore in grado di affermarsi all’interno del partito non se ne vedono. Tra i partiti che potrebbero costituire il sale di una prossima coalizione di governo, due portano in dote soprattutto veleno. Mk è guidato dal vecchio Zuma, il campione dello State Capture, le ruberie di Stato, che vuole vendicarsi di Ramaphosa: JZ denuncia inesistenti brogli e sventola la larvata minaccia di una sollevazione popolare del KwaZulu Natal, la sua provincia dove ha ottenuto «solo» il 45%, se non si terranno nuove elezioni (che lo facciano salire oltre il 50%). Più pronto alle trattative sembra Julius Malema: il basco rosso transfuga dell’Anc, che ha fondato i Combattenti per la libertà economica più di dieci anni fa, si dice disposto a governare con i vecchi compagni (come ha già fatto a livello locale, con esiti deludenti). Non è chiaro cosa chieda in cambio: probabilmente anche un posto nel grande banchetto della spartizione del denaro pubblico.

L'abbraccio con Alleanza Democratica


Resterebbe Alleanza Democratica (Da), che porta in dote il 22% di suffragi ma anche la nomea di erede del «partito dei bianchi»: i principi del libero mercato e della liberalizzazione dell’economia concordano con quelli del presidente Ramaphosa, che ufficialmente l’Anc continua a sostenere come leader (respinta al mittente Zuma la condizione di una sua dipartita per iniziare a dialogare). Ma l’ex sindacalista diventato magnate delle miniere, capo negoziatore di Mandela nel 1994 durante le trattative con il regime bianco per la fine dell’apartheid, è uscito malconcio dalle elezioni e non ha grandi margini di manovra: l’ala sinistra del partito vorrebbe sostituirlo con il numero due della segreteria Paul Mashatile, vicino a Malema e non osteggiato da Zuma, ritenendo pericoloso un abbraccio con Alleanza Democratica sulla falsariga del governo di unità nazionale guidato da Mandela, l’unica esperienza di coalizione che il Sudafrica abbia conosciuto.

Spettro Zimbabwe


Un esercizio di democrazia, così  chiamano questa nuova fase i leader dell’Anc, per esorcizzare la batosta alle urne. «Il popolo ha parlato e bisogna rispettare la sua voce», ha detto oggi Ramaphosa. Nel Sudafrica del sistema elettorale proporzionale, non è detto che la sconfitta di qualcuno implichi la vittoria di qualcun altro. La caduta dell’Anc non coincide con l’ascesa di un’opposizione forte e coesa. Da qui il rischio e la paura che la disgregazione del Paese a lungo faro del continente possa proseguire, come è accaduto al vicino Zimbabwe: ci vollero 27 anni prima che il regime di Mugabe si trasformasse in una dittatura e il granaio dell’Africa meridionale nel regno dell’inflazione a tre cifre. Il Sudafrica ha appena compiuto trent’anni, e al momento appare senza un grande futuro come i suoi giovani disoccupati.

3 giugno 2024

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